Perché Mariupol non è ancora caduta e perché non è facile farla cadere

(di David Rossi)
05/04/22

Torniamo sul tema dell’assedio di Mariupol, che avevamo trattato addirittura tre settimane fa (vedi articolo): allora lo facemmo analizzando l’importanza della resistenza del primo porto ucraino, stavolta proveremo a capire come mai hanno avuto torto tutti quanti per venti giorni ci hanno ripetuto come un mantra: “ma tanto la caduta di Mariupol è imminente”.

Partiamo da un punto fermo: nonostante siano passate quasi tre settimane dal nostro articolo e nonostante le cronache riportino ogni giorno notizie di attacchi e massacri, la città di Maria -questo significa il suo nome - non è ancora caduta. Le notizie di mezzi e truppe russe in centro città non dicono tutta la storia: in mezzo alle macerie, come gli “uomini topo” di Stalingrado, si aggirano ancora migliaia di combattenti con abbastanza droni, armi anticarro e artiglieria da trasformare ogni tentativo di “ripulire” la città dai suoi difensori una sfida con la morte.

La presenza di centinaia di migliaia di civili, l’eccezionale quantità di armi disponibili per i difensori, il loro elevato livello di addestramento e l’estensione della superficie di cui prendere - e tenere - il controllo, mettono a dura prova il rapporto di assedianti necessari per averla vinta su una città sotto assedio: Mosca pur avendo schierato una forza tre volte superiore, sembra girare e rigirare le proprie forze fra impianti industriali, palazzi sventrati e muri crollati.

È probabile che nelle prossime settimane vedremo raddoppiare o triplicare il numero di Russi impegnati su questo fronte, con l’obiettivo di stritolare i resistenti a Mariupol prima dell’arrivo di tank e truppe ucraine dall’ovest e dal nord dell’Ucraina.

Consideriamo poi che, nonostante le artiglierie e i missili russi colpiscano in modo massiccio i civili, rimangono operativi e molto efficaci i difensori ucraini della 10° brigata d’assalto delle forze di terra, della 36° brigata della fanteria navale, della 12° brigata della guardia nazionale e delle forze di difesa territoriali, in tutto meno di quattromila combattenti. Aggiungete a questi un migliaio di membri del famigerato battaglione Azov.

Dall’altra parte, troviamo le truppe di invasione russe, circa 14.000 uomini delle forze di terra, dell’aeronautica e della marina russe, circa 14 mila, includendo anche aiuti dalle milizie del Donbass e i kadiroviti, guerrieri islamisti del discusso leader ceceno Ramzan Kadyrov.

L’insistenza di spostare a Est donne e bambini locali ma anche il rifiuto di fatto di far uscire i civili testimoniano un doppio approccio russo di tipo tradizionale, quasi antico: spingere mariti e padri a deporre le armi per la sicurezza dei loro familiari, ma anche lasciare la città piena di bocche da sfamare, sperando di provocare problemi nella distribuzione del cibo e, in definitiva, la resa della città per una rivolta popolare per la fame. Che questo possa funzionare è discutibile, anche considerando che la popolazione è sparsa su una superficie vasta, più occupata a evitare di essere abbattuta dagli invasori che di organizzare ribellioni contro i difensori.

Difensori che muoiono in gran numero, ma probabilmente meno degli attaccanti. La strage di alti ufficiali testimonia le enormi difficoltà incontrate dalle forze russe: il maggiore generale Andrei Sukhovetsky, vice capo della 41° armata, è stato ucciso durante l'invasione il 28 febbraio, mentre il maggiore generale Vitaly Gerasimov, primo vice comandante della 41° armata, è stato ucciso il 7 marzo e il maggiore generale Oleg Mityaev della 151° divisione fucilieri è stato ucciso il 15 marzo, il vicecomandante della flotta del Mar Nero Andrei Nikolayevich Paliy è stato ucciso il 20 marzo, appena pochi giorni prima del colonnello dei marines della 510° brigata Alexei Sharov.

Una carneficina di ufficiali di queste dimensioni in meno di un mese e in un territorio più piccolo della Val d’Aosta è una cosa senza precedenti nella storia russa dai tempi di Ivan IV il Terribile. La rabbia del canale Telegram del battaglione Azov la dice lunga sulla feroce determinazione di resistenti che sanno di non avere via d’uscita: “(i Russi) hanno bruciato, distrutto, depredato... Questo merita la morte e nessun perdono”. A Mariupol di negoziati non si parla nemmeno…

Insomma, l’assedio di Mariupol - come la guerra - continua.

Foto: gov.ua