La necessità di una intelligente strategia marittima nazionale

(di Renato Scarfi)
28/12/20

Coprendo il 72% della superficie del pianeta, i mari e gli oceani hanno sempre svolto e continueranno a svolgere un ruolo strategico decisivo. Non solo per il cibo o per le vie marittime commerciali, da cui dipende il nostro benessere, ma anche per le enormi risorse energetiche ancora celate nelle profondità marine, da sfruttare senza rompere i fragili equilibri ecologici che caratterizzano questo particolare ambiente.

Per gli Stati marittimi, gli oceani sono stati a lungo uno spazio da conquistare al fine di garantire il controllo delle vie di comunicazione di interesse commerciale o militare, o per esplorare e prendere possesso di terre lontane e sconosciute, al fine di garantire la disponibilità di materie prime per soddisfare i bisogni della popolazione. Anche se il tempo dell'esplorazione e della conquista è ormai finito, gli spazi marittimi rimangono al centro di ogni analisi strategica, a causa della loro importanza economica, militare e scientifica.

Per il nostro Paese il mare ha una notevole rilevanza strategica ed economica, con i suoi oltre 7.000 km di costa, la presenza di importanti isole strategicamente ben posizionate, una densità abitativa che per motivi geografici, storici ed economici vede la maggior parte della popolazione risiedere a meno di 50 km dal mare, una riserva economica rappresentata dalla pesca, dalle risorse naturali, dal turismo legato al mare (es. le crociere) e dalla cantieristica militare, commerciale e turistica, settore nel quale l’Italia si pone ai primi posti nel mondo. Un’importanza economica del mare che sarà ancor più evidente con la costituzione (finalmente) della Zona Economica Esclusiva nazionale che, secondo la Convenzione ONU sul diritto del mare, potrà estendersi fino a 200 miglia nautiche dalle linee di costa, aumentando notevolmente l’area di interesse economico, scientifico, politico e militare del nostro Paese. A ciò si aggiungono gli intensi scambi commerciali con l’estero, che avvengono prevalentemente lungo le rotte marittime commerciali, le sole ancora in grado di garantire l’importazione a costi relativamente bassi di beni e materie prime dai Paesi stranieri e l’esportazione dei nostri beni lavorati verso gli altri Paesi.

Un mare che, però, sta anche diventando uno spazio geopolitico e geostrategico sempre più conteso. Tuttavia, tra i tanti Paesi rivieraschi del mondo, solo pochi hanno i mezzi per condurre una credibile politica marittima a livello regionale o globale1.

In tale ambito, una media potenza regionale con interessi globali qual’è l’Italia, profondamente immersa nelle acque del Mediterraneo allargato e con una Marina Militare moderna e preparata, il cui sistema industriale è fortemente dipendente dall’importazione di materie prime trasportate via mare, non può permettere che altri minaccino o danneggino i legittimi interessi nazionali con comportamenti aggressivi e sprezzanti del diritto internazionale. Ecco perché sta diventando sempre più necessaria una strategia marittima più ambiziosa, con la quale assicurare un forte impegno per la tutela degli interessi e del prestigio nazionali su questa vasta porzione di mondo rappresentata dai mari e dagli oceani.

Due fattori spingono ormai con forza verso un tale approccio. Il primo è rappresentato dalle tensioni “simmetriche”, che vedono una sempre più spiccata intraprendenza di alcuni Paesi nell’occupare tutti gli spazi lasciati liberi da una ormai più che decennale sonnacchiosa politica nazionale che sembra non voglia impegnarsi troppo nella tutela degli interessi nazionali sul mare, siano essi economici o politici. Basti pensare all’arrogante approccio turco che ha impedito le regolari operazioni della SAIPEM 12000, causandoci un significativo danno economico, alle continue provocazioni ai danni della Grecia (e non solo), che causano destabilizzazione in tutto il Mediterraneo orientale, al continuo disinteresse per l’embargo onusiano nei confronti della Libia. A ciò si aggiunge l’Algeria che, per questioni economiche, si vuole distendere sul Mediterraneo fino alle porte della Sardegna e delle isole Baleari, e che si sta dotando di moderni mezzi navali di fabbricazione russa. A questi elementi si affianca una rinnovata Marina russa che, anche se al momento non rappresenta una minaccia diretta, sta riprendendo vigore e qualità e sta lentamente espandendo la propria influenza, anche economica (es.: settore degli armamenti), in aree dove era tradizionalmente assente anche durante la Guerra Fredda (vedi la vendita di materiale di armamento alla Turchia). Una crescente presenza che ha le potenzialità per influire sui delicati equilibri dell’area.

