L'Olimpo è crollato

(di Andrea Gaspardo)
19/01/21

Nel 2013 il panorama cinematografico americano fu dominato dall'uscita di due film aventi entrambi come soggetto quello che in gergo viene definito “attacco al potere”.

Nel film “Olympus Has Fallen” (in Italia: “Attacco al Potere – Olympus Has Fallen”) proiettato in anteprima a Hollywood in 18 di marzo di quell'anno, il regista Antoine Fuqua portò per la prima volta sui grandi schermi un attacco militare in piena regola alla Casa Bianca, sponsorizzato niente meno che dalla Corea del Nord.

Nel film “White House Down” (in Italia: “Sotto Assedio – White House Down”), proiettato in anteprima sempre ad Hollywood il 28 giugno, il regista Roland Emmerich decise invece di esplorate il tema della “sedizione interna” da parte dell'onnipresente “complesso militar-industriale” volta ad eliminare un presidente afroamericano progressista.

Volgendo ora il nostro sguardo da 8 anni fa alla situazione odierna, non possiamo che constatare amaramente che, ancora una volta, il cinema ha fatto in qualche modo da apripista per la realtà odierna.

Il 6 gennaio del 2021, è stata una giornata che rimarrà nella Storia dell'Umanità. Anticipando la seduta del Congresso degli Stati Uniti avente come oggetto la formalizzazione dell'elezione di Joseph Robinette “Joe” Biden Junior a quarantaseiesimo presidente degli Stati Uniti d'America, una variopinta folla di cittadini americani di eterogenea appartenenza politica, tra cui spiccavano le bandiere e gli striscioni del “Boogaloo Movement”, dei “Three Percenters”, dei “Proud Boys”, degli “Oath Keepers”, del “Groyper Army”, dei “Neo-Confederates” e, soprattutto di “QAnon”, oltre a quelle di vari altri gruppi di ispirazione neo-nazista e nazional-anarchista, si era presentata nell'area erbosa denominata “L'Ellisse”, situata di fronte alla Casa Bianca, per presenziare ad un comizio organizzato dal presidente in carica, Donald John Trump, e da un ristretto manipolo di suoi consiglieri tra i quali vanno annoverati: i figli Donald John Tump Junior ed Eric Frederick Trump, l'avvocato e consigliere personale del presidente, Rudolph William Louis “Rudy” Giuliani, ed i congressisti Morris Jackson “Mo” Brooks Junior e David Madison Cawthorn.

Nonostante siano passati diversi giorni dall'evento, non è assolutamente chiaro quante persone vi abbiano partecipato in totale dato che, per ragioni di sicurezza nazionale, è vietato effettuare qualsiasi tipo di ripresa aerea nell'area di Washington DC, tanto che ancora oggi le autorità sia cittadine che federali parlano di una forchetta compresa tra 2.000 ed 80.000 persone, quindi un margine d'errore ridicolmente grande.

Anche se, a posteriori, i manifestanti si sono vantati di aver portato in piazza oltre 100.000 persone, tale numero è semplicemente insostenibile. Tuttavia, esaminando con senso di prospettiva i filmati ripresi dagli stessi manifestanti con i cellulari e fatti poi ampiamente circolare in rete, è possibile ipotizzare che fossero presenti almeno 30-40.000 persone.

Dopo una lunga serie di interventi incendiari da parte dello stesso Trump e dei suoi familiari e collaboratori, conclusasi con un appello diretto a “riprendersi il paese”, la folla si è incamminata lungo la Pennsylvania Avenue in direzione di Capitol Hill, laddove ha sede il Congresso degli Stati Uniti d'America.

Sebbene il corteo non fosse propriamente organizzato, il suo “leader informale” era Alexander Emerick “Alex” Jones, fondatore del network di “propaganda” (l'utilizzo da parte mia del termine “propaganda” non è casuale perché quella di Alex Jones non può essere definita “informazione”, se non nel senso pornografico del termine) radiofonica, televisiva ed informatica denominato “Infowars”, attivo da oltre vent'anni anni e tradizionale megafono della variopinta galassia dell'estrema destra americana. Lo stesso Jones ha poi ammesso di aver donato oltre mezzo milione di dollari per l'organizzazione di quella che è stata battezzata dai protagonisti con il nome di “Marcia per Salvare l'America”.

Una volta giunti ai piedi del Campidoglio, i manifestanti sono rapidamente entrati in conflitto, attorno alle ore 1:00 locali, con il numero esiguo di membri delle forze dell'ordine, prevalentemente appartenenti alla “United States Capitol Police” (USCP) superandone di slancio la resistenza, in realtà assai poco spiritata.

