Il rinnovamento della Marina giapponese

(di Renato Scarfi)
08/02/23

La percezione europea della situazione geopolitica dell’Estremo Oriente degli ultimi decenni è stata prevalentemente polarizzata dalla crescita economica e militare cinese. Una crescita guidata da una politica sempre più assertiva, provocatoria e muscolare che si proietta sulle acque del Mar Cinese, preoccupando gli altri Stati rivieraschi (leggi articolo “La strategia marittima cinese”).

Le crescenti minacce rappresentate da una Cina sempre più aggressiva sul Pacifico occidentale, con le molte diatribe relative ai confini marittimi e al dominio su alcuni isolotti, costringono le Marine degli altri paesi rivieraschi a rinforzare i propri dispositivi navali. (leggi articolo “Hong Kong, Pechino e il Mar Cinese meridionale”) In tale ambito la Forza Marittima di autodifesa del Giappone, per tutelare i propri interessi sul Pacifico nordoccidentale, può contare su un budget militare importante e su una capacità industriale all’avanguardia.

In tale ambito, appare quanto mai opportuno analizzare l’ambito internazionale nel quale il Giappone si muove e quali sono le sue azioni nel campo marittimo, settore sensibile per la sua economia e le sue relazioni internazionali.

Il quadro geopolitico

L’area Asia Pacifico è caratterizzata da una situazione di perdurante ampia conflittualità, favorita anche dall’assenza o la scarsa rilevanza di organizzazioni di sicurezza collettiva che vadano la di là delle riunioni consultive, che si esauriscono quasi sempre con generiche dichiarazioni di intento e dove finiscono per prevalere gli interessi nazionali. Riunioni, insomma, che raramente riescono a concordare o imporre delle efficaci soluzioni. Una situazione che ha portato, come sottolinea anche il SIPRI di Stoccolma, l’area dell’Asia-Indo-Pacifico a essere quella dove si è verificata la maggior crescita mondiale di acquisti di armi pesanti, in cui i sei maggiori paesi (India, Cina, Australia, Pakistan, Vietnam e Corea del Sud) hanno rappresentato il 50% della crescita mondiale di acquisto di armamenti. In tale ambito va ricordato che ben cinque paesi dell’area sono dotati di armamento nucleare.

A questi si aggiungono le tentazioni nella stessa direzione del Giappone e della Corea del Sud, preoccupati delle crescenti minacce alla propria sicurezza, rappresentate da Cina e Corea del Nord.

Sotto il profilo diplomatico, è utile ricordare che l’area è caratterizzata dalla carenza di trattati di pace che, quando rispettati, sono in grado di contribuire alla stabilità. Ciò è anche dovuto alla mancanza di fiducia reciproca, residuo di conflitti ancora non completamente risolti.

In tale ambito, continuano a contrapporsi due approcci diversi. Quello statunitense si basa sullo slogan “pivot to Asia” e assume come base il sistema di alleanze ereditato dalla seconda guerra mondiale e dal successivo periodo di guerra fredda. Si tratta di un approccio contestato dalla Cina, che aspira alla costruzione di un sistema regionale basato sullo slogan “Asia agli asiatici”, che esclude la presenza di attori stranieri. Facendosi promotrice di un modello che include i soli paesi asiatici e alternativo a quello statunitense, la Repubblica Popolare Cinese (RPC) ritiene infatti di poter gradualmente prevalere sul continente. Si tratta di due modelli che, a detta di chi li sostiene, permetterebbero di contribuire alla stabilità e allo sviluppo dell’area.

Sotto il profilo militare, rimane ancora determinante la larga superiorità di Washington sul piano aeronavale che, tuttavia, risente ultimamente delle difficoltà tecniche di mantenimento di una proiezione complessiva sul continente asiatico, decisamente più agevole per Pechino. Gli USA cercano, quindi, di sopperire alle difficoltà di penetrazione sul continente con il trasferimento di potenza militare sul teatro Indo-Pacifico, attraverso un cambio di livello di presenza aeronavale che si esprime con il potenziamento del comando in loco e l’aumento di basi e punti di approdo realizzati in alcuni paesi alleati, rafforzato da continue esercitazioni congiunte. Lo scopo è anche quello di accrescere nei paesi rivieraschi amici la percezione e il senso di sicurezza prodotto dalla permanente presenza del dispositivo americano.