Il secondo fattore è la sempre presente minaccia “asimmetrica” del terrorismo internazionale di tipo classico e della pirateria, spesso emanazione “economica” del terrorismo (anche quei fanatici hanno bisogno di soldi per le loro sanguinose attività), che incombono sui traffici internazionali via mare e che impegnano le principali flotte a presidiare le rotte marittime più soggette ad attacchi di questo tipo. A questo si aggiunge un significativo flusso migratorio clandestino causato sia dalla violenza generata dai gruppi jihadisti in alcune aree del continente africano ma anche dalle guerre tribali ed etniche purtroppo sempre presenti su quel martoriato continente.

Esiste anche un’altra minaccia ai nostri interessi economici e politici, meno visibile ma non meno incombente. Mi riferisco alla possibilità che, senza un nostro tempestivo e deciso impegno, taluni Paesi rivieraschi più attivi di noi si possano accordare sui confini marittimi escludendo (e, quindi, danneggiando) l’Italia, magari con la benedizione di altri Paesi che hanno interesse a espandersi economicamente e militarmente nel Mediterraneo centrale.

In Italia, purtroppo, non si parla abbastanza di sicurezza e difesa e molti politici, più per questioni ideologiche che per vera cultura istituzionale, ritengono che il dibattito su questi temi sia circoscritto ai generali e agli ammiragli. Un tale approccio è quanto di più sbagliato possa esserci perché la strategia di sicurezza e difesa, comprese le sue implicazioni marittime bilaterali e multilaterali, è parte integrante della politica estera ed è bene ricordare che una saggia politica estera costituisce la prima garanzia di sicurezza e benessere per un Paese. Lo strumento militare è l’ultima risorsa, quando tutti i tentativi diplomatici di comporre la crisi sono falliti. Tuttavia, un adeguato strumento militare navale moderno e pienamente operativo contribuisce efficacemente all’azione diplomatica, spesso evitando anche di dover intervenire con la forza. Non è una scoperta recente: si chiama deterrenza.

Per poter essere ascoltata a livello internazionale l’Italia, quindi, deve prima di tutto definire a livello politico una strategia marittima globale che tenga conto dell’evoluzione geopolitica in atto e che, con il sostegno dalla diplomazia e di un adeguato strumento militare navale, permetta di accrescere il benessere e il prestigio del Bel Paese. Certo, per delineare una strategia marittima che sia adeguata alla tutela dei nostri interessi economici e politici è fondamentale chiarire quali sono i nostri obiettivi strategici.

La prima delle priorità è certamente la protezione di noi stessi e dei nostri interessi più immediati, vicini e visibili. Su questo non c’è ombra di dubbio. Tuttavia, esiste un interesse strategico nazionale che va al di là delle preoccupazioni strettamente legate alla protezione del territorio e dei suoi abitanti. Esso è costituito dall’insieme dei nostri interessi politici, economici, culturali e militari. Un patrimonio che deve essere adeguatamente difeso anche al di fuori dei confini allo scopo di tutelare l’immagine e il prestigio dello Stato.

La politica deve finalmente comprendere che, per esempio, qualunque tentativo di restringere la capacità di movimento via mare dei vettori economici italiani, o comunque diretti verso l’Italia da qualsiasi parte del mondo, costituisce in realtà un vulnus alla nostra sicurezza economica e quindi alla sicurezza nazionale. Di conseguenza, se la sicurezza del territorio nazionale e dei suoi residenti e quella del Mediterraneo ci riguarda più da vicino, è pur vero che la natura del nostro sistema economico ci spinge a considerare come importanti anche i luoghi più lontani, laddove è possibile acquisire le risorse di cui abbiamo assoluto bisogno.