I facinorosi hanno poi cinto d'assedio il Congresso per circa un'ora quando, alle 2:00 pomeridiane, le finestre al piano terra sono state infrante ed i portoni d'ingresso sono stati forzati, permettendo così ai dimostranti di scemare all'interno dell'edificio spargendosi a macchia d'olio in ogni dove.

L'atteggiamento degli uomini della “Capitol Police” e del “Secret Service” presenti sia dentro che fuori all'edificio non è stato assolutamente uniforme. Sebbene alcuni abbiano dimostrato attaccamento alla missione ricevuta ed abbiano tentato di arginare l'offensiva dei rivoltosi con encomiabile senso del dovere, anche quando totalmente soverchiati e brutalmente malmenati, altri hanno opposto una resistenza assolutamente simbolica, quando non hanno addirittura “fraternizzato”.

I membri del Congresso, in quel momento impegnati in seduta comune per discutere proprio dell'elezione di Joe Biden a nuovo presidente hanno dovuto essere scortati in tutta fretta fuori dall'edificio attraverso un passaggio laterale, dato che anche il bunker antiatomico sotterraneo situato al di sotto dell'edificio era stato invaso dai manifestanti.

Nel corso di questi momenti convulsi, una contestatrice, ex-veterana della forze aeree americane ed appartenente al movimento “QAnon”, Ashli Elizabeth Babbitt (già oggi ribattezzata dai già citati estremisti con il titolo di “Lady Liberty”), è stata freddata, praticamente in diretta mondiale, da un agente del “Secret Service” che le ha sparato un colpo mentre ella tentava di superare una delle barriere interne improvvisate erette a protezione della camera principale che comunque è poi stata effettivamente occupata per breve tempo dai manifestanti, uno dei quali (il cosiddetto “sciamano dalle corna di vichingo”, Jake Angeli) è stato pure fotografato nell'atto di “prendere il possesso”, sedendovisi, dello scranno di Nancy Patricia Pelosi, attuale presidente della Camera dei Rappresentanti.

Tuttavia, a partire dalle ore 2:31 le forze dell'ordine, supportate dai militari della Guardia Nazionale hanno cominciato ad affluire in forze e a contrattaccare i manifestanti utilizzando manganelli e gas lacrimogeni, ma solamente alle 5:40 pomeridiane le autorità hanno potuto dichiarare lo sgombero finale dell'edificio. Il Congresso ha poi potuto riprendere la seduta e portare a compimento il processo di votazione precedentemente sospeso, eleggendo effettivamente Joe Biden alla carica di presidente degli Stati Uniti d'America.

Il bilancio finale della giornata ha registrato la morte di 4 persone (tutti manifestanti), almeno 56 membri della polizia ospedalizzati assieme ad un numero imprecisato di facinorosi e centinaia di arresti tra la folla. Nei giorni successivi un agente rimasto gravemente ferito nel corso degli scontri è deceduto in ospedale mentre un altro si è suicidato a causa dello stress accumulato nel corso della terribile giornata, portando quindi a 6 il bilancio definitivo del “Sacco del Campidoglio”.

Sebbene ad una prima superficiale analisi si potrebbe essere tentati di ignorare la portata dell'evento, è opinione dell'autore della presente analisi che i fatti di Capitol Hill del 6 di gennaio 2021 rappresentino un evento epocale ed un autentico giro di boa nella Storia degli Stati Uniti d'America e dell'Umanità in generale, preludio a ben più grandi sconvolgimenti che accadranno nei prossimi mesi ed anni sia negli USA che all'estero.

Nonostante in questi giorni si siano letteralmente sprecati i parallelismi con eventi quali “l'Assalto al Palazzo d'Inverno”, che diede avvio alla “Rivoluzione Bolscevica” ed alla “Guerra Civile Russa”, la “Marcia su Roma”, che inaugurò il “Ventennio Fascista”, ed il fallito “Putsch di Monaco”, che segnò l'ascesa di Adolf Hitler, io personalmente voglio spingermi oltre e proporre invece un parallelismo con il “Sacco di Roma” da parte dei visigoti di Alarico avvenuto il 24 di agosto del 410 d.C. e che segnò definitivamente l'inarrestabile declino della “Pars Occidentalis” dell'Impero Romano. Se tale parallelismo può sembrare a prima vista drastico ed esagerato, è tuttavia necessario soffermarsi su una serie di punti importanti.

