Una riflessione sul mondo che cambia: il significato delle celebrazioni della Festa della Repubblica e perché devono essere mantenute

(di Andrea Mucedola)
02/06/21

L’Italia è una grande nazione che trova nella sua storia e cultura una sua identità che ci rende tutti Italiani. Ciò nonostante è importante comprendere il rapporto tra individuo e Stato, cosa che non è mai stato facile nel nostro Paese, ed è forse uno dei mali più antichi che trova riscontro nella nostra storia.

Come diceva Dante Alighieri, "Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello!".

Un’Italia divisa, città contro città, popoli contro popoli, genti con una comune matrice latina che nel tempo seppero porre il seme di una unica nazione, sfuggendo alla logica della convenienza che, nel XVI secolo, Guicciardini ironicamente già citava "o Franza o Spagna, purché se magna"

Italiani, uomini e donne, che seppero unirsi sotto una bandiera tricolore nelle guerre risorgimentali, per una terra che fu poi bagnata con il sangue dei suoi figli nella I guerra mondiale, che subì le umiliazioni delle grandi potenze fra le due guerre, maturando odi e rancori che portarono alla nascita di un regime illiberale e ad una folle guerra, seguita da una sanguinosa guerra civile i cui echi ancora riecheggiano.

Poi la rinascita speranzosa del dopo guerra, di un’Italia distrutta che da un lato era desiderosa di costruire un futuro diverso ma dall’altro era sempre sofferente di un male antico che vedeva poche mele marce guastare il lavoro di tanti.

Un’Italia operosa, invidiata da sempre per la sua bellezza, genialità, capacità dove però l’individualismo ed il pressapochismo continuò ad essere sovrano, covando in seno il mito dei furbi, di coloro che sfruttano come parassiti il lavoro degli altri; il retaggio degli italioti, come li chiamava Montanelli, incapaci di vedere oltre il loro naso, chiusi tra la ricerca della convenienza personale e l’ignavia del quieto vivere.

Il dopoguerra

Alla fine della seconda guerra mondiale, le Nazioni europee si risollevarono. Grazie agli aiuti economici statunitensi con il piano Marshall, gli Italiani realizzarono il miracolo del dopoguerra che diede nuova vita alle economie e speranza a chi aveva perso tutto. Il mondo stava cambiando velocemente. Uomini e donne volevano giustamente riconosciuti i loro diritti per una società migliore. I ruoli diventavano sempre più fluidi, anche a costo di spezzare i mattoni stessi della società italiana, le famiglie.

Il benessere sociale raggiunto nel boom economico favorì l’assimilazione di nuovi “valori” che però di italiano avevano ben poco. Lo chiamarono consumismo. Sembrò quasi che il popolo, dopo tante sofferenze, ricercasse una sbornia di libertà, come un giovane studente che, dopo la maturità, sente il desiderio di trasgredire per sentirsi più realizzato. In quegli anni furiosi del dopoguerra nacquero anche movimenti che si opponevano al potere costituito, dimenticando che democraticamente essi ne erano parte.

Ci furono lotte di piazza in molti Paesi europei tra opposte fazioni, anche dall’altra parte della cortina di ferro, dove molti giovani morirono nel nome della libertà contro i regimi comunisti.

Un esempio di deformazione dell’informazione venne dagli ambienti intellettuali occidentali dove le grida di dolore provenienti da oltre cortina vennero sminuite. Il drammaturgo tedesco Peter Weiss commentò: "Gli intellettuali cecoslovacchi sono caduti vittime di fatali fraintendimenti e di una sopravvalutazione della libertà in Occidente". Questo avvenne anche nel nostro Paese da parte di molti intellettuali della sinistra che difesero l’indifendibile contribuendo alla contrapposizione politica.

Furono anni terribili in cui la democrazia fu attaccata e molti servitori dello Stato persero la vita. Questa contrapposizione portò molti giovani ad allontanarsi da quei valori un tempo considerati universali.

