La Cina aggiunge una pedina nello scacchiere indo-pacifico

(di Renato Scarfi)
26/09/22

Il 17 giugno ultimo scorso la portaerei cinese Fujian (ex Type 003), la nave più significativa della componente navale della Repubblica Popolare (People Liberation Army Navy - PLAN), ha lasciato il bacino del cantiere navale di Jangnan, a nord-est di Shanghai, e ha cominciato la fase finale di allestimento. Alla cerimonia ha partecipato Xu Qiliang, membro dell’ufficio politico del Comitato Centrale del PCC e vice-presidente della Commissione militare centrale.

La Cina, dunque, aggiunge una pedina nello scacchiere indo-pacifico e prosegue il rafforzamento della sua componente aeronavale, in modo da permettere una sostanziosa presenza sulle acque di più immediato interesse, in vista di una successiva, e più geopoliticamente significativa, proiezione strategica sui mari più lontani.

Con questa nuova unità la PLAN fa un considerevole salto capacitivo, avvicinandosi agli standard tecnologici statunitensi e francesi, unici paesi che finora avevano portaerei operative in configurazione CATOBAR (lancio con catapulta e arresto con cavi). Contrariamente alle due portaerei cinesi già operative, il Liaoning (ex-russa Varyag) e il Shandong, ciascuna dotata di trampolino per il decollo degli aerei V/STOL, il Fujian dispone infatti di catapulte elettromagnetiche (Electromagnetic Aircraft Launch System - EMALS) per il decollo degli aeromobili imbarcati.

Con il suo dislocamento di circa 80.000 t per una lunghezza di 320 m, questa portaerei potrà ospitare sia il caccia-bombardiere di 5^ generazione J-XY/J-35 (derivato dal FC-31 Gyrfalcon), ancora in fase di sperimentazione, sia l’early warning Xian KJ-600, bimotore turboelica ad ala alta in fase avanzata di sviluppo, dotato di radar di scoperta a bassa frequenza.

La Fujian, comunque, prima di diventare completamente operativa e di fornire il proprio contributo alle ambizioni marittime cinesi, dovrà terminare l’allestimento e completare tutte le previste fasi addestrative. Secondo le stime cinesi più ottimistiche, ciò non dovrebbe avvenire prima di metà 2024.

Una terza portaerei, quindi, che rappresenta appunto un salto capacitivo, in quanto le portaerei debitamente armate e adeguatamente scortate sono da considerarsi come un sistema d’arma in grado di potenziare il dispositivo di deterrenza e permettere una significativa proiezione di potenza, con buona pace di coloro che pensano che un pattugliatore costiero possa avere un qualche tipo di capacità dissuasiva. (leggi articolo “Importanza della portaerei in una Marina moderna”)

Si ignora la consistenza della componente portaerei che Pechino intende avere nel medio termine tuttavia, considerando anche i necessari periodi di manutenzione, per ottenere da soli una significativa deterrenza nelle acque immediatamente prospicenti le proprie coste, appare ragionevolmente sufficiente un numero minimo di tre portaerei.

Ciò nonostante, non è solo la consistenza numerica che può consentire un’attendibile valutazione dell’efficacia operativa complessiva della componente navale cinese. Sul piatto della bilancia, infatti, il peso maggiore è rappresentato dalla maturità operativa della PLAN, in confronto ai potenziali concorrenti/avversari (leggi articolo “La sfida cinese alla potenza navale statunitense”).

Gli ammiragli cinesi sono certamente ben consapevoli della situazione di inferiorità relativa in cui la loro flotta verrebbe a trovarsi in un confronto aeronavale in mare aperto con gli americani, loro principali antagonisti su quelle acque. L’efficacia operativa delle portaerei cinesi è infatti tutta da dimostrare, o da raggiungere, mentre quella delle portaerei statunitensi è comprovata. E ciò, se consideriamo che agli equipaggi cinesi manca l’esperienza bellica, avendo recentemente condotto solo alcune esercitazioni minori, in un confronto diretto giocherebbe un ruolo determinante. L’esperienza bellica, infatti, è un fattore che in una battaglia in mare aperto ha sempre avuto un peso non trascurabile. A differenza degli americani, infatti, sono decenni che la Marina cinese non combatte in mare e l’ultima volta che lo ha fatto in uno scontro navale importante, alle foci del fiume Yalu contro i giapponesi nell’estate del 1895, le navi cinesi furono tutte affondate.