Per prima cosa, la condotta da parte del presidente in carica, Donald Trump, il quale ha letteralmente “preparato il terreno” per quello che, a tutti gli effetti, è stato un tentativo di colpo di stato in piena regola. Non solo, dopo aver aizzato la folla contro le istituzioni, delegittimandole, Trump ha utilizzato le piattaforme dei social media come Facebook e Twitter per inviare messaggi volutamente ambigui che, sebbene all'apparenza sembrassero pacificatori, ad una più attenta analisi si sono rivelati tutt'altro. In particolare il riferimento quasi ossessivo ai “brogli elettorali” ed alla “vittoria rubata”.

Qui è necessario aprire un'importante parentesi perché, sebbene si sia parlato a lungo delle elezioni presidenziali del novembre 2020 come “truccate”, alla prova dei fatti non è emerso a tutt'oggi nulla, e tutti e 60 i ricorsi legali presentati dal team di Trump sia a livello federale che a livello degli stati citati in causa come sede di brogli (Arizona, Nevada, Michigan, Pennsylvania e Georgia) sono stati rigettati tutti fuorché uno (il quale è comunque inerente a questioni di natura procedurale e, hanno tenuto a precisare le autorità giudiziarie, non inficia assolutamente il risultato del voto). In sostanza, le elezioni sono state libere e regolari, non vi sono stati brogli e il voto a favore di Biden è stato schiacciante sia sul fronte del voto popolare che su quello del cosiddetto “Collegio Elettorale”; punto.

Anche coloro tra noi che hanno la passione per le teorie cospirative dovrebbero attenersi ai fatti e non lasciarsi andare a selvagge speculazioni di carattere emotivo o partigiano. Da questo punto di vista, il paragone con le elezioni del 2000 che videro scontrarsi George W. Bush ed Al Gore non ha semplicemente senso. Nel caso delle elezioni del 2000, Al Gore vinse nel voto popolare con uno scarto di poco più di mezzo milione di voti ma, la battaglia decisiva per in controllo dello stato della Florida che garantì la vittoria ai Repubblicani grazie al metodo del “Collegio Elettorale”, vide prevalere George W. Bush solamente per 537 voti ed il riconteggio venne bloccato da un pronunciamento a maggioranza (5 a 4) della Corte Suprema in favore di Bush che fa ancora oggi discutere gli esperti di diritto anglosassone. Con un tale minuscolo margine, inferiore allo 0,009%, allora parlare di brogli potenziali (anche piccoli) ha effettivamente senso.

Nel caso delle elezioni Trump vs Biden, il margine a favore di Biden è stato di oltre 7 milioni di voti nel voto popolare, e in tutti e 5 i cosiddetti “stati della discordia” sopra menzionati la differenza di voti è stata robusta a favore del candidato democratico che ha trionfato in tal modo anche nel “Collegio Elettorale”.

Uno scenario di brogli a favore di Biden e contro Trump presupporrebbe un'operazione di scala enorme, degna dei regimi autocratici ed una connivenza a tutti i livelli che francamente è impensabile in una società democratica ed aperta. Nell'era della TV, di Internet e dei social media, dove tutto diviene istantaneamente “virale”, le prove a sostegno della tesi del complotto si sarebbero moltiplicate immediatamente fino a diventare un fiume in piena.

Alla luce di quanto detto sino ad ora, continuare a difendere la cocciutaggine di Trump a non voler concedere la vittoria è semplicemente sciocco, e condonare l'atto di aizzare i manifestanti contro le istituzioni è addirittura criminale.

Un altro elemento sul quale è necessario riflettere è la pessima prestazione dimostrata dalle agenzie di intelligence e dalle forze di polizia e di sicurezza. Nonostante le avvisaglie in questo senso ci fossero già da dicembre, le agenzie di intelligence e di sicurezza degli Stati Uniti, in particolare l'FBI, che avrebbe la giurisdizione in questi casi inerenti alla sicurezza nazionale, non si sono dimostrate assolutamente in grado persino di ipotizzare che una folla di estremisti di destra avrebbe potuto costituire un rischio per la sicurezza nazionale e l'ordine costituzionale del paese, anche quando, il 5 di gennaio, il National Park Service aveva lanciato l'allarme che nei dintorni di Washigton si fossero già radunate circa 30.000 persone desiderose di partecipare alla “Marcia per Salvare l'America”, e che molte di esse fossero addirittura armate.