Certamente la politica cinese non influisce positivamente sugli eventuali tentativi di confidence building nell’area, avendo tra i principali obiettivi dichiarati l‘aspirazione alla riunificazione della Cina, con chiaro riferimento a Taiwan (leggi articolo “Pechino e Taipei”), il perdurante predominio sulla vita politica di Hong Kong e la riaffermazione dei suoi “diritti storici” su gran parte del Mar Cinese, settentrionale e meridionale. Una chiara ed esplicita affermazione delle sue nuove mire espansive anche sul piano della proiezione esterna, che rappresenta una minaccia esplicita agli interessi degli altri paesi rivieraschi.

Tutto ciò va messo a sistema con i problemi originati dalle ambizioni di potenza nucleare della Corea del Nord e dalle sue continue minacce alla sicurezza e stabilità, non solo dei paesi limitrofi. A differenza del padre, che intendeva acquisire una capacità nucleare come strumento negoziale per accrescere il proprio potere contrattuale in ambito internazionale, per Kim Jong Un il nucleare rappresenta un impegno assoluto, al cui raggiungimento egli sacrifica ogni altro obiettivo interno, comprese le esigenze primarie della sua popolazione. Pyongyang, quindi, assegna annualmente al progetto circa un quarto del suo PIL ed è oggi impegnata a costruire un arsenale di dissuasione decisamente sproporzionato alle proprie esigenze di difesa, ma soprattutto un arsenale offensivo che vuole essere capace di minacciare direttamente gli Stati Uniti, appoggiato da un sistema missilistico in costante perfezionamento. 

Anche se la Corea del Nord non sembra aver ancora risolto alcuni importanti problemi tecnici, la minaccia è comunque all’attenzione dei paesi limitrofi. Compresi Cina e Russia, tradizionali sostenitrici di quel regime (specialmente ora che Mosca sembra ricevere aiuti militari da Pyongyang per proseguire la guerra in Ucraina), che non nascondono tuttavia delle perplessità riguardo all’atteggiamento nordcoreano e una certa irritazione per il moltiplicarsi delle esercitazioni missilistiche in acque che sono, tutto sommato, ristrette e che potrebbero rappresentare la causa scatenante di un intervento più deciso contro il regime nordcoreano da parte dei paesi minacciati, e non solo. Emozioni che si mescolano con l’altrettanto malcelato compiacimento per come l’atteggiamento di Kim stia suscitando apprensione negli Stati Uniti, rappresentando una minaccia diretta ai loro interessi nell’area.

Ciò nonostante, i due paesi hanno formalmente aderito alle sanzioni onusiane contro la Corea del Nord, escludendo quelle riguardanti le forniture energetiche, in quanto potrebbero incrinare il regime di Kim, rendendo difficoltoso il suo controllo del paese, specialmente delle sue Forze Armate, o addirittura provocarne la caduta. Ciò probabilmente causerebbe un esodo massiccio della popolazione verso il territorio di Pechino o perfino la riunificazione delle due Coree sotto influenza statunitense, certamente non auspicabile da parte di Xi Jinping.

Il Giappone e i nuovi progetti navali

Le relazioni tra il Giappone e i paesi che si affacciano su quel tratto di Oceano Pacifico sono ancora influenzate dalle vicende della Seconda Guerra Mondiale, nonostante ciascuno intrattenga formali relazioni diplomatiche con gli altri. I problemi di natura storica e psicologica che permangono negli ambienti politici, infatti, continuano a ostacolare i tentativi di definitiva normalizzazione dei reciproci rapporti.

Le vicende ucraine, per esempio, hanno riacutizzato gli attriti e le rivendicazioni relative ad alcune isole settentrionali giapponesi occupate dai russi dopo Hiroshima e Nagasaki (quattro delle Curili meridionali, due di esse poco più che scogli, assai prossime alla costa della grande isola di Hokkaido).