Sotto il profilo della sostenibilità operativa, inoltre, va considerato il fatto che le catapulte elettromagnetiche sono notevolmente energivore e il Fujian non è una portaerei nucleare, come le corrispondenti statunitensi e francesi. Un fattore non secondario.

Le implicazioni geopolitiche

Man mano che un paese prospera e diventa più forte, anche le sue ambizioni internazionali crescono di conseguenza. Un principio che vale ancor più per una Cina che vanta radici culturali che affondano nel lontano 1600 a.C..

La Cina di oggi è un paese molto diverso da quello di allora (come potrebbe essere altrimenti?), con una storia politica e istituzionale che è stata completamente sconvolta dalla rivoluzione di Mao Zedong nel 1949. Dopo decenni di isolamento culturale, politico ed economico, negli ultimi 25 anni la Repubblica Popolare cinese si è spostata dalla povertà diffusa a una forma di capitalismo borghese, che ha portato buona parte della popolazione ad assaporare il piacere di alcune comodità prima sconosciute, come una casa adeguata, bei vestiti, cibo quotidiano e oggetti di lusso. Ma il benessere fa crescere le aspettative e richiede sempre maggiori risorse. È stato calcolato che, per il solo petrolio, nel 2010 è transitato via mare l’80% del fabbisogno cinese. Data la crescente necessità di risorse energetiche, i nuovi oleodotti potranno solamente alleviare la dipendenza cinese dal trasporto marittimo via Hormuz e Malacca. E questo senza contare l’importanza economica del trasporto delle merci via mare. Ecco da dove nasce la corsa di Pechino verso gli oceani.

Parallelamente a un notevole attivismo diplomatico continentale, in cui i cinesi stanno attirando verso Pechino i paesi asiatici ex sovietici, con la determinante complicità della scellerata e fallimentare politica di Putin, la Repubblica Popolare sta quindi acquisendo anche importanti competenze marittime. Alla base di questa relativamente recente conversione di una potenza storicamente continentale non c’è solo la citata necessità di assicurare i transiti marittimi che sostengono la propria economia, ma anche alcuni importanti contrasti territoriali con gli altri paesi costieri dell’area, che hanno significative ricadute sullo sfruttamento delle ingenti risorse sottomarine e ittiche. (leggi articolo “Hong Kong, Pechino e il Mar Cinese meridionale”)

La strategia marittima elaborata dai cinesi si basa su delle linee immaginarie e unilaterali di confine marittimo e su una preparazione navale in grado di estendere la propria influenza dalle aree marittime più vicine e contese, come il Mar Cinese, per poi allargarsi ovunque ci siano interessi cinesi da tutelare. (leggi articolo “La strategia marittima cinese”)

L’entrata in servizio della nuova portaerei, come detto, farà fare un salto di qualità alla PLAN e verosimilmente non calmerà gli appetiti marittimi cinesi, che spingeranno per accrescere ulteriormente le loro capacità expeditionary e di proiezione strategica.

Un nuovo attore si sta preparando, quindi, a solcare le acque degli oceani, e a intrepretare un ruolo geopolitico sempre più determinante sulle scene mondiali, con tutte le implicazioni che ciò comporta, anche alla luce dei metodi che Pechino ha deciso di adottare per tutelare i propri interessi politici ed economici. Questi, infatti, non sono improntati al multilateralismo cooperativo ma prevalentemente alla imposizione della propria visione geopolitica (vedi il Mar Cinese Meridionale). E ciò ne fa un partner cui è bene non legarsi troppo intimamente.