Non fu un problema solo italiano

Secondo alcuni analisti furono applicate a livello mondiale delle strategie tutt’altro che casuali. Noam Chomsky, docente al Massachusetts Institute of Technology, descrisse le tecniche utilizzate per controllare e distrarre le masse dai problemi importanti (il panem et circenses dei Latini).

Secondo Chomsky fu applicata una strategia subliminale creando problemi su cui si offrivano immediatamente soluzioni ad hoc per far accettare, come male necessario, cambiamenti impopolari. Mutamenti spesso effettuati in maniera graduale, presentati come “dolorosi e necessari”, favorendo la tendenza a sperare che “tutto andrà meglio domani”.

Secondo Chomsky, nel dopoguerra si operò una sottile diseducazione delle masse, premendo sul lato emotivo e non su quello di riflessione al fine di instillare desideri ma anche paure ed incertezze, e facendo credere che essere stupidi, volgari ed ignoranti volesse dire essere più veri. Tutto questo processo fu favorito da un’educazione scolastica sempre più tecnica e meno introspettiva, mantenendo in realtà le masse nell’ignoranza e nella mediocrità.

Non a caso negli ultimi decenni l’analfabetismo funzionale è aumentato in tutto il mondo e dimostra come queste strategie abbiano di fatto modificato con successo (negativo) la società.

Secondo uno studio pubblicato su Frontiers in Psychology, solo in Europa questo problema coinvolgerebbe circa 80 milioni di individui. Secondo lo Human Development Report 2009, basato su una popolazione compresa tra i 16 e i 65 anni, la concentrazione più bassa si registra in Norvegia (7,9%), mentre quella italiana, secondo l’indagine Piaac – Ocse (2019) è al 28%, superata solo da quella della Turchia (47%).

L’analfabetismo funzionale comporta:

– l’incapacità di un comprensione adeguata di testi, come semplici articoli di giornale, regolamenti e leggi dello Stato;

– difficoltà nell’esecuzione di calcoli matematici semplici e nell’utilizzo degli strumenti informatici, resi sempre più user friendly per evitare di porsi domande sulla loro effettiva affidabilità;
– conoscenza superficiale di eventi storici passati, politici, scientifici, sociali ed economici, con la proliferazione di tuttologi che non fanno altro che ripetere ciò che i social media raccontano.

L’argomento è sicuramente complesso e, lungi da voler essere esaustivo, le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: a fronte dell’aumento dei mezzi tecnologici, dirigenti e funzionari della Pubblica Amministrazione, a livello globale, sembrano non riuscire a tenere il passo. Il degrado sociale è evidente (mascherato da una nuova visione dei rapporti interpersonali) e la capacità di reazione a livello decisionale è spesso emotiva ed insufficiente.

In estrema sintesi, c’è bisogno di nuovi riferimenti etici e morali che rassicurino il popolo italiano al fine di guardare con maggiore fiducia al futuro del nostro Paese. L’attuale pandemia ha mostrato, nella sua tragedia, le debolezze di un sistema, con dirigenti non sempre all’altezza della situazione, apparentemente privi di visione e capacità di controllo.

Da ogni difficoltà nasce un’opportunità: il contributo delle Forze Armate e dell’Ordine in periodi di emergenza

Un tempo si diceva che la libertà individuale finisce dove inizia quella degli altri. Un concetto elaborato nel tempo che racchiude due importanti fattori: la libertà personale e la necessità di regole per assicurare i diritti di tutti. Storicamente, per garantire il diritto di tutti, nacquero le organizzazioni militari come strumenti esecutivi della volontà dello Stato.

La funzione dei Militari, ieri come oggi, è quella di trasformare le direttive del Governo in azioni effettive; concettualmente il loro lavoro non cambia, sia che avvenga in aree di crisi che sul territorio.

