Logistica e Potenza Nazionale: una riflessione

(di Filippo Del Monte)
24/02/21

Per la sua posizione geografica protesa al centro del Mediterraneo, l’Italia nel corso della sua storia ha sempre rappresentato un punto di partenza ed approdo per i commerci internazionali. La rinnovata centralità del Mare Nostrum nelle dinamiche economico-commerciali garantisce all’Italia un ruolo importante come hub, la chiave di volta della politica estera di Roma, il pilastro del suo “potenziale di ricatto”.

Non si deve dimenticare però che una costante che ha attraversato ogni ciclo storico – si potrebbe dire quasi una “legge trascendente” della geopolitica italiana – è stata l’obbligo di difendere, anche manu militari quando necessario, questo ruolo attraverso il mantenimento dello status quo nel Mediterraneo; compito al quale, con alterne vicende, hanno assolto nel corso dei secoli Roma (nella tarda repubblica ed in età augustea), le repubbliche marinare (all’avvento degli ottomani e delle grandi monarchie nazionali europee) ed il Regno d’Italia (1870-1914).

Già Dino Grandi e la schiera dei diplomatici “ventottisti” nel decennio 1928-1938, oltre naturalmente alla scuola italiana di geopolitica a Trieste, avevano individuato nella posizione geografica dell’Italia il “peso determinante” per la sua proiezione imperiale, sull’esempio dei realisti classici del Risorgimento come Cavour e Durando ed anche sulla scorta della “politica mediterranea” di Pasquale Stanislao Mancini. La globalizzazione selettiva, il ritorno del multipolarismo (nella sua forma imperfetta), le crisi politico-militari in Nord Africa e nel Levante – quindi nell’”estero vicino” dell’Italia – e l’impatto socio-economico della pandemia hanno nuovamente messo in dubbio le possibilità italiane di “proiettare” influenza e quindi potere all’esterno.

Se le conquiste territoriali e la tradizionale politica di potenza non sono di certo scomparse dagli orizzonti internazionali, il paradigma neo-liberale del geopolitico indiano Parag Khanna secondo cui all’inizio del XXI secolo la “capacità di connessione” determina la potenza di uno Stato è corretto, anche se necessita di essere integrato nella dinamica realista del controllo delle arterie commerciali e delle infrastrutture transfrontaliere per scopi prima politici e, solo dopo, economici. L’assunto determinante di uno dei fondatori della “scienza logistica” italiana in campo militare, il generale Coriolano Ponza di San Martino, era che la modernizzazione delle infrastrutture portuali e ferroviarie della Penisola avrebbe consentito al Regno d’Italia di giocare un ruolo fondamentale nelle dinamiche politico-strategiche europee. In altre parole, la logistica (branca dell’arte militare che, assieme alla strategia, è divenuta “globale” e quindi politica) è uno dei fattori della potenza di uno Stato.

Teorizzare ed attuare l’ammodernamento ed il potenziamento in particolare dei porti e delle strade ferrate in Italia non è più rimandabile, questo perché nella caoslandia mediterranea Roma può rappresentare un fattore di stabilizzazione ed anche perché è dalla difesa del suo ruolo di canale privilegiato dei commerci da e per l’Europa che passa la sua sopravvivenza nell’arena internazionale.

Che il potenziamento della logistica equivalga ad un rafforzamento più generale della potenza italiana è testimoniato dai dati: il giornalista Raimondo Fabbri ha evidenziato come “il cluster della logistica nel suo insieme, incide per il 14% sul PIL italiano, registrando 150.000 imprese nel settore e un milione di addetti (corrispondente a circa il 5% dell’occupazione complessiva). Valori che, seppur inferiori a quelli di nazioni come la Germania, mostrano quanto il cluster portuale sia un settore strategico di primaria importanza nel sistema internazionale dei trasporti. Nello scenario euro-mediterraneo poi, la centralità della Penisola è testimoniata dagli alti volumi intercettati dai porti italiani, rendendoci come uno dei leader in ambito EU per merci trasportate in Short Sea Shipping nel Mediterraneo con 204,4 mln di tonnellate (37,5% del totale)”.

Dunque, la trasformazione dei porti italiani (e del loro retroterra ferroviario e stradale) in hub internazionali non è più rimandabile ed offrirebbe, sul piano interno, ampie possibilità di sviluppo per il Mezzogiorno quale punto d’arrivo e smistamento preferenziale delle merci mediterranee, sul piano geostrategico, il collegamento con le grandi reti di traffico del Nord Europa in un’ottica di “collaborazione competitiva”.

Il “triangolo marittimo” Genova-Gioia Tauro-Trieste e quello industriale Torino-Genova-Milano, rappresentano il collegamento ideale tra la dimensione mediterranea e quella europea del commercio estero italiano che riproduce, su scala economica, le linee direzionali della politica estera di Roma e se ne fa strumento ambizioso.

Da questo punto di vista è bene sottolineare che dallo sviluppo delle “aree interne” – di cui si fa un gran parlare – e nello specifico di quelle zone che per posizione ed infrastrutture possano fungere da “collegamento” passi fondamentalmente anche quello dei grandi poli produttivo-logistici marittimi e dell’entroterra e che l’attuazione del “Piano Nazionale della Logistica” non può essere ulteriormente rimandato.

La logistica è dunque uno strumento della politica di potenza e delle ambizioni nazionali, resta da vedere quanto lo Stato abbia intenzione di incanalare i piani di sviluppo entro le dinamiche dell’interesse nazionale e non lasciare solo ed esclusivamente ai privati l’iniziativa. Per fare questo occorre attuare una politica di salvaguardia della proprietà nazionale sulle infrastrutture strategiche e, contemporaneamente, favorirne il rafforzamento. Ne va anche della politica estera e di difesa dell’Italia.

Foto: A.P. Moller - Maersk