Considerazioni finali

L’enorme crescita cinese ha rappresentato un game changer nel grande gioco asiatico e dell’Indo-Pacifico e ciò ha necessariamente comportato dei riaggiustamenti geopolitici.

Ai cinesi non piace la presenza di antagonisti (specialmente americani) in quelle che ritengono essere le loro acque di casa ma, pur considerando gli Stati Uniti come un gigante in declino politico ed economico, sono perfettamente consapevoli che si tratta di un gigante in grado di “fare ancora male”. Va anche sottolineato che, per molti versi, i due principali antagonisti “dormono nello stesso letto”. Anche se sono rivali globali, infatti, hanno economie mutualmente e profondamente dipendenti.

A ciò aggiungo che la Repubblica Popolare oggi ha notevoli problemi interni come le questioni ambientali, i mai sopiti contrasti in Tibet, la crescente disparità tra poveri e benestanti, la politica “zero-covid”, che ha portato a interruzioni senza precedenti nelle attività imprenditoriali, la latente crisi economica che, a partire dal settore immobiliare, rischia di esplodere e fare danni enormi. Una crisi politica oggi non conviene a nessuno, quindi, perché gli affari ne risentirebbero troppo.

Al momento, quindi, la Cina non sembra né incline né pronta ad avventurarsi in una azzardata e dura contrapposizione sul mare e non sembra avere alcuna necessità di mettere in atto condotte eccessivamente destabilizzanti, proprio perché ha ancora immediati ed equivalenti interessi politici, economici e geostrategici interni o rivolti verso il continente euroasiatico. In sostanza, serve la pace per commerciare e né la Repubblica Popolare né gli Stati Uniti vogliono compromettere gli affari, fatto che destabilizzerebbe in maniera grave soprattutto il sistema di potere di Pechino, che proprio sulla crescita economica ha fondato la sua credibilità.

Oggi appare quindi poco probabile l’eventualità di significative battaglie navali fra la Marina degli Stati Uniti e quella del Celeste Impero, sul modello di quelle che le navi americane e giapponesi hanno combattuto nel corso della Seconda Guerra Mondiale nel Mar dei Coralli o nelle acque al largo delle isole Midway. Come nel breve/medio termine appare poco probabile una operazione militare contro Taiwan.

In tale contesto, è presumibile che le relazioni tra Cina e Stati Uniti rimarranno abbastanza tese e problematiche, a partire da quelle che Pechino reputa indebite manifestazioni di appoggio all’affermazione internazionale di Taiwan quale entità indipendente e, a maggior ragione, alle forniture militari che esso riceve da Washington. Rimarranno le schermaglie dialettiche, le accese dichiarazioni e le dimostrazioni di potenza navale, ma saranno manifestazioni che - nel breve termine - saranno principalmente propagandistiche e destinate a mantenere lo status quo in modo da mostrare al mondo, e al proprio pubblico, la rispettiva determinazione a proteggere i propri interessi.

È ipotizzabile, quindi, che la PLAN continuerà a rafforzarsi e, nonostante l’atteggiamento aggressivo manifestato da Pechino nella regione, la mancanza di trasparenza e la sua notevole crescita militare siano potenzialmente destabilizzanti, le flotte antagoniste continueranno a fronteggiarsi con delle scaramucce, da una parte per affermare la sovranità cinese su alcune zone di mare contese (e sulle relative risorse sottomarine) e dall’altra per ribadire il concetto di libertà di navigazione su quelle stesse acque.

Tutti gli attori in gioco, infatti, sanno che sugli oceani e sui mari del mondo si stanno giocando e si continueranno sempre a giocare gli equilibri economici e geopolitici mondiali e nessuno, che abbia una minima capacità di ragionamento e di lungimiranza, desidera rischiare il futuro del proprio paese con mosse avventate, per non comprometterne le possibilità di contare sul palcoscenico mondiale.

Foto: Ministry of National Defense of the People's Republic of China