Ivan, quando il crimine (non) paga

(di Gino Lanzara)
11/04/22

C’era una volta l’Armata Russa; a lungo considerata il secondo miglior esercito del mondo1, alla prova dei fatti l’armata si scopre affetta da contraddizioni e paradossi.

In Ucraina l’imprevisto perdurare degli scontri ha posto in risalto il contrasto tra la raffinatezza della guerra ibrida del generale Gerasimov e tra mezzi poco efficienti, una logistica carente, un’aeronautica assente e soldati ancora troppo giovani per morire in scontri così feroci o per scavare trincee nella terra contaminata della zona di alienazione di Chernobil2.

Una blitzkrieg che doveva risolversi in un rapido trionfo, si è impantanata tra le pozze di un fango tenace come l’acciaio che ha fiaccato l’iniziale violenza bellica russa.

La mancanza di coordinamento tra aviazione e reparti di terra, spesso lontani dalla portata di un’accettabile copertura aerea, ha amplificato la vulnerabilità agli attacchi portati dagli ucraini forti delle dotazioni di droni turchi e missili anticarro americani. Mentre la strategia comunicativa russa punta a mantenere costante una tensione che dovrebbe incidere su andamento e natura sia convenzionale sia asimmetrica dei conflitti, spicca un PowerIndex basato sul rapporto demografico tra popolazione e consistenza numerica del personale militare, esigua sul versante europeo e più forte su quello caucasico.

È qui che bisogna rimanere, sul personale, elemento fondamentale ma spesso incontrollabile tanto da rendersi più o meno consapevolmente responsabile di azioni che richiedono l’intervento della Corte penale internazionale. Non a caso il procuratore capo Karim Khan ha promosso l’iniziativa di indagare su quanto accaduto a partire sia dai crimini commessi durante la violenta repressione delle proteste avvenute a Kiev tra il 2013 ed il 2014, sia da quelli perpetrati in Crimea e nell’Ucraina orientale, reati per cui ancora più facilmente si può parlare di crimini di guerra, di violazioni delle protezioni stabilite e delle procedure e norme di combattimento punibili in virtù di quanto prescritto da trattati e leggi internazionali riguardanti il diritto bellico.

Non stupiamoci: i corpi abbandonati sulle strade di Bucha non sono altro che il visibile picco di altri crimini già perfezionati dal momento del primo lancio missilistico su obiettivi non legittimi, e fin da quando l’artiglieria russa ha iniziato a tirare indiscriminatamente secondo lo stesso copione recitato a Grozny e Aleppo.

Bucha è probabilmente la punta di un iceberg che, emergendo, ha cominciato a mostrare i morti carbonizzati di Borodyanka e Irpin, una montagna di ghiaccio e sangue che rievoca i volti degli 8000 bosniaci di Srebrenica massacrati dai serbi ed ammassati in enormi fosse comuni. Il gioco non cambia, la guerra nemmeno; mentre Lavrov bolla tutto come un fake orchestrato dall’Occidente e le cancellerie europee allontanano diplomatici russi quali personae non gratae, la recita segue lo stesso consueto canovaccio per cui la conoscenza delle operazioni rimane a compartimenti stagni, dove nessuno è consapevole del disegno complessivo secondo una tecnica propria dell’intelligence da cui proviene il presidente russo. Se mai si arriverà ad un giudizio dinanzi ad un tribunale, qualunque dirigente militare o politico potrà negare di aver saputo, scaricando transitivamente la responsabilità verso il basso. Difficilmente si saprà davvero qualcosa; basti pensare ai rimbalzi di responsabilità conseguenti agli accertamenti che dal 2014 cercano di fare luce sull’abbattimento del Boeing della Malaysia Airlines che sorvolava l’Ucraina orientale.

La scelta russa di gettare nella mischia siberiani, ceceni, mercenari cui è stata concessa la facoltà di uccidere civili e distruggere interi villaggi non è casuale, e si ricollega al discorso di Putin del 21 febbraio, in cui viene negato il diritto all’esistenza dell’Ucraina quale nazione e si legittima un potere che non risponde mai di ciò che fa, sia che punisca chi osa definire con il suo termine – guerra – la situazione attuale, sia che avveleni col polonio dissidenti e fuorusciti.

Con Putin la storia russa è tornata indietro di 70 anni, a Stalin, alla banalità del male del massacro dei 22000 ufficiali, dirigenti e giornalisti polacchi nella foresta di Katyn, alla strage di Nemmersdorf del 443, tutte cose che non hanno impedito la partecipazione sovietica ai procedimenti penali susseguenti ad un processo storico che partendo da Guernica è passato da Coventry per arrivare a Dresda. Ora come allora la Russia ha solo da guadagnare nel terrorizzare i civili perché non supportino il loro esercito, che non può colpire altro che obiettivi russi.