Seppur appartenenti allo stesso schieramento geopolitico, con la Corea del Sud restano poi aperte, talora in forma acuta, polemiche sul reclutamento forzato di lavoratori coreani nei centri industriali coreani e giapponesi durante l’occupazione nipponica, sull’arruolamento nell’esercito giapponese imposto a circa 5.000 studenti coreani, sulla prostituzione imposta alle donne coreane durante la guerra (comfort women) e, anche qui, una questione territoriale, seppur non prevalente, dell’occupazione coreana di un isolotto rivendicato dal Giappone (Dokdo per i coreani, ovvero “isola solitaria”, Takeshima per i giapponesi, Liancourt Rocks per gli USA). Non è un caso che sotto i fondali delle acque attorno a quell’isolotto sia presente una riserva di gas naturale stimata tra i 600 milioni e i 2 miliardi di tonnellate, pari al fabbisogno sudcoreano per 30-100 anni. Tutto ciò, come detto, influisce sui rapporti formali tra i due paesi e costringe Washington a delicati equilibrismi, anche in ragione della minaccia nordcoreana oggi rappresentata dal regime di Kim Jong Un.

Con la Cina, al di là dei rapporti commerciali, dal 2012 esistono delle controversie territoriali circa la sovranità giapponese sull’arcipelago delle Senkaku (Dayoutai per i cinesi), che si estendono dal Giappone meridionale fino a Taiwan. L’arcipelago era chiamato una volta Ryu Kyu, un piccolo regno oceanico tributario della Cina ma che, nella seconda metà del Settecento, entrò nella sfera di una delle grandi famiglie feudali giapponesi, gli Shimazu, per poi diventare parte dell’Impero nipponico. A Okinawa, vicinissima alla costa meridionale nipponica, staziona il grosso delle truppe statunitensi nell’area. Il valore principale delle Senkaku è costituito non solo dalla valenza economica, correlata a rilevanti interessi di pesca o di ricerca di risorse nei relativi fondali, ma soprattutto dalle implicazioni geopolitiche connesse alle comunicazioni marittime nel Mar Cinese orientale, cruciali per il dispiegamento del dispositivo strategico e logistico nel Pacifico del fronte che si oppone all’espansionismo cinese, o per l’accesso al Pacifico da parte della Cina.

Detto questo, analizziamo quali sono i progetti navali giapponesi più interessanti. 

Le nuove unità classe “Mogami” (foto) segnano un netto cambiamento nella strategia dei mezzi navali di Tokio, distinguendo in maniera più decisa tra cacciatorpediniere pesanti e unità più leggere. Una netta distinzione che permette oggi di costruire due fregate all’anno invece di un caccia, come in precedenza. Un cambiamento di tendenza iniziato nei primi anni 2000, quando il Giappone ha pensato di rimpiazzare fregate e cacciatorpediniere più “vecchie”, specificamente progettate per la lotta antisommergibile, con delle unità di superficie più moderne e di impiego flessibile. Il programma, battezzato 30DX e poi ridenominato 30FFM è partito nell’ottobre 2019.

Nel novembre 2020 è stata varata la fregata Kumano, seconda unità impostata, entrata poi in servizio il 22 marzo 2022. La capoclasse Mogami (foto) è, invece, entrata in servizio circa un mese dopo, il 28 aprile. La terza unità della classe, il Noshiro, è entrata in servizio lo scorso 15 dicembre 2022.

La nuova classe ha 5.500 t di dislocamento, una lunghezza di 133 m, una larghezza di 16,3 m e un pescaggio di 9 m. Si caratterizza per delle linee particolarmente fluide e pulite, che permettono una bassa segnatura radar (profilo stealth), per l’elevata automazione e per le sole 90 persone di equipaggio. A ciò si aggiungono le basse segnature acustica e all’infrarosso.

La propulsione combinata TAG e diesel permette di raggiungere agevolmente velocità superiori ai 30 nodi.

Le unità sono polivalenti. Ottimizzate per la lotta antisommergibile possono, infatti, efficacemente svolgere missioni di pattugliamento e di guerra di mine (il sensore cacciamine è un sonar multifrequenza), compresa la stesura di campi minati.

