Mediterraneo, un mare di crescenti opportunità e tensioni

(di Renato Scarfi)
22/11/22

Il Mediterraneo si trova al centro dei principali giochi strategici mondiali. Geograficamente è il luogo dove si incontrano tre continenti, militarmente rappresenta il fronte sud dell’Alleanza Atlantica, politicamente é l’area in cui l’Europa (e quindi l’Occidente) si interfaccia con il Mar Nero, il Medio Oriente, il Mar Rosso, il Golfo Persico, il Golfo di Guinea e, più in generale, con l’Oceano Indiano e l’Africa. Un’area geopolitica ormai conosciuta come “Mediterraneo allargato” e da sempre animata da dinamiche complesse, da culture diverse, da interessi economici concorrenti, da visioni politiche antagoniste.

Si tratta di un mare che offre grandi opportunità, legate alla complementarietà dei paesi che si affacciano sulle sue acque ma, al contempo, è anche sede di importanti tensioni locali e globali. Un mare che separa mondi che continuano a confrontarsi su ogni tema, sia esso politico, economico, sociale, culturale, demografico e che sono contraddistinti da una evidente distanza circa i valori complessivi su cui fondare la coesistenza. Una distanza che alimenta anche le incomprensioni e il risentimento e che pare essere ulteriormente cresciuta per gli effetti del riscaldamento globale, della guerra in Ucraina, della pandemia da Covid.

Per l’Italia è sempre stata un’area strategica di primaria importanza, non solo perché il territorio nazionale è proteso al centro di questo Mare, che divide idealmente in due parti, ma anche perché sulla sua superficie si sviluppano le fondamentali linee commerciali marittime, indispensabili per il nostro benessere, mentre sul fondo marino corrono le linee di approvvigionamento energetico unitamente alle linee di comunicazione, che ci tengono collegati al resto del mondo. Sotto il suo fondale, inoltre, sono ancora celate immense risorse energetiche, per la raccolta delle quali si sono formate nuove alleanze e si sono indebolite le vecchie.

Vale quindi la pena analizzare una volta di più quali sono i principali fattori che fanno del Mediterraneo, nella sua più ampia accezione, un’area di grandi opportunità ma che gli impediscono di essere un mare di stabilità e di pace condivisa.

L’economia

La storia ci insegna che le vie marittime sono fondamentali per l’economia e, a partire dal XIX secolo, indispensabili per sostenere la capacità industriale di ogni Paese. Tuttavia, per loro stessa natura, esse sono esposte a eventuali azioni aggressive da parte di chi desidera trarre illecito profitto da tali azioni o per opera di elementi che intendono ostacolare i normali commerci internazionali. In questo quadro le flotte militare e commerciale hanno un’importanza vitale per la sicurezza e la prosperità delle nazioni in particolare quando, per la scarsità delle risorse del paese, la capacità produttiva sia subordinata alle importazioni per via marittima.

Per l’Italia è evidente la vitale necessità di importazioni dal mare, in particolare a causa della scelta di basare la nostra economia su una forte industrializzazione. Anche se é geograficamente definita una penisola, l’Italia può infatti essere assimilata a un’isola quando si parla della sua accentuata dipendenza dalle importazioni e, quindi, dalla libera fruibilità delle linee di comunicazione marittime. Il mare ha, quindi, un ruolo centrale per il nostro Paese perché la scarsezza di materie prime ci costringe ad andare lontano per l’approvvigionamento. In sostanza l’Italia dipende dall’estero per mantenere in vita il suo sistema economico. Dall’impero romano in poi, quando ha avuto a disposizione flotte per tutelare i propri interessi sul mare essa ha prosperato, quando non ha avuto a disposizione navi per contrastare la volontà dell’avversario del momento la sua economia è regredita.

Per assicurare che le materie prime necessarie al processo industriale arrivino in Italia e che il prodotto lavorato possa essere venduto, è quindi indispensabile che sia garantita la libera navigazione lungo le rotte commerciali marittime, che sono ancora il sistema più economico per il trasporto delle merci. Per sottolineare l’importanza del traffico commerciale marittimo mondiale basti sottolineare che il 90% delle merci viaggia sulle navi che solcano i mari del mondo. Si tratta di circa 12 miliardi di tonnellate di prodotti che contribuiscono a collegare economicamente tutti i paesi costieri della Terra, ma i cui benefici effetti si estendono in profondità all’interno di tutti i continenti.

