Forze civili o protezione armata?

(di Nicolò Manca)
09/03/21

Il solco del dual-use tracciato dall’aratro-Trenta oggi viene difeso da molte spade, non solo politiche ma anche militari. È pur vero che parafrasando uno storico slogan si può affermare che “dove c’è emergenza c’è esercito”, ma in una machiavellica ottica politica si preferisce invertire il rapporto dei termini e far passare il messaggio “dove c’è esercito c’è emergenza”, perché è la presenza stessa della divisa che sancisce l’ufficialità dell’emergenza e giustifica il ricorso a misure straordinarie.

Destinata a restare negli annali del dual-use è la surreale immagine della coppia in mimetica che, arma in pugno, pattuglia una spiaggia frequentata da bagnanti in vacanza. Altrettanto emblematica l’immagine dell’epica manovalanza emergenziale portata a termine da due uomini in mimetica che, sotto l’occhio vigile di un carabiniere, scaricano da un tir uno stock di banchetti con le rotelline destinati alla rottamazione ancor prima del loro utilizzo. Un impresa che ovviamente non poteva essere portata a termine né dal personale scolastico addetto alla manovalanza né da una squadra dell’armata dei 300.000 in forza alla Protezione Civile né tanto meno da un minuscolo manipolo delle legioni che percepiscono il reddito di cittadinanza (circa un milione e trecentomila disoccupati). No! È sufficiente chiamare in causa l’esercito e si trova chi risponde al volo “signorsì”, e il gioco è fatto.

La prodigalità del vertice politico nell’offrire ad ogni piè sospinto il concorso delle forze armate rischia però di far apparire lo strumento militare come l’inconsapevole pedina di messe in scena politiche e di iniziative talvolta estemporanee, causa spesso di spreco di pubblico denaro.

L’ultima dichiarata disponibilità a concorrere alla vaccinazione generale del paese “operando h 24” contrasta con un contesto caratterizzato dalla grave penuria di materia prima, i vaccini, e dalla disponibilità delle inutilizzate “primule” volute dall’ex commissario Arcuri.

Richiamando alla memoria uno sconsolato rapporto indirizzato dal comandante dell’artiglieria borbonica al re Franceschiello: “Maestà, nun putimm sparà, primo pecchè nun tenimm cannoni”, oggi si potrebbe replicare: “Signor ministro, non possiamo vaccinare h 24, primo perché non ci sono i vaccini”. Il tutto senza nulla togliere al contributo delle forze armate nella distribuzione dei vaccini, se e quando disponibili, e nell’effettuare tamponi da sommare alle centinaia di milioni di tamponi effettuati nelle strutture pubbliche e private ed ora persino nei supermercati.

L’onerosa duplicazione di strutture già esistenti ma inutilizzate ha impegnato più volte le forze armate, uno spreco che si potrebbe contenere se alle richieste “politiche” si contrapponesse un opportuno filtro “militare”. Certo è che il concorso straordinario delle Forze armate è diventato ormai una competenza del tutto ordinaria: oltre agli incendi, terremoti, alluvioni, rifiuti, controllo di punti sensibili e di centri per immigrati, ponti da abbattere o da realizzare ecc, da tempo grava infatti sull’esercito l’impegno permanente di 7000 uomini per la missione “strade sicure”, cui si è sommato il gran numero di uomini e mezzi per operare a tempo indeterminato per l’operazione covid 19.

Ove una struttura dello stato manifesti una falla o una carenza si ripiega sulle forze armate, normalmente oggetto di disinteresse se non di scherno da parte della classe politica cui non sembra interessare che i militari si siano arruolati per fare i soldati e non per rubare il mestiere agli operatori di altri settori.

L’indubbia intesa che da anni lega vertici politici e vertici militari è forse alla base dell’adeguamento dell’attenzione di questi agli interessi politici di quelli, e il tutto si traduce in un atteggiamento defilato e acritico da parte dei militari.