Deve essere ben chiaro che le decisioni di impiego restano sempre e comunque responsabilità dell’Autorità Politica. I militari sono quindi servitori dello Stato che eseguono gli ordini ricevuti dal ministro delle Difesa (e quindi dal Governo), applicando la loro esperienza e metodi per l’esecuzione.

Ci si aspetterebbe che questa funzione sia favorita da una particolare attenzione nei loro confronti ma questo, almeno nei Paesi cosiddetti democratici, non avviene (tranne negli Stati Uniti). Il micromondo militare ha dovuto sviluppare costantemente nel suo interno nuove strategie per poter assolvere, con sempre meno risorse, i propri compiti. La ricerca costante di ottimizzazione è un punto di forza che ha reso le Forze Armate un’organizzazione dello Stato altamente efficiente; questo è un dato di fatto, dimostrato anche nel loro attuale impiego per contrastare l’epidemia di COVID 19. 

Valori come solidarietà, esempio, sacrificio, comunanza disinteressata di intenti sono riapparsi sotto gli occhi di tutti dalle nebbie passate. Il vecchio detto: “Dio e il soldato, durante la carestia e la guerra, vengono pregati, ma quando vi è la pace Dio è dimenticato e il soldato disprezzato” si è magicamente riconfermato… i militari, fino ad allora disegnati come espressione del potere militarista, che si oppone alla moderazione ed al cosiddetto pacifismo (valori ritenuti erroneamente tipici della sfera civile), si sono rivelati strumenti irrinunciabili dello Stato per la gestione delle emergenze. Il metodo impiegato dalla struttura militare ha ancora una volta dimostrato di poter superare i limiti dell’inefficienza burocratica, talvolta capace solo di costruire architetture autogiustificanti.

La lezione, che si spera sia finalmente acquisita, è che nessuna organizzazione civile può permettersi il lusso di fare a meno di una pianificazione in caso di emergenza, ordine e di gerarchia per poter operare con efficienza, specialmente nei periodi di crisi. Un’occasione che offre una possibilità irrepetibile per contrastare la deriva sociale iniziata nel secolo scorso al fine di rivitalizzare i valori etici e morali che da sempre fanno parte della nostra cultura; un’azione necessaria per affrontare un futuro che non si presenta certo facile. 

Militari del III millennio

I militari e le forze dell’ordine ogni anno versano un triste contributo di vittime del dovere, molte delle quali non sono note. Eppure il loro contributo non è trascurabile. Secondo i dati del Viminale, dal 1961 ad oggi, sono state 3.776 le vittime del dovere tra le Forze dell’Ordine, Forze Armate e Vigili del Fuoco. Uomini e donne che ogni giorno silenziosamente operano per la nostra sicurezza. Essi, come veniva insegnato alle scuole di guerra, sono doppiamente cittadini, perché uniscono ai valori universali, che tutti dovremmo possedere, lo spirito estremo del sacrificio. Un valore etico che trova nell’esempio la forza trainante dei militari.

L’insieme di abnegazione, spirito di sacrificio, trasparenza ed esempio fa del militare un cittadino certamente diverso dal mondo in cui viviamo, in cui i parametri di misura sono nel tempo cambiati, in cui il successo facile, a tutti i costi, viene visto come un traguardo. Un’“architettura sociale” moralmente ed eticamente discutibile, che si sente giudicata e si difende con critiche sterili e faziose, mirate a colpire quella parte della Nazione che sfugge alle “metriche” comuni, che va oltre il panem et circenses.

Una voce, quella dei militari, che possiamo dire fuori dal coro e che ricorda agli Italiani, con l’esempio quotidiano, valori che certe lobby hanno volutamente fatto dimenticare. C’è da domandarsi se le ricorrenti critiche antimilitariste, in ambito politico e di opinione, siano in realtà legate alla constatazione di un senso di inferiorità capacitiva che spinge a contrastare qualsiasi cosa vada più veloce del loro modo di pensare, per una paura intrinseca di restare fuori dal gioco. Come le critiche sterili e senza un minimo di fondamento fatte al generale Figliuolo riguardo alla gestione dell’emergenza della pandemia, non basate su una valutazione del suo modus operandi ma dirette solo contro la divisa che indossa.

