Nagorno Karabakh: dietro Armenia e Azerbaijan striscia l’eterno conflitto fra Russia e Turchia

(di Giampiero Venturi)
04/04/16

Le montagne del Karabakh le conoscono in pochi. Eppure tra le cime spigolose a cavallo fra Armenia e Azerbaijan passa una delle cerniere del blocco eurasiatico. Tra Mar Nero e Mar Caspio il lato più dolce e meridionale del Caucaso si spacca, tra pascoli dimenticati e interessi millenari.

Solo una cosa accomuna armeni e azeri: essere entrambi sul pianerottolo dell’Europa, cioè un metro oltre la soglia che li vuole per alcune cose dentro il Vecchio Continente, per molte altre fuori. Nel complesso, nonostante il comune colbacco sovietico, le due comunità si dividono in tutto da sempre. L’Armenia è stato il primo Paese a fare del cristianesimo una religione di Stato e l’identità di un’intera nazione; l’Azerbaijan è viceversa l’anello turco verso l’Asia centrale, eternamente in bilico fra una sudditanza alla cultura russa e il revanscismo ottomano.

A differenza di altri conflitti tra pezzi di URSS, tra armeni e azeri non ci sono miscele, connessioni, vie d’uscita. C’è solo il silenziatore di una guerra strisciante che relega in un angolo del mondo una regione delicata, ma indirettamente cruciale.

Ora Armenia e Azerbaijan hanno ripreso a punzecchiarsi, con un vento brutto alle spalle che spinge verso un’altra guerra aperta.

Il punto di frizione è il Nagorno-Karabakh, area armena in terra azera, diventata de facto repubblica indipendente dopo la guerra del 1992-1994.

Ed è proprio dal 1994 che non si sparava tanto come in questi giorni, anche se la tensione non è mai calata negli anni. È una realtà e una maledizione insieme: la guerra su vasta scala iniziata nel ’92 fra Erevan e Baku era la continuazione degli episodi di pulizia etnica scoppiati dieci anni prima. A loro volta gli scontri e le violenze erano la conseguenza della fine dell’URSS, vetro oscurante di un odio regionale fortissimo e mai risolto.

Il conflitto nel Karabakh nasce con la Grande Guerra e la fine di due imperi: quello russo e quello ottomano, due grandi placche geopolitiche in eterna frizione che hanno ceduto improvvisamente ai nuovi equilibri del ‘900. Oggi quegli equilibri sono da intendere come grande sonnifero della Storia alle questioni euroasiatiche in piedi da secoli. Dopo una parentesi di 100 anni, tutto torna come prima: non a caso tornano a soffiare i venti di guerra proprio ora che i due imperi sono rinati. 

Nel 2015 si era già rischiata più volte la ripresa delle ostilità fra Erevan e Baku. Oggi a quanto pare si fa sul serio.

L’Azerbaijan, umiliato nel 1994 con l’accettazione di un Karabakh azero e indipendente e con la rinuncia a 7 provincie contigue occupate dall’esercito separatista, tenta la rivalsa.

Nella bella e contraddittoria Baku tutto passa per il petrolio: è stato il motore della crescita economica dell’ultimo decennio che ha ne garantito l’uscita dal tunnel post sovietico; oggi, con i prezzi al minimo, è la causa della crisi.

L’Armenia stretta al fianco del fratelli del Karabakh, per non perdere le posizioni guadagnate venti anni fa, cerca dal canto suo la solita scia della Russia, alleata storica e grande fratello regionale.

Tutto in fondo si gioca a Mosca, a maggior ragione oggi che il conflitto storico e geopolitico con Ankara cerca di continuo nuovi teatri di sbocco.

La Russia difende l’identità di Erevan. Putin fu l’unico statista di rilievo globale a presenziare il centenario del genocidio armeno (vedi articolo). Al tempo stesso Mosca però non molla l’osso Azerbaijan, che nonostante il risveglio filoturco rimane un Paese profondamente legato alla Russia, se non altro per la settantennale sudditanza all’URSS.

In particolare il fattore sicurezza obbliga Mosca a non uscire dal ruolo di arbitro regionale, nonostante la corsia preferenziale accreditata all’Armenia.

Delle 9 entità geograficamente definibili come caucasiche, insieme alla Georgia, solo Armenia e Azerbaijan sono repubbliche indipendenti internazionalmente riconosciute. Gli altri 6 soggetti che costituiscono il Caucaso del Nord sono Cecenia, Daghestan, Inguscezia, Cabardino-Balcaria, Ossezia del Nord, Territorio di Stavropol’ e Circassia, tutti interni alla Federazione russa e tutti lacerati da contrasti religiosi, politici ed interetnici. Solo l’Azerbaijan confina direttamente con uno di loro, il Daghestan, stabilendo continuità territoriale fra Mosca e Baku. 

La frontiera (inesistente ai tempi dell’URSS) è particolarmente calda in quanto porta di passaggio per infiltrati islamisti tra Caucaso settentrionale e meridionale, nell’ultimo decennio molto aggressivo in Azerbaijan, fino a far diventare il Paese un bacino di reclutamento importante per il fondamentalismo attivo in Siria (vedi reportage).

Neanche a dirlo, la Turchia non sta a guardare. Culturalmente matrigna dell’Azerbaijan, cerca di mantenere l’influenza su Baku anche in virtù della battaglia sugli idrocarburi del Caspio, dove un altro Paese in bilico fra Ankara e Mosca, il Turkmenistan, gioca un ruolo centrale.

Tra i monti del Karabakh, fra Uaz datate e Lada sgangherate, gli eserciti della Repubblica del Nagorno, di Armenia e dell’Azerbaijan, non si fronteggiano solo per l’indipendenza di qualche picco nevoso. Una replica della violentissima guerra degli anni ’90 sarebbe l’orpello di bel altri scenari.

(Foto: Haykan banak)