Lo schieramento da parte della “Capitol Police” e del “Secret Service” non era poi adeguato a garantire la sicurezza degli edifici governativi e dei congressisti, specialmente se raffrontato al mastodontico spiegamento registrato in occasione delle manifestazioni del movimento di protesta denominato “Black Lives Matter”. Tale disparità di trattamento tuttavia non deve stupire più di tanto dato che, agli occhi e nell'immaginario del “braccio armato” dello “stato profondo” americano, da sempre in rapporto di tacita connivenza con la destra più o meno estrema, movimenti come le “organizzazioni per i diritti civili delle minoranze” oppure “ANTIFA” rappresentano un rischio per la sicurezza nazionale assai maggiore che non le forze oscure del nascente “Fascismo Americano” (perché di questo ormai si tratta e noi dovremmo iniziare a famigliarizzare in fretta con questo termine!). Non si spiegherebbe altrimenti come mai colonne di suprematisti bianchi armati anche di fucili d'assalto vengono lasciate sfilare per le strade delle città americane mentre ben 85 poliziotti hanno circondato ed arrestato l'attrice Jane Fonda in occasione di una protesta relativamente minore per il clima.

È giusto in questo frangente chiedersi: può una vecchietta di 83 anni (quantunque arzilla e mordace) come Jane Fonda costituire una minaccia per la sicurezza nazionale della maggiore potenza militare del mondo più grande che non le “legioni” di energumeni armati di tutto punto e dal grilletto facile? Ad ognuno la risposta secondo la propria sensibilità.

Un ulteriore elemento di preoccupazione è poi quello della cosiddetta “infiltrazione politica”. Secondo le parole dell'attivista di destra Ali Alexander (nato Ali Akbar), e successivamente confermate sia dal Washington Post che dall'FBI, era dagli inizi di dicembre che lo stesso Ali Alexander stava pianificando assieme ai congressisti repubblicani maggiormente “trumpiani” Paul Gosar, Andy Biggs e Mo Brooks di organizzare qualcosa di eclatante per la giornata del 6 di gennaio. Parole queste gravissime perché ci porterebbero nello scenario della sedizione interna pianificata (indipendentemente che Trump ne fosse o meno informato).

Non solo; secondo quanto emerso dalle investigazioni successive, ben 16 membri Repubblicani eletti o uscenti di una delle varie legislature di stato hanno partecipato all'assalto a Capitol Hill, in alcuni casi persino riprendendo se stessi in mezzo alla folla mediante i cellulari personali.

A conti fatti, gli eventi del 6 di gennaio rappresentano un vero spartiacque non solo per gli USA ma anche per il mondo intero. Essendo tutti noi cresciuti in un mondo dominato dagli Stati Uniti d'America, abbiamo finito per ritenere veramente che la “Nazione a Stelle e Strisce” fosse, utilizzando una frase utilizzata più volte in passato da Massimo D'Alema: “La Nazione Insostituibile”, dimenticandoci che invece la Storia va avanti e che tutti i paesi e gli imperi, sia grandi che piccoli, sono soggetti agli stessi processi di aggregazione e disgregazione che mettono costantemente alla prova la tenuta delle compagini statuali e delle società civili.

Quanto avvenuto a Washington DC il 6 di gennaio di quest'anno è un “unicum” nella storia americana perché mai era successo che una folla mossa da intenti destabilizzatori basati su concrete ragioni ideologico-politiche avesse avuto l'ardire di sfidare così apertamente “lo Stato”, per giunta occupandone e devastandone il “Santuario” per eccellenza, quel Campidoglio costruito appositamente per rappresentare “la grande tenda” (usando un'allegoria del Far West), oppure “l'Olimpo” (andando invece a collegarsi con l'Antichità Classica di matrice europea tanto cara alle élite globaliste statunitensi), dove dimorano e vengono custoditi i simboli spirituali ed ideologici del “sistema America”.

Con una mossa allo stesso tempo audace e sconsiderata, gli americani sono diventati in un colpo “i barbari di loro stessi” e la gente si è risvegliata il 7 di gennaio con la certezza che i peggiori nemici dell'America non sono situati nelle lontane steppe russo-cinesi né negli anfratti di qualche caverna dell'Asia Centrale o nei deserti del Medio Oriente ma in mezzo a loro, esattamente come le masse di schiavi e contadini che nel 410 d.C. si rivoltarono contro il dominio imperiale ed aprirono le porte dell'Urbe alle orde dei visigoti di Alarico salutato al tempo come un “liberatore” dagli eccessi della corte imperiale.

Che piaccia o meno, il “mito dell'America” è andato in frantumi e anche se (esattamente come nel 410 d.C.) l'Impero non terminerà domani, il vaso di Pandora è stato definitivamente scoperchiato, gli USA ne sono usciti come un paese diviso e nel quale una larga fetta di irriducibili ha perso fede nella “missione storica”, nella democrazia rappresentativa e nel “Destiny Manifesto” e adesso sta a noi monitorare a filtrare gli eventi per tentare di capire che tipo di “fabbrica di instabilità” diventeranno gli Stati Uniti nei prossimi anni.

Foto: Tyler Merbler / Kerstie Bush / PBS / Tyler Merbler / web / The National Guard