Libia: l’unità futura del Paese è solo un’illusione

(di Giampiero Venturi)
29/04/16

Il dilemma della questione libica, già centrale quando Gheddafi era vivo e in carica, è sempre stato l’individuazione di una figura carismatica che potesse sostituirlo.

L’evidenza ha un senso in una logica di unità, vale a dire dando per prioritaria l’identificazione della Libia come Stato unito e sovrano.

Non vedendo via d’uscita al caos, i governi europei, Italia in testa, nell’ultimo anno hanno agito in preda alla fretta, alimentata anche dallo spettro dello Stato Islamico sempre più inserito nel Maghreb. L’ansia politica ha così prodotto un effetto immediato già sotto il profilo della comunicazione: minimizzare il fallimento di Unified Protector dando l’impressione ufficiale che il disordine libico avesse un termine e soprattutto che lo avesse in tempi brevi.

Al di là degli isterismi da social network  con cui si agitava lo spettro di un “ISIS alle porte”, già un anno fa i governi occidentali (Stati Uniti, Germania, Francia e Italia su tutti) insistevano sul fatto che un esecutivo di unità nazionale libico fosse ad un passo dall’entrare in carica. Dopo aver puntato su Al Thani, nel vuoto istituzionale e nel caos tribal-sociale libico, tutto l’Occidente si è affrettato a convergere su Fayez Al Sarraj, dandone un’immagine più strutturata e stabile di quanto non sia.

Le notizie politiche dalla Libia sono così diventate monocorde, ma poco corrispondenti ai fatti sul terreno. Al Sarraj, una volta sbarcato a Tripoli, è stato costretto a operare da Abu Sittah, area portuale dai tramonti romantici ma distante 10 km di lungomare dal centro della città. Se questo all’inizio era imputabile all’ostilità delle fazioni islamiste legate al Governo di Khalifa al Ghweil, notizie dell’ultim’ora confermano che il suo problema principale oggi è il generale Haftar. Proprio lui, ex CIA, da sempre punto di aggregazione degli apparati dell’ex regime di Gheddafi ostili alle derive islamiste e al tempo stesso snodo libico di interessi arabi. 

Gli uomini del Parlamento di Tobruk fedeli ad Haftar continuano ad opporsi al riconoscimento del governo di unità nazionale di Al Sarraj e uniti alle fazioni più ostili a Tripoli continuano a rifiutare ogni forma di compromesso con quelli che reputano terroristi fondamentalisti.

Non solo. Le truppe fedeli ad Haftar, massicciamente armate dal Cairo, marciano su Sirte col preciso scopo di annullare la presenza islamista (in questo caso l’ISIS) dalla costa libica. Proprio Al Sarraj avrebbe ordinato in queste ore l’alt alle truppe che a suo avviso dovrebbero rispondere ad un comando unificato (il suo) e non al generale “ribelle”.

La Libia in sostanza vive il paradosso secondo cui l’Occidente appoggia un leader, Al Sarraj, che seppur per una contingenza, si oppone alla guerra al Califfato e non gode più della fiducia delle fazioni storicamente più filoccidentali.

Il primo ad averlo capito è proprio l’Egitto, molto propenso a fare della Cirenaica una sorta di protettorato. Per il Cairo è prioritaria la lotta ai Fratelli Musulmani dell’ex presidente Morsi soprattutto nelle aree di confine e Haftar, militare d’esperienza, sembra essere l’uomo giusto. Se la geografia ha un senso, vale la pena ricordare che Tobruk è a 130 km dal confine egiziano ma a 1300 km da Tripoli…

Cosa se ne deduce?

In Libia gli schieramenti politici e i loro rispettivi protettori internazionali escono dagli schemi classici. La federazione islamista che sovrintende alla Tripolitania ha dalla sua l’appoggio della Turchia e del Qatar. Viceversa, gli Emirati Arabi e l’Arabia Saudita, alleati di Turchia e Qatar su tutto il resto, in Libia convergono con l’Egitto di Al Sisi, aiutando Haftar. L’alleanza è già stata collaudata nello Yemen in funzione anti iraniana.

La Libia in sostanza è diventata terreno di spartizione di interessi legati alle ingenti risorse energetiche di cui dispone e il problema della sua stabilità appare sempre meno legato ad un futuro unitario di nazione sovrana. Per dirla in breve e nonostante le dichiarazioni ufficiali, l’idea di una Libia unita in fondo non interessa a nessuno. Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna, Turchia, Egitto, Arabia Saudita ed Emirati oggi hanno una prospettiva di profitto nel Paese che ai tempi di Gheddafi non avevano. Questo può bastare.

Duole dirlo, ma l’unico Paese che per questioni energetiche, geopolitiche e di sicurezza avrebbe interesse all’unità libica è proprio l’Italia. Per ora però lo sforzo maggiore delle istituzioni sembra quello di distogliere la neghittosa opinione pubblica da prossimi coinvolgimenti e dai relativi rischi.

Veloci nei giudizi morali ma goffi nel gestirne le conseguenze, noi italiani odiamo la parola guerra. Qualcun altro che non si fa il problema intanto lucra.

Il vero problema della Libia è che comunque vada sarà un dramma. Sperando di no, probabilmente lo capiremo presto.

(foto: القوات المسلحة الليبية; alghad TV)