Sorprende il concorde silenzio dei vertici della difesa anche di fronte a manifestazioni vergognose come quelle che hanno visto offendere, servendosi della tv di stato, il Tricolore e i sentimenti religiosi della maggioranza degli italiani. Il tutto nasce dalla consolidata tradizione di porre al vertice delle forze armate figure che abbiano maturato una certa esperienza nelle stanze ministeriali del potere, conditio sine qua non che limita il pericolo di atteggiamenti critici e garantisce da colpi di testa alla “generale Pierre de Villiers”, il capo di stato maggiore francese che, entrato in rotta di collisione con Macron, nel luglio del 2017 si dimise dall’incarico, dando un calcio, sia detto per inciso, a uno stipendio che anche per i capi di stato maggiore francesi è superiore a quello del presidente degli Stati Uniti. In pratica un vero e proprio harakiri economico degno di ammirazione.

Allo stato dei fatti nulla lascia temere contraccolpi o traumi nelle stanze romane, ma sarebbe auspicabile che quanto meno si levasse un grido di dolore in difesa del Tricolore vilipeso che, grazie a Dio, occupa ancora il posto d’onore nelle nostre caserme, con buona pace degli europeisti a tempo pieno, sia quelli in borghese che quelli in divisa.

Con l’augurio che le caserme, sfuggendo alla moda imperante, non diventino “verdi” a tutti gli effetti e, perché no?, passino alle dipendenze del neonato prestigioso “Ministero per la transizione ecologica”. È da notare come queste problematiche monopolizzino in toto l’attenzione dell’opinione pubblica sul covid 19 e sul ruolo delle forze armate come strumento permanente e preminente di concorso nella protezione civile, e consentano di distogliere l’attenzione dalle misure adottate dal governo in fatto di restrizioni, dagli errori commessi nella gestione della pandemia (linee guida sanitarie finite sotto la lente delle aule giudiziarie) e persino dallo scandalo Palamara (reso di pubblico dominio dal “Il sistema” di Sallusti-Palamara); tutte vicende che aspettano che qualcuno batta un colpo.

In sintesi si è di fronte a un insieme di fatti concatenati in virtù dei quali oggi in Italia è considerato normale il ricorso a qualsiasi restrizione riguardante scuole, spostamenti, attività commerciali,attività sportive incluso lo sci in alta montagna ed anche il ricorso al costante impiego tappabuchi delle forze armate.

Unica zona salva: nessun rinvio per il festival di Sanremo e nessuna iniziativa per arginare l’immigrazione clandestina. Il redde rationem di tutto ciò si avrà quando la stampa nazionale continuerà a parlare diffusamente del festival e delle beghe interne ai partiti e assai poco del rifiorire dell’immigrazione clandestina importatrice di covid 19, dei sei milioni di italiani in povertà assoluta denunciati dall’Istat, del rinvio a ottobre (a differenza del festival) delle elezioni amministrative, che potranno così svolgersi nel semestre bianco (con grande sollievo del duo Augias–Berlinguer che dalla tv di stato hanno dichiarato candidamente che “l’elezione del presidente della Repubblica affidato al centro-destra sarebbe un disastro”).

Se nella graduatoria mondiale redatta da Reporter Withaut Borders Word Press la stampa italiana è stata collocata al 41° posto, dopo Ghana, Burkina Faso e Botswana, un motivo ci dovrà pur essere. Come ci sarà stato un motivo se il governo ha assicurato costantemente generose elargizioni a favore della carta stampata e delle emittenti televisive, elargizioni etichettate da qualche malpensante come una sorta di captatio benevolentiae; un provvedimento che comunque ha dato ottimi frutti sia per quanto riguarda la diffusione delle veline governative sia per le frequenti esternazioni televisive di personalità di governo.

Ciò detto il futuro dell’Italia non lascia presagire nulla di buono. È fin troppo evidente che l’attenzione di gran parte dei parlamentari è concentrata nello sforzo di non far cadere il governo e sopravvivere a sé stessa, scongiurando il pericolo di elezioni anticipate, una calamità che farebbe precipitare gran parte di una classe politica inadeguata dall’attuale reddito parlamentare a quello di cittadinanza.

Foto: ministero della Difesa