Di violazioni ne sono state commesse tante, troppe: dal trasporto di armi e munizioni con i mezzi di soccorso, fino al tiro contro obiettivi civili, all’uso delle bombe a grappolo, alle imboscate a danno di giornalisti, medici, vigili del fuoco, gente in fila per il pane, alla demolizione di ospedali.

L’invasione russa ha dato corpo ad una guerra di annessione etnica storicamente rétro ma combattuta con mezzi moderni e letali. Inevitabile la caccia al colpevole dei crimini di Bucha, le cui immagini hanno colpito le dormienti coscienze europee, una caccia sospinta dalle rivelazioni di diversi siti che, con localizzazioni e tag, sembrano aver confermato la presenza nella zona dell’unità 51460 corrispondente alla 64 brigata di artiglieria motorizzata russa di stanza a Chabarovsk all’estremo oriente confinante con la Jacuzia.

I condizionali sono d’obbligo quando si tratta dei maestri della disinformazione, che hanno bollato la vicenda come fake news. Quel che è certo è che le risorse impegnate dal governo russo per modernizzare l’esercito non sono riuscite a cancellare le tare genetiche preesistenti. L’ibridazione tecnologica della guerra, che ha avuto parte nell’annessione della Crimea e nel sostegno ai separatisti delle regioni orientali ucraine, non può far dimenticare la Cecenia, l’incidente del sottomarino nucleare Kursk, i diversi episodi di fuoco amico avvenuti durante la guerra a supporto dell’Ossezia del sud, fino alla piccola bottega degli orrori siriana.

Manca ancora una politica dedicata alla Ricerca&Sviluppo, così come si sta mostrando colpevolmente tardiva la consapevolezza della crisi demografica che ha colpito la parte europea, e che obbliga al reclutamento di calmucchi, ingusci, daghestani, osseti.

L’esercito comincia ad essere stanco, trapelano notizie di insubordinazioni: il morale è basso, le armi efficienti e nuove mancano4; i servizi sembrano aver sbagliato le loro previsioni: potrebbero profilarsi insurrezioni violente contro cui sarebbe difficile mantenere il controllo. Gli eventi battono il ritmo, la disponibilità di tempo sempre più esigua per ambedue le parti, obbligate ad acquisire vantaggi sul campo.

La scia dei crimini di guerra, cominciata a Grozny, viene denunciata dalla giornalista Anna Politkovskaja, assassinata poi a Mosca nel 2006, e prosegue con lo sciacallaggio operato da soldati che, razziato tutto il possibile nelle case ucraine, lo hanno poi spedito via posta (!) dalla Bielorussia alle loro case5. Se non fosse una tragedia sarebbe uno spettacolo paradossale; ridicolo già lo è: la qualifica di operazione militare speciale, e non di guerra, sta permettendo l’istruzione di ricorsi giudiziari finalizzati ad evitare l’invio in zona di operazioni. Evidentemente, per la Rosgvardia, il mantenimento manganellante dell’ordine pubblico verso i civili in piazza è più appetibile delle operazioni condotte contro un nemico feroce, armato e determinato che, anche in Donbas, continuerà a resistere in modo asimmetrico.

Se i coscritti russi sapevano poco o nulla, è stato indispensabile dover ricorrere alle minoranze etniche e povere delle campagne, disprezzate dalla componente russa, arruolate con contratti vincolanti e la promessa di denaro. L’esercito russo è l’esercito di minoranze che non hanno affinità con l’imperialismo moscovita.

Ma il parziale ostracismo internazionale alimentato soprattutto da quei Paesi che più fortemente hanno sofferto l’egemonia russa, con la sospensione dal Consiglio dei diritti umani delle NU di Mosca, che peso ha nella rinuncia europea alle forniture di gas? Poco, come poco peso finora lo hanno avuto i crimini già commessi; le misure allo studio intendono colpire carbone e trasporto marittimo senza intaccare significativamente, al momento, petrolio e gas, l’ossigeno idrocarburico dell’economia russa.

Sullo sfondo l’ennesima debacle delle istituzioni internazionali, di fatto molto poco incisive; nel suo intervento alle NU, Zelensky ha ribadito che l’invasione ha reso evidente l’impossibilità di prevenire le aggressioni internazionali, commenti che hanno riflesso la latente frustrazione per il fallimento delle istituzioni internazionali, con l’OSCE, che ha abbandonato la missione di monitoraggio dall'Ucraina orientale dal primo giorno di guerra, e l’AIEA, impotente di fronte agli assalti (suicidi) russi ai siti nucleari.