In tale ambito il Mar Mediterraneo occupa un posto di rilievo sia come bacino di import-export commerciale, prevalentemente attraverso i porti italiani ma anche tramite i porti greci, francesi e spagnoli, sia come specchio d’acqua di passaggio delle merci, in transito verso i grandi porti nordeuropei.

Per sottolineare l’importanza economica del transito dal Mediterraneo via Mar Rosso e canale di Suez basti pensare che le navi mercantili provenienti dal Golfo Persico o dall’Estremo Oriente e dirette verso il nordeuropa, nel caso volessero evitare i due passaggi obbligati di Bab-el-Mandeb e Suez, dovrebbero allungare il percorso di ben 3.500 miglia nautiche (circa 6.500 km), passando a sud del capo di Buona Speranza e risalendo il Golfo di Guinea. Ciò vorrebbe dire tra i 7 e i 10 giorni di navigazione in più, con tutti i costi e i ritardi correlati.

L’Italia deve quindi essere pronta, come già lo sono i paesi più progrediti, a garantire la libertà di navigazione e la protezione dei propri legittimi interessi nazionali, a garanzia del rispetto del diritto internazionale. La storia ci insegna che quando si muovono le navi si muove l’economia. Un insegnamento che non deve essere dimenticato, soprattutto da coloro che hanno la responsabilità politica e militare di fornire gli strumenti idonei a proteggere gli interessi nazionali sul mare.

L’approvvigionamento energetico

Il processo di modernizzazione del Paese, auspicato da più parti e sostenuto dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, passa attraverso l’inevitabile fase di transizione energetica ed ecologica. Un periodo denso di opportunità ma anche di rischi.

In tale ambito il gas continuerà a giocare un ruolo rilevante nel periodo di transizione perché, stabilita la progressiva crescita dei consumi da fonti rinnovabili, nel medio/lungo termine esso rappresenterà comunque la risorsa di sostegno del sistema elettrico. Nel particolare settore, quindi, è indispensabile garantire sia l’afflusso di combustibile sia la disponibilità della produzione a gas che, unitamente all’aumento della produzione da fonti rinnovabili, dovrebbe garantire la necessaria flessibilità del sistema di fornitura di energia.

Un’esigenza che ha accentuato la dipendenza nazionale dell’approvvigionamento dall’esterno. Il nostro paese, prevalentemente per scelta politica, è da sempre dipendente dall’estero per il proprio fabbisogno di gas naturale. L’accesso alle risorse energetiche e la sicurezza delle linee di approvvigionamento sono, quindi, un nostro preciso obiettivo strategico.

In questo contesto, i fondali del Mediterraneo sono sede di una vasta ramificazione di gasdotti che, dai paesi fornitori, portano in Europa il prezioso combustibile, indispensabile per favorire la transizione carbon free. Non solo, recenti ricerche hanno evidenziato come nel sottosuolo marino siano presenti enormi giacimenti di gas naturale, che attendono solo di essere sfruttati con tutto il rispetto che si deve all’ambiente circostante. Anche in nome degli interessi energetici è ultimamente stato trovato l’auspicato accordo tra Israele e Libano per la spartizione dei confini marittimi (e delle relative riserve energetiche sottomarine, tra cui il gas naturale). Un accordo che permette di cominciare a pensare allo sfruttamento degli enormi giacimenti presenti davanti alle coste dei due paesi, con significative ricadute positive che interesseranno anche l’Italia e l’Europa.

Nell’attuale periodo storico, in cui esistono svariati elementi di criticità, l’energia rappresenta infatti un fattore strategico alla base della crescita industriale, economica, sociale e, quindi, del benessere nazionale. A ciò si aggiunge il fatto che le lunghe linee di approvvigionamento sono sottoposte a diverse minacce da parte di chi vuole bloccare i rifornimenti o desidera inserirsi nel business del transito di gas, spesso impiegando in maniera aggressiva le proprie navi militari (vedi la Turchia nel Mediterraneo Orientale) o con azioni di sabotaggio (vedi eventi del gasdotto North Stream del settembre 2022).

Ciò fa diventare la questione marittima non solo una fondamentale questione economica e commerciale ma, dato che da ciò dipendono in larghissima misura la prosperità e la stessa sopravvivenza del nostro paese, anche un preminente argomento politico e militare.

Comunicazione e trasmissione dati

La rete di cavi sottomarini rappresenta l’ossatura dello spazio cibernetico. Circa il 90% delle informazioni che scarichiamo da internet transitano lungo le autostrade in fibra ottica posate sui fondali marini. Autostrade che generalmente seguono le linee di comunicazione marittime commerciali.