Per fortuna i fatti contano ancora più delle parole. Questi servitori della Patria hanno da sempre l’onore di sfilare una volta all’anno alla parata del 2 giugno, omaggio al Popolo italiano nella festa della Repubblica italiana, che da sempre servono con abnegazione e spirito di sacrificio.

Quale è il valore della Festa della Repubblica in un mondo che cambia?

Oggi, 2 giugno, si celebra la 75a Festa della Repubblica italiana. Ci possiamo domandare se il Popolo italiano ne riconosca ancora il significato ed il valore; questo giorno di Festa nazionale venne celebrato per la prima volta ufficialmente nel 1948 e si fissò ogni anno il 2 giugno fino al 1977, quando, a causa della crisi economica, fu stabilito che venisse ricordato ogni anno la prima domenica di giugno. La data del 2 giugno fu poi ristabilita, insieme alle celebrazioni, dal secondo governo Amato, con una legge del novembre 2000.

Le celebrazioni prevedono nella Capitale un cerimoniale ufficiale, che comprende la deposizione da parte del presidente della Repubblica di una corona d’alloro in omaggio alla tomba del Milite Ignoto, presso l’Altare della Patria, e la parata, lungo i Fori Imperiali, di rappresentanze di contingenti militari, della Polizia di Stato, dei Vigili del Fuoco, della Croce Rossa Italiana e degli altri Corpi che contribuiscono quotidianamente al benessere del nostro Paese, sia sul territorio nazionale che all’estero. Non si tratta di un’auto-esaltazione, ma di un riconoscimento a questi cittadini che servono il Paese con grandi sacrifici personali e delle loro famiglie.

Cerimonie analoghe, anche se in misura minore, si svolgono in tutta la penisola e nelle rappresentanze italiane all’estero, significando il senso di unità di intenti del Popolo italiano.

La sua ricorrenza ha quindi un valore simbolico importantissimo perché racchiude e ricorda quei valori che ci hanno fatto diventare una Nazione. Non si tratta di nazionalismo ma di salvaguardia della nostra eredità culturale, che ci rende unici e di pari dignità con gli altri Paesi. Sono i valori sovrani di un popolo, che non possono essere cancellati da aspirazioni puramente economiche.

Ieri come oggi l’Italia non è un’espressione geografica ma un grande popolo che in questa giornata ritrova i suoi valori che lo hanno fatto grande nella storia.

In un mondo che, come abbiamo visto, sta cambiando, nel bene o nel male, la salvaguardia di quei valori etici e morali che hanno caratterizzato la nostra storia è quindi fondamentale, perché essi ci rendono unici ed orgogliosi di essere italiani.

Anche quest’anno, la mattina del 2 giugno, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella si recherà ai Fori imperiali per la deposizione della corona, salutato dal sorvolo delle Frecce Tricolori che faranno esaltare i colori della nostra bandiera sui cieli della Capitale. Per ovvi e condivisibili motivi, legati alla pandemia, e per ridurre le possibilità di aggregazione sociale, non avverrà la tradizionale Parata lungo i Fori Imperiali, né è prevista l’apertura al pubblico dei giardini di Palazzo Quirinale, sede del presidente della Repubblica italiana e casa degli Italiani. Si spera però che le televisioni ed i giornali dedichino uno spazio adeguato a questa celebrazione ed a quegli uomini e donne in uniforme che quotidianamente servono in silenzio il nostro Paese, italiani a cui tutti dobbiamo rispetto e riconoscenza.

Buona Festa della Repubblica italiana a tutti.

Foto: Quirinale / Mondadori / ministero della Difesa / web