In un’epoca di minacce estremamente flessibili e di contemporanee importanti ristrettezze di bilancio gli obiettivi strategici possono essere perseguiti anche in sinergia con partners e alleati, in modo da valorizzare le capacità di ciascuno, a vantaggio di tutti. Per esempio, in un quadro di parziale riduzione dell’impegno americano dalle acque immediatamente adiacenti le nostre coste a favore di una maggiore attenzione verso lo scacchiere Indo-Pacifico, dove Washington sta cercando di contenere l’espansione marittima di Pechino (nell’ambito della Nuova Via della Seta o One Belt One Road Initiative), un orientamento politico nazionale poco attento alle problematiche marittime sta permettendo ai Paesi rivieraschi più intraprendenti di attuare una politica marittima aggressiva e destabilizzante, con lo scopo di riempire gli spazi lasciati vuoti da Washington e di accaparrarsi i diritti per lo sfruttamento delle risorse ittiche ed energetiche ancora custodite in talune aree. Una superficialità che non ha fatto altro che far aumentare i problemi.

In tale ambito, la condivisione con i principali alleati di una postura marittima nazionale più assertiva e decisa a tutelare gli interessi nazionali (ed europei), consentirebbe di arginare efficacemente le attuali spinte destabilizzanti, accrescendo al contempo il nostro prestigio internazionale. Ma ciò presuppone risolutezza e chiarezza di intenti che portino la politica, appunto, a determinare precisi obiettivi strategici. Come assicurare il raggiungimento di tali obiettivi sarà poi ovviamente compito del corpo diplomatico e dello strumento militare marittimo, da sempre in prima linea a sostegno della politica estera nazionale.

Appare incredibile che l’Italia, una penisola protesa nel centro del Mediterraneo e con interessi economici globali, non abbia una postura marittima più assertiva, tenuto conto che il nostro sistema economico è basato sulla libera circolazione, soprattutto marittima. Non solo, ma è ancor più incomprensibile il silenzio della politica su questioni importanti quali, per esempio, visioni poco lungimiranti che causano inutili e dannosi ritardi nel raggiungimento della piena capacità operativa di alcuni importanti assets navali nazionali.

Per tutti questi motivi la politica deve comprendere che è ormai diventata indispensabile la formulazione di un’intelligente strategia marittima nazionale, che non si limiti al pur importante ruolo di presenza all’interno dei dispositivi navali multinazionali, ma che rappresenti una solida base sulla quale costruire un sistema di garanzia degli interessi strategici nazionali, economici e politici, che accrescano anche il prestigio dell’Italia sul piano internazionale. In tale ambito i soli sforzi della diplomazia non possono essere sufficienti e devono essere accompagnati da un adeguato impegno della Marina, sia assicurando la continua partecipazione ai dispositivi multinazionali che operano sotto l’egida dell’ONU o di coalizioni ad-hoc (embargo di armi, antipirateria, ecc…) sia con il deciso contrasto di eventuali minacce al nostro sistema economico e sociale (terrorismo internazionale, impedimento della libera navigazione o alle attività produttive/estrattive marine, ecc…), ovunque queste si presentino.

Tutto ciò comporta l’esigenza di garantire un potenziamento delle capacità operativa, di proiezione strategica e di deterrenza della nostra flotta anche lontano da casa, in tutto il Mediterraneo allargato. In particolare, appare fondamentale facilitare il raggiungimento della piena operatività dello strumento con il quale la Marina Militare ha compiuto il più importante salto di qualità nel dopoguerra: lo strumento aeronavale.

Tra gli innumerevoli sistemi a disposizione della politica per fronteggiare le attuali crisi e quelle che (purtroppo) si presenteranno per minacciare la nostra economia o il nostro prestigio, la diplomazia e lo strumento militare navale dovranno prevedibilmente sostenere il ruolo principale. Ma per far questo con la giusta efficacia dovrà essere individuata un’intelligente strategia marittima e affrontate le spese necessarie, che dovranno essere considerate un investimento e non un costo. Le crisi che si stanno sviluppando sui mari e oceani del mondo esigono un’approfondita riflessione circa le nostre capacità di risposta navale e soprattutto un salto di qualità concettuale, senza il quale il nostro prestigio, il nostro benessere e le nostre esigenze di sicurezza non potranno essere garantiti. Ne saremo all’altezza?

1 In ordine alfabetico: Australia, Cina, Francia, Giappone, Gran Bretagna, India, Italia, Stati Uniti, Russia, Canada, Spagna.

Foto: Armée française / Twitter / ABC / LNA / Marina Militare / U.S. Navy