La linea Guerini: ecco le sfide della Difesa italiana

11/03/21

Il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, ha espresso le linee programmatiche del suo dicastero davanti alle Commissioni di Camera e Senato. Un’occasione molto importante per l’intero sistema di Difesa italiano, dal momento che è anche da questo rapporto che si evince la strada intrapresa dal titolare di via XX Settembre per il prossimo futuro.

L’Italia non è solo coinvolta nella cosiddetta “guerra al Covid”. Il messaggio lanciato da Guerini è che le sfide italiane sono su vasta scala. La Difesa ha saputo reagire in maniera rapida ed efficace sul fronte dell’emergenza coronavirus, confermando - sia nel tracciamento dei contagi sia nella somministrazione dei vaccini - il possesso di strumenti che hanno saputo far fronte a quello che lo stesso ministro ha definito un test “per molti aspetti anche più severo di alcuni scenari di crisi e conflitti armati”.

Tuttavia, spostare l’attenzione sulla Difesa come strumento “civile” in ambito emergenziale, non deve far dimenticare la vera missione dell’apparato militare. Che è appunto quella di tutela dei confini nazionali, degli interessi strategici e la proiezione di forza dell’Italia nel mondo. Queste direttrici rimangono essenziali per comprendere il ruolo dell’Italia in questa delicatissima fase di transizione geopolitica che coinvolge l’arco del Mediterraneo allargato sfociando direttamente nell’Indo-Pacifico. Una vera e propria faglia di caos dove si incontrano le tre grandi superpotenze e che vede coinvolta direttamente l’Italia. A partire dalla sua Difesa, molto spesso sottovalutata nella sua rilevanza strategica e diplomatica a partire dal mondo politico.

Proprio per questo motivo, Guerini ha voluto riaffermare le tre direttrici su cui puntare. Il rafforzamento delle capacità espresse durante la pandemia servirà per sostenere il Paese nelle situazioni di emergenza. Ma nella quotidianità – auspicata – le linee guida devono essere quelle di “contribuire fattivamente alla sicurezza internazionale e alla tutela degli obiettivi strategici nazionali” adeguando lo Strumento militare alle sfide del tempo, sia sotto il profilo quantitativo, sia sotto quello qualitativo.

Le sfide per la tutela degli interessi nazionali non sono poche. In un momento in cui la Nato appare in una completa fase di ripensamento e con l’Unione europea che appare ancora ben lontana da costruire una Difesa realmente comune, l’Italia ha davanti a sé uno scenario molto complesso.

L’area a cui fa riferimento Guerini, e che in modo ormai anche riduttivo può essere definita come quella del Mediterraneo allargato, vede il sorgere di nuove forze, il risorgere di potenze con antiche proiezioni “imperiali”, un ripensamento della strategia americana e l’esplosione di una serie di conflitti ibridi senza che si riesca a intravedere la fine.

A poche miglia dai confini italiani, la Libia è ancora un ginepraio spartito tra autorità deboli, milizie più o meno tribali e due potenze, come Russia e Turchia, che hanno raggiunto un accordo di fatto per suddividere le aree di influenza. Gli uomini della Marina si trovano quindi direttamente coinvolti in uno scenario dove le forze europee sembrano arretrare, con il comando di Irini che conferma il ruolo di Roma nella gestione dell’embargo. Una sfida complessa, quella libica, in cui rientra il mai risolto nodo dei flussi migratori irregolari e della delimitazione delle SAR (Search and Rescue, ndr).

In Medio Oriente, la situazione è tutt’altro che idilliaca per gli interessi strategici italiani ed europei. In Siria, le ultime fiammate del conflitto con raid in varie parti del territorio formalmente controllato da Damasco, dimostrano che la guerra per procura è tutt’altro che finita.

In Libano, dove la Marina e l’Esercito hanno inviato i loro uomini subito dopo la gravissima esplosione di Beirut, le tensioni non accennano a placarsi e il paese subisce sulla propria pelle l’inquietante scenario siriano e il conflitto ad ampia scala che ha come obiettivo la sfera di influenza iraniana. Il recente viaggio di Papa Francesco ha inoltre acceso nuovamente i riflettori sull’Iraq: un Paese devastato dalla guerra dove sono impegnati anche i militari italiani che, proprio per il loro ruolo imprescindibile nelle dinamiche belliche, guideranno la Missione al termine del Comando danese.