Per quanto attiene all’armamento, sono equipaggiate con due sistemi lanciamissili antinave quadrupli a guida radar attiva Mitsubishi Tipo 17 (SSM-2) con gittata di circa 400 km, evoluzione di due precedenti versioni di missile subsonico (Tipo 12 e 88), che dispongono anche di una guida GPS, che conferisce loro la capacità di colpire anche bersagli terrestri. Entro il 2030 è, tuttavia, in programma la loro sostituzione con i missili antinave supersonici SSM-3. L’armamento comprende poi 16 alloggiamenti VLS (Vertical Launching System) per missili superficie-aria Mk41, con portata di oltre 100 km, una batteria di missili Raytheon RIM-116 SeaRAM (11 celle per la difesa di punto), un sistema di lancio verticale di missili antisommergibile Tipo 07 (gittata circa 30 km), che impiegano siluri Tipo 97 o 12, un cannone da 127/62 mm (Mk45 mod. 4) e due mitragliatrici Browning M2 da 12,7 mm. 

Per la scoperta area e di superficie le unità si avvalgono del radar OPY-2, di un sistema multifunzione AESA (Active Electonically Scanned Array), capace di tracciare 300 bersagli contemporaneamente e di attaccarne 60. Per la scoperta subacquea possono contare sul sonar OQQ-25 con sensore a profondità variabile.

In merito alla guerra elettronica, le unità sono equipaggiate con il sistema NOLQ-3, impiegabile sia come sistema ECM (Electronic Counter Measures) sia ESM (Electronic Support Measures). 

In futuro potranno ospitare sia droni aerei sia un elicottero SH-60J/K Seahawk, oltre che droni subacquei e di superficie per la guerra di mine.

Al momento sono state ordinate altre sei fregate della stessa classe, che dovrebbero entrare in servizio entro il 2026, con l’obiettivo di metterne complessivamente in linea ventidue entro il 2032.

Un altro progetto interessante è quello riguardante i sottomarini d’attacco a propulsione diesel-elettrica. In tale ambito, il 9 marzo 2022 è entrato in servizio il Taigei (foto apertura + lato), battello capoclasse dotato di batterie agli ioni di litio. Ha un dislocamento in superficie di circa 3.000 t (4.300 t in immersione), una lunghezza di 84 m e una larghezza di 9,1 m, con un equipaggio di 70 persone.

Sotto il profilo estetico si tratta di un battello simile al precedente Soryu, ma è stato progettato per essere anche impiegato come banco di prova per eventuali sistemi propulsivi innovativi che dovessero essere sviluppati in futuro. Nell’attuale configurazione della propulsione diesel-elettrica, il sistema diesel non aziona direttamente l’albero motore, ma serve solamente a produrre l’energia elettrica per la propulsione, più silenziosa. Le batterie agli ioni di litio, tuttavia, se da un lato permettono un minore impegno per la manutenzione, dall’altro presentano un più alto rischio di incendio rispetto alle batterie classiche.

Lo scafo è rivestito di materiale anecoico, per ridurne la rumorosità, ed è caratterizzato da una forma particolare con caratteristiche stealth, e presenta una prora fortemente inclinata con le superfici laterali inclinate in modo da favorire la dispersione delle onde sonore. 

Per la scoperta si avvale del sonar ZQQ-8. L’armamento in dotazione prevede sei tubi lanciasiluri da 533 mm. Ha, inoltre, la possibilità di lanciare missili antinave Harpoon. È previsto l’ingresso in servizio di un battello all’anno. 

Il compito primario di questi battelli è dare la caccia ai sottomarini cinesi lanciamissili balistici (SSBN). Il loro impiego complessivo, tuttavia, è basato anche sulla strategia del logoramento dispersivo della flotta avversaria, che prevede la loro penetrazione in profondità nel Mar Cinese meridionale, in modo da non permettere una pericolosa concentrazione di unità cinesi nelle acque di interesse del Giappone.

Conclusioni

Le numerose e sensibili divergenze esistenti nell’area del Pacifico nord-occidentale riguardano certamente il Giappone, ma anche gli statunitensi e i molti interessi occidentali. Per il Giappone la libertà di passaggio nel Mar Cinese riguarda metà del suo approvvigionamento annuo, incluse le forniture petrolifere dal Medio Oriente. Per gli USA si tratta non solo di motivi economici ma anche di importanti ragioni strategiche. Anche l’Unione Europea presta particolare attenzione alle vicende nell’area, dato che da quelle acque transita un terzo del suo commercio internazionale.

