KFOR: non sarebbe ora di passare la responsabilità dalla NATO alla UE?

(di Antonio Li Gobbi)
31/05/23

Quattordici soldati italiani feriti durante gli scontri a Zvecan. Molti italiani si chiederanno “ma dov’è Zvecan?” altri, magari con qualche cognizione geografica più accurata si chiederanno “ma come è successo?”.

Domande legittime ma, forse, prive di senso. La vera domanda potrebbe essere “cosa ci fanno ANCORA là soldati della NATO?”, dove il termine importante è “ancora”.

Nell’indifferenza generale, la missione NATO in Kosovo, che tra qualche giorno compirà 24 anni, ha superato per longevità qualsiasi altra missione dell’Alleanza, compresa la tristemente nota missione in Afghanistan, in cui la NATO1 è stata impegnata per 18 anni (da agosto 2003 ad agosto 2021).

La longevità di una missione militare non è mai un buon segnale: indica che si tende a rattoppare con assetti militari la mancanza di una soluzione politica. Le troppe “never ending” operazioni ONU ne sono la plastica dimostrazione, ma purtroppo anche gli interventi NATO in Afghanistan e Kosovo possono tristemente confermare la validità di tale tesi.

Come noto, l’intervento NATO sul terreno in Kosovo seguì la campagna di bombardamento aereo NATO su Serbia e Kosovo del periodo marzo – giugno 1999. Si trattava di un periodo di grande credibilità e grande coesione dell’Alleanza Atlantica che, a partire dal dicembre 1995 (dopo i clamorosi fallimenti dell’ONU in Somalia prima e in Bosnia poi), si era imposta come unica organizzazione regionale che potesse condurre con efficacia operazioni di gestione delle crisi (almeno in Europa).

Mentre la campagna di bombardamento aereo era stata condotta per autonoma decisione del NAC senza una “copertura” da parte del consiglio di sicurezza ONU2 (e infatti in maniera “assolutamente accidentale” a Belgrado venne colpita anche l’ambasciata cinese) l’intervento delle forze di terra di KFOR (iniziato il 12 giugno 1999) era condotto in ottemperanza della risoluzione ONU 1244 del 1999.

Chi, come chi scrive, entrò in Kosovo nel giugno 1999 con i primi reparti NATO si rese conto di qualche “imprecisione” nel racconto CNN della situazione. Si era sicuramente di fronte ad una conflittualità interetnica ma le “vittime” non erano tutte da una sola parte, così come i “carnefici” non erano neppure essi da una sola parte.

La risoluzione 12443 era un classico tentativo di dare un colpo al cerchio e uno alla botte, tenendo anche conto della diversità di vedute al riguardo tra USA e Russia, entrambi membri permanenti del Consiglio di Sicurezza. Né all’epoca si sarebbe realisticamente potuto ottenere di più e certe contraddizioni furono necessarie almeno per avviare il processo.

Processo che dopo 24 anni, però, appare ancora impantanato...

Il problema delle comunità serbe (che costituiscono la quasi totalità della popolazione a nord del fiume Ibar e che non riconoscono nel Kosovo “albanese” la propria patria) è stato sempre affrontato in termini di sicurezza di queste popolazioni ma non di riconoscimento della legittimità della loro aspirazione a riunirsi a quella che loro (a torto o a ragione, chi può sindacare?) ritengono essere la loro vera patria.

L’autoproclamata indipendenza del Kosovo nel 2008 (peraltro in contrasto con il dettato della risoluzione 1244) rispondeva giustamente alle legittime aspettative della popolazione kosovaro-albanese ed era divenuta a quel punto un passo inevitabile. Peraltro, il riconoscimento di tale indipendenza da parte degli USA e degli Stati Europei che la hanno riconosciuta4avrebbe forse potuto essere condizionato alla preventiva soluzione del problema già allora critico delle comunità serbe del nord.

Nel 2013 l’UE riuscì a facilitare un primo accordo tra Belgrado e Pristina in merito ai principi che dovevano governare la normalizzazione delle proprie relazioni. Gran parte dell’accordo era incentrato sulla realizzazione di “associazione delle comunità delle municipalità a maggioranza serba del nord del Kosovo”. Accordo che, però, a dieci anni di distanza non ha trovato applicazione.

Di fatto la comunità Internazionale non è risultata in grado di convincere le due parti a giungere ad un accordo.

Non ha aiutato la convinzione (più o meno fondata) di entrambe le parti di avere comunque potenze extraeuropee (Russia, da un lato, USA e Turchia, dall’altro) che in maniera esplicita o meno supportavano i fautori della “linea dura”.

La NATO con KFOR in questi 24 anni ha fatto un ottimo lavoro, ma il problema non può essere ricondotto alla sola dimensione militare o di sicurezza delle minoranze.

Occorre ormai trovare una soluzione politica e questo la NATO, in quanto tale, non può farlo perché non ha la "capacità politica" di favorire una soluzione.

Ce l’hanno gli Stati Uniti, che di fatto molto spesso hanno dettato la linea di politica estera dell’Alleanza, ma davvero l’UE vuole continuare a lasciare alla diplomazia americana la soluzione di questa crisi che è veramente all’interno dell’Europa?

Davvero vogliamo che l’Ibar venga percepito come una linea di confronto tra NATO e Serbi?

Certamente la propaganda russa trova terreno fertile presso alcuni estremisti serbi, ma questo dipende forse anche dalla vacuità delle promesse che Belgrado ritiene di aver ricevuto dall’Europa.

Il ruolo militare di KFOR è in fondo contenuto, il suo ruolo politico è molto più rilevante, la transizione a una forza UE non comporterebbe eccessivi problemi pratici ma sarebbe un segnale politico importante.

L’UE è già presente in Kosovo con EULEX, e sicuramente avrebbe la possibilità di gestire una forza delle ridotte dimensioni di KFOR.

Il segnale però sarebbe politico. L’Europa che si assume la responsabilità in prima persona di un problema che la riguarda. Inoltre, l’UE verrebbe sicuramente percepita a Belgrado (dove ci si ricorda ancora dei bombardamenti del 1999 e che già nel 2009 aveva avanzato domanda di adesione) in maniera diversa dalla NATO.

Il fatto che della