Che i fatti, per ora di Bucha, possano rientrare in inchieste penali internazionali rientra in procedure consolidate6; come si possa procedere in un futuro peraltro ancora indefinibile, è molto più difficile, viste differenti competenze e possibilità di intervento della Corte Internazionale di Giustizia e della Corte Penale Internazionale7. Mancano i mezzi per prevenire e reprimere effettivamente i crimini di guerra, tanto che si può immaginare il diritto internazionale bloccato con la sua cartellina tra le mani all’ingresso del consiglio di sicurezza delle NU.

Tiriamo le somme partendo dalle idee. L’attuale ideologia russa, che con Aleksandr Dugin è incredibilmente riuscita a rendere popolare il tedesco Carl Schmitt, ha saldato l’ortodossia religiosa alla forza militare8: non devono quindi stupire gli appelli alla chiamata alle armi del patriarca Kirill, validissimo cappellano di regime. Che poi la chiamata dall’altare cristiano ortodosso si indirizzi soprattutto a soldati musulmani poco importa; sta di fatto che nell’esercito russo, a parte i quadri dirigenziali, le minoranze etniche9 costituiscono una maggioranza che non sente la guerra come propria, aspetto questo che, per rimanere in tema chiesastico, manda le motivazioni trascendenti a farsi benedire.

Il livello di istruzione delle minoranze è basso, l’equipaggiamento approssimativo, le loro destinazioni interessano reparti con armamenti poco sofisticati e talvolta colpiti da diserzioni e ammutinamenti vista anche la costante pratica della dedovschina10.

In questo contesto arrivano sulla scena i ceceni di Ramzan Kadyrov, poco esposti in combattimento ma sempre pronti a subentrare nei territori già conquistati. Difficile tra le stellette russe eradicare la corruzione; appropriarsi di beni dello Stato è pratica in fondo comprensibile, con l’aspetto delle conoscenze personali che assume rilevanza, con un’interpretazione di forme di morale portate a prevalere, secondo una sorta di geometria variabile, sulle regole disciplinari scritte, con punizioni più miti rispetto al passato che permettono di mantenere in servizio graduati svegli e capaci di operare ponendosi nelle zone grigie che la guerra impone e che le varie corti di giustizia difficilmente potranno scalfire.

Mentre si profila uno scenario da guerra di logoramento a bassa intensità con la resistenza ucraina, giungono voci di disobbedienza nei reparti russi, evidentemente colpiti dall’impatto con un nemico ben diverso da quello ceceno o siriano.

1 Il Global Firepower, indice che stabilisce la forza militare dei vari Paesi, fornisce un quadro da cui si evincono i forti investimenti militari russi pari a circa 154 miliardi di USD per anno.

2 Secondo fonti USA diversi soldati sarebbero stati già ricoverati in un ospedale dedicato alla cura delle patologie causate dall'esposizione a radiazioni nucleari. Se ci fossero conferme, si evidenzierebbe un grave livello di impreparazione che ha condannato i soldati a un'esposizione letale.

3 crimine di guerra compiuto dall’Armata Rossa nella Prussia Orientale contro civili tedeschi e prigionieri di guerra francesi e belgi. Poiché il territorio fu spartito tra URSS e Polonia, i fatti furono censurati per più di 40 anni.

4 la percentuale di fallimento nel lancio dei missili sarebbe del 60%.

5 decine di carri carichi di merci sono stati avvistati nella città ucraina di Buryn; altri camion si concentrano nella bielorussa Mazyr in Bielorussia. Gli oggetti più voluminosi vengono inviati al bazar Narovlya; il resto prosegue per la Russia.

6 Indagine già annunciata dalla Corte penale internazionale e dall'Ufficio dell'Alto Commissario per i diritti umani

7 La CIG ha il compito di risolvere le controversie tra Stati membri delle NU, la Corte penale internazionale, si occupa dei crimini internazionali commessi dagli individui e non dagli Stati. La CPI esercita le proprie funzioni ed i propri poteri sul territorio di qualsiasi Stato Parte della Convenzione di Roma ma, mediante apposita convenzione, la sua giurisdizione può estendersi al territorio di qualsiasi Stato ne faccia richiesta. Se un crimine entra a far parte del diritto internazionale consuetudinario, la giurisdizione della Corte è estesa anche agli Stati non firmatari della Convenzione di Roma.

8 Il simbolo più significativo di quest’unione è individuabile nella costruzione della cattedrale moscovita, nel Parco della Vittoria, dedicata alle forze armate russe.

9 Kazakistan, Daghestan, Buriazia, Astrakan

10 pratica informale del nonnismo e dell'abuso dei giovani coscritti

Foto: Минобороны России