Conflitti di particolare rilevanza, cui si aggiungono quelli in cui ormai da anni sono operativi i nostri uomini. L’impegno nei Balcani occidentali, soprattutto con la Missione KFOR, ricorda che il fronte a est dell’Adriatico deve rappresentare un focus di primo piano per chiunque sia al governo a Roma. Mentre in Afghanistan, dove è in corso un ripensamento strategico sia dell’impegno americano che di quello NATO, gli italiani sono ancora direttamente coinvolti nei compiti imposti dall’appartenenza all’Alleanza. Specialmente in una fase in cui è possibile un colpo di coda delle frange islamiste.

A questi impegni già noti, se ne aggiungono o sono subentrati altri che dimostrano l’ampliamento del quadro operativo italiano. Per quanto riguarda il Golfo Persico, non va dimenticata la possibilità di un coinvolgimento diretto dell’Italia (e in particolare della Marina), nel quadro della EMASOH (European-led Maritime Awareness Strait Of Hormuz). Guerini ha tenuto a precisare che l’impegno politico potrebbe presto tramutarsi in un impegno di tipo bellico. E in questo senso risulta importante anche confermare il ruolo expeditionary della Marina, che sempre più rappresenta uno strumento indispensabile di proiezione di forza e tutela degli interessi nazionali all’esterno dei confini.

In questi giorni, dovrebbe poi diventare pienamente operativa Task force Takuba, la missione internazionale richiesta dalla Francia per sostenere le truppe di Parigi e degli Stati del Sahel nel controllo del territorio e nella lotta ai ribelli e alle forze islamiste. Una missione fin troppo sottovalutata, anche a livello mediatico (v.articoli), che però ricorda come quell’area africana sia particolarmente importante per l’Italia.

Lo dimostra, ad esempio, il coinvolgimento della Marina nel Golfo di Guinea per il contrasto alla pirateria. La presenza di unità navali nell’Atlantico africano – così come nel Golfo di Aden per quella somala – è una questione molto significativa nel panorama del Mediterraneo allargato o di quello che si ritiene possa essere, con la felice intuizione di un giovane studioso, l’infinito Mediterraneo. La sicurezza delle rotte commerciali che solcano le acque del Golfo di Guinea, così come quelle di Aden, è un tema che interessa direttamente le imprese coinvolte nel settore della navigazione, gli armatori ma anche coloro che operano per altri interessi strategici italiani: come nell’estrazione degli idrocarburi. La libertà di navigazione rimane quindi un fattore determinante delle scelte strategiche italiane, ma ciò non esclude che siano molti gli attori interessati a ciò. Non è un caso che lo spostamento del focus americano sull’Indo-Pacifico abbia coinvolto anche le flotte del Regno Unito, della Francia e della Germania, che hanno deciso da tempo di inviare proprie unità nell’oceano Indiano o spingendosi addirittura nel Mar Cinese Meridionale. Quelli che appaiono mari o oceani distanti dal Mediterraneo, in realtà rappresentano tutti bacini fortemente collegati tra loro attraverso le rotte commerciali che uniscono non solo le economie, ma soprattutto le culture e gli interessi delle potenze costiere.

Naturalmente questi scenari di crisi devono essere supportati da Forze Armate efficaci ed efficienti. La corsa all’evoluzione tecnologica non conosce sosta, costringendo tutti i governi a implementare non solo a livello economico, ma anche a livello di organico, i rispettivi Strumenti militari. Anche per questo motivo, in audizione Guerini ha confermato il suo impegno per una revisione della legge 244 del 2012 che ne mitighi gli effetti distorsivi. I problemi legati alla carenza di organico, alle modalità di reclutamento e all’invecchiamento del personale vanno di pari passo con una richiesta crescente di know-how, personale adeguato agli sviluppi strategici, tecnologici, economici e anche sanitari. Lo stress cui è sottoposto l’intero comparto Difesa, direttamente coinvolto anche in settori della vita quotidiana che non sono propriamente militari – lo si è visto appunto nell’emergenza della pandemia e nella sua successiva gestione – è un campanello d’allarme che riguarda l’intero sistema-Paese. La componente civile e quella militare sono elementi essenziali e insostituibili della Difesa: l’aggiornamento e il miglioramento degli organici diventa per questo motivo ancora più impellente.

Lorenzo Vita – Centro Studi di Geopolitica e Strategia Marittima

Immagini: Senato / ministero della Difesa / Twitter / Ministère des Armées