Se si scende poi al quadrante asiatico sud-orientale, ove i paesi più direttamente coinvolti sono diversi dal Giappone, si ha ulteriore conferma della presenza dei gravi fattori di instabilità e delle tensioni presenti nella regione, dettati prevalentemente dalla pressione politica e militare cinese che cerca di assicurarsi, attraverso quella che può essere considerata una politica di occupazione del Mar Cinese meridionale, il libero accesso all’Oceano Pacifico (e contestuale diritto a impedirne ad altri il transito o lo sfruttamento delle risorse ittiche e sottomarine), sia attraverso la forzatura del diritto internazionale sia attraverso i suoi sempre più appuntiti strumenti militari. Tralasciando la questione di Taiwan, che abbiamo più volte analizzato, le controversie esistenti e talora formalizzate in sede internazionale riguardo a diversi arcipelaghi (Spratley, Paracelso, ecc.) coinvolgono la Cina da un lato e dall’altro una lunga serie di paesi, dalle Filippine al Vietnam e alla Malesia. Tutto ciò nonostante la Cina abbia già perso, di fronte al Tribunale internazionale del mare UNCLOS, una controversia territoriale con le Filippine. Verdetto ovviamente non riconosciuto da Pechino.

Certamente la mancanza di efficaci strumenti di cooperazione regionale non agevola la distensione. Si pensava che l’ASEAN, quale strumento multilaterale per la cooperazione e l’integrazione, oltre a permettere la crescita degli scambi e degli investimenti, fosse in grado di favorire un contesto geopolitico stabile e sicuro, in grado di consentire l’ulteriore sviluppo dell’area. Oggi, invece, sappiamo che fatica a imporsi quale punto di riferimento in questo campo.

II sistema di relazioni, infatti, si basa ancora su un approccio quasi squisitamente bilaterale, in cui gli Accordi di sicurezza degli USA con il Giappone, l’Australia, la Corea del Sud, permettono ancora di contenere in qualche modo l’assertività cinese.

In definitiva, la complessità della situazione nello scacchiere nordoccidentale del Pacifico rende scarsamente realistica, nel breve termine, la prospettiva di una composizione pacifica delle dispute o un significativo ridimensionamento delle tensioni nell’area. Ipotesi altrettanto poco verosimile che un qualche tipo di stabilizzazione avvenga grazie ai soli strumenti bilaterali.

In tale ambito le Nazioni Unite sembrano avere poco margine di manovra per un intervento che abbia significato, anche per le prevedibili opposizioni di Pechino e di Mosca nel caso di ipotesi che siano non pienamente gradite alle due capitali.

Se non si troverà il modo di superare i condizionamenti derivanti da un doloroso e controverso passato e di contemperare le diverse esigenze economiche e di sicurezza di oggi, con un deciso aumento della fiducia reciproca, continuerà purtroppo a crescere il divario tra l’evidente interconnessione economica tra gli attori che si affacciano su quell’area e un’assenza di reali progressi sul terreno della loro collaborazione in ambito politico e securitario.

Un paradosso che trova molti punti di interesse in una dimensione marittima che è certamente causa di contese ma che offre anche molteplici possibilità di cooperazione.

È, quindi, sul mare che risiedono le reali possibilità di una composizione degli attriti. La migliore strada da percorrere, sembra essere quella di un richiamo al senso di responsabilità di tutte le parti in causa, che permetta di giungere a un accordo che, nel rispetto del diritto internazionale, assicuri la ripartizione delle zone insulari destinate alla ricerca e allo sfruttamento delle risorse energetiche giacenti nei fondali. E che assicuri a ciascuno la libertà di percorrere le vie di comunicazione marittime indispensabili per la rispettiva crescita economica.

In mancanza di ciò, dato che i mari e i commerci marittimi saranno sempre più fondamentali nelle relazioni internazionali e per garantire il benessere delle popolazioni, spinto dalla necessità e dalle minacce degli altri attori è ragionevole ipotizzare che nel breve-medio termine il Giappone, facendo cadere tutti i tabù, sarà in grado di giocare un ruolo strategico fondamentale negli equilibri del Mar Cinese, e la sua nuova flotta sarà in grado di recitare una parte importante su quello scacchiere e (forse) anche oltre, in previsione dell’apertura delle nuove rotte polari a nord-est.

Foto: Japan MoD / KCNA / Cremlino / China MoD / U.S. Navy