Quando con un “semplice” click raggiungiamo un sito che si trova dall’altro lato del mondo, infatti, stiamo utilizzando una piccolissima parte della rete di cavi sottomarini, estesa svariate decine di migliaia di chilometri, che assicura il nostro collegamento dati. In un mondo sempre più interconnesso le economie, i flussi finanziari (circa 10.000 miliardi di USD in transazioni nel solo 2015), le informazioni in genere e anche molte comunicazioni militari dipendono dal buon funzionamento di questa rete.

Si comprende, quindi, come tali “autostrade” digitali rivestano un’elevata importanza per lo svolgimento delle attività umane nelle società tecnologiche.

In tale ambito, gli Stretti del Mediterraneo allargato (Hormuz, Bab-el-Mandeb, Gibilterra, Suez) non rappresentano solo un passaggio obbligato delle rotte commerciali marittime, ma anche le vie lungo le quali vengono stesi i cavi. Passaggi lungo i quali, però, è maggiormente presente la minaccia di azioni di sabotaggio. Proprio per questo, esse possono essere il bersaglio di azioni di disturbo e di intercettazione da parte di coloro che intendono creare interruzioni nel servizio o acquisire fraudolentemente informazioni. Diventano, quindi, evidenti i motivi per i quali la loro integrità e funzionalità debba essere assolutamente protetta. Un compito delicatissimo e importante che spetta alle flotte dei vari paesi, che devono essere in possesso di tutti gli strumenti più moderni per assolvere la missione assegnata.

Geopolitica del Mediterraneo

Negli anni ’90 abbiamo assistito a una grande effervescenza di iniziative politiche tese ad avvicinare le due rive del Mediterraneo. Stiamo parlando del “Processo di Barcellona” dell’Unione Europea, del “Dialogo Mediterraneo” della NATO, del “Partenariato per il Mediterraneo” dell’OSCE. Sotto il profilo securitario va anche sottolineata l’iniziativa denominata “5 + 5” in formato Difesa, varata su proposta italiana nel 2004.

Ciò nonostante, un reale avvicinamento verso il modello liberal democratico europeo non si è verificato, prevalentemente per effetto delle vecchie e delle nuove “ruggini”, che hanno fortemente rallentato la riduzione delle distanze tra le due rive. Francia e Gran Bretagna hanno anzi reso più instabile la riva di fronte a noi, con una devastante azione che ha portato alla destabilizzazione della Libia, permettendo a Turchia e Russia di stabilirsi su un territorio ricco di risorse energetiche (petrolio e gas naturale) e di garantirsi anche delle solide basi navali e aeroporti militari da cui controllare il Mediterraneo Centrale. Si tratta di un paese mediterraneo baricentrico, relativamente a poca distanza dalle nostre coste, che da oltre undici anni sta faticosamente cercando di ritrovare un equilibrio stabile.

In tale ambito, il disimpegno statunitense dall’area non è stato compensato da una maggiore presenza europea e ciò ha permesso ad altri attori di recuperare spazio politico e strategico. Non solo la Russia in Siria e in Libia, o la Turchia con la sua assertività nel Mar di Levante e in Libia, (leggi articolo “L’aggressiva politica marittima turca destabilizza il Mediterraneo”) ma l’effervescenza di iniziative lungo la riva sud ha visto anche la già ricordata fine degli attriti tra Israele e Libano, dopo decenni di duro confronto, e una rinnovata collaborazione tra Israele, Marocco e Emirati Arabi Uniti. A ciò si aggiunge l’Egitto, che ha accentuato la sua proiezione strategica nel Mediterraneo, in un’ottica di fermo contrasto all’aggressività turca e di protezione dei propri interessi nazionali.

In tale quadro si inserisce anche l’Algeria che, per esempio, sta rinnovando la sua flotta e che si è presentata sul teatro mediterraneo con una forte dichiarazione, peraltro subito contrata da Italia e Spagna, circa la propria Zona Economica Esclusiva (leggi articolo “Zona Economica Esclusiva e potere marittimo”). Un’Algeria che sta giocando le sue carte geopolitiche e che sta acquisendo peso nell’area maghrebina e in Europa, anche per effetto della disponibilità di gas naturale, che le permette di rispondere alla nuova domanda europea, che sta riducendo rapidamente la sua dipendenza dal gas russo. Un’Algeria, tuttavia, ancora socialmente fragile che, tra le altre cose, ha un’accentuata e preoccupante instabilità ai suoi confini meridionali (Mali e Sahel / leggi articolo “L’instabilità africana e le sue conseguenze geopolitiche”). Ciò dovrebbe favorire rapporti meno ruvidi con il Marocco (storico avversario territoriale, sostenuto con molta discrezione dagli USA e da Israele) e contenere l’esuberanza algerina sul Mediterraneo Occidentale, anche perché Algeri avrebbe molte difficoltà (eufemismo) a ottenere un appoggio concreto da Mosca, specialmente in questo periodo.

Senza parlare poi della ormai storica rivalità tra Turchia e Grecia, di cui ho già scritto in precedenza (leggi articolo “Turchia sempre più aggressiva. Gli interessi italiani nel Mediterraneo Orientale”).

In tale ambito, nel 2014 il Consiglio Europeo ha approvato il documento sulla “Strategia per la Sicurezza Marittima Europea”. Nonostante le diverse posizioni dei propri membri più “ruvidi”, che erroneamente sottovalutano la valenza strategica ed economica di quest’area, ciò ha permesso all’Unione Europea di essere presente sui principali teatri di crisi del Mediterraneo allargato. Si tratta dell’Operazione SOPHIA (dal 2015 contro il traffico di migranti), sostituita nel 2020 da IRINI (contro il contrabbando di armi verso la Libia) e dell’Operazione ATALANTA che, dal 2008, lotta contro la pirateria nel Mar Rosso e nell’Oceano Indiano. A queste va aggiunta l’Operazione multinazionale europea EMASOH-AGENOR che, dal 2021, opera per assicurare la libertà di navigazione attraverso lo Stretto di Hormuz. Oltre a quelle appena citate, nelle quali l’Italia partecipa con proprie unità navalii, alternandosi al Comando con gli altri partecipanti, il nostro paese ha unità impegnate in operazioni nazionali integrate in un dispositivo multinazionale, come l’Operazione GABINIA (dal 2019 per la vigilanza e la protezione degli interessi nazionali nel Golfo di Guinea).

Conclusioni

Da quanto finora detto si comprende come il Mediterraneo sia un raccordo essenziale del commercio mondiale e un centro nevralgico dell’economia italiana e che il mantenimento della libertà di navigazione lungo le rotte commerciali marittime mondiali sia un interesse primario del nostro paese.

In tal senso, per assicurare la crescita e il benessere nazionale, è indispensabile che il mondo politico comprenda il ruolo strategico del mare per la nostra economia. Un discorso che non dovrebbe essere patrimonio a corrente alternata di una parte variabile del Parlamento (sic!) ma, invece, dovrebbe costituire la linea di continuità della geopolitica italiana (leggi articolo “La necessità di una intelligente strategia marittima nazionale”).

E parallelamente a una strategia marittima che abbia carattere di continuità è anche indispensabile garantire che la Marina Militare abbia gli strumenti più moderni per poter efficacemente tutelare gli interessi nazionali sul mare, assicurando un significativo ritorno di immagine internazionale e contribuendo ad accrescere il prestigio del paese. Oltre a garantire i collegamenti con i paesi con i quali abbiamo rapporti commerciali, infatti, le nostre navi militari sono efficaci strumenti di politica estera, attraverso quella che è comunemente conosciuta come “Diplomazia navale”, una forma di relazione con l’estero che non ha perso la sua tradizionale importanza, anche grazie a quanto messo a disposizione dal progresso tecnologico. Navi grandi, in grado di navigare per lungo tempo lontano dalle acque di casa, bene armate, con equipaggi bene addestrati e ben motivati costituiscono, quindi, la migliore garanzia per l’economia e la sicurezza del paese.

La loro presenza sulle acque del Mediterraneo e, in senso più ampio, del mondo, ha indiscutibili ritorni positivi per il paese, perché senza una credibile deterrenza contro minacce di qualunque tipo, senza poter assicurare il rispetto del Diritto internazionale, senza l’agibilità delle rotte percorse dal nostro traffico marittimo commerciale, senza i collegamenti telefonici o internet (garantiti dalle linee subacquee), senza la continuità nell’approvvigionamento energetico (via condotte subacquee), il nostro sistema economico si blocca, mettendo in crisi tutti i distretti industriali nazionali (leggi articolo “La tutela degli interessi nazionali sul mare”).

Il recente intelligente e opportuno tentativo innovativo di creare un Ministero del Mare, che ribadisse la centralità della marittimità per il nostro sistema economico, a similitudine di paesi che da tempo hanno fatto della marittimità il loro principale traguardo economico e politico, pare però stia fallendo prima ancora di vedere la luce, per effetto delle solite gelosie interne e brame di potere, il cui orizzonte strategico non va oltre la staccionata del proprio cortile. Invece che un unico indirizzo verso una valorizzazione del patrimonio marittimo nazionale e un’accentuazione della nostra marittimità, anche sotto il profilo culturale, le varie articolazioni che si occupano delle questioni marittime (5 Ministeri, 15 Regioni e 3 università) sembra che continueranno a essere gestite in modo frammentato, disarticolato e personalistico, avendo sempre presente il prossimo risultato elettorale o il mantenimento della fetta di potere piuttosto che la tutela degli interessi nazionali. Un approccio cieco che non ha nulla di strategico ma che è esclusivamente opportunistico, in chiave di sopravvivenza e gratificazione personale (comoda poltrona) nel breve termine. Poi si vedrà.

Un approccio geopolitico cieco che preferisce esaltare i 1.200 km delle Alpi piuttosto che valorizzare gli oltre 7.000 km delle nostre coste, dimenticando (o ignorando) che il mare ha avuto un ruolo fondamentale e insostituibile nella crescita della nostra economia, cultura e civiltà. In una parola, nella nostra plurimillenaria storia e progresso. Dimenticare questo fatto è ingiustificabile, proprio mentre altri paesi, con meno storia della nostra, guardano insistentemente e con convinzione al mare.

Da tempo la Francia, per esempio, spinge per far approvare una strategia comune europea molto più incisiva rispetto all’attuale, che riconosca l’importanza che il Mediterraneo riveste per tutta l’Europa, superando le perplessità e le accese contrarietà dei paesi frugali nordeuropei che, tuttavia, dalla libera fruizione delle rotte commerciali mediterranee ottengono un sostanzioso guadagno in termini di tempo e di denaro.

Una cosa è certa. È indispensabile un forte ritorno della politica italiana ed europea al Mediterraneo, inteso come area geopolitica ed economica di ampio respiro, che rilanci la collaborazione tra paesi volenterosi e renda inoffensivi tutti gli attori (interni ed esterni) ostili alla stabilizzazione dell’area.

Come abbiamo visto, con l’attuale situazione geopolitica, sono concretamente possibili solo alcune flebili collaborazioni bilaterali, ampiamente insufficienti a garantire il quadro di stabilità indispensabile per il tranquillo fluire delle merci e per l’approvvigionamento energetico.

Per l’Italia, il Mediterraneo rappresenta un vero e proprio patrimonio economico di valore inestimabile. Dal mare, infatti, passano tutte le principali articolazioni della nostra economia, energia, comunicazioni, sicurezza. Di conseguenza, è chiaro come sia fondamentale proiettarci sul mare per tutelare i nostri interessi economici nazionali principalmente attraverso la sicurezza delle attività estrattive marine e dei traffici marittimi.

Come si comprende benissimo, quindi, i nostri interessi complessivi oggi vanno ben oltre le Colonne d’Ercole e si estendono in tutto il mondo. Sono interessi globali e ciò richiede una presenza ovunque. L’Italia, essendo una media potenza regionale con interessi globali, non può permettersi di sottovalutare le implicazioni geopolitiche dell’attuale situazione, estremamente fluida e frammentata, caratterizzata da una minaccia latente, multiforme, asimmetrica e da diffuso disequilibrio e insicurezza, da una crescente competizione e da sempre più numerose tensioni di bassissima intensità, ma di elevato potere invalidante. In particolare, ai fini della sicurezza marittima, sono rilevanti le peculiarità della Marina, non solo in relazione alla multidimensionalità, ovvero la capacità di operare sul mare, al disopra del mare e sotto il mare, ma soprattutto dalla capacità di operare normalmente in proiezione (expeditionary) e in permanenza sul mare (sea based).

In tale quadro, oggi più che mai diventa di assoluta importanza garantire la protezione del complesso sistema produttivo e di trasporto marittimo, delle linee di comunicazione marittima, degli oleodotti e gasdotti sottomarini, dei cavi per telecomunicazioni, dei porti, interporti, delle navi e delle piattaforme petrolifere. Sfide che devono diventare prioritarie per la nostra politica, al fine di permettere la continuità dei necessari rifornimenti, indispensabili per un armonioso sviluppo del paese, e senza i quali verrebbero penalizzate la produzione industriale, la ripresa, il nostro prestigio internazionale e il benessere sociale.

La politica saprà far fronte a queste grandi sfide o continuerà a curare interessi di piccolo cabotaggio?

i Per EMASOH-AGENOR la consistenza massima annuale del contingente italiano comprende anche 193 unità e 2 assetti aerei.

Foto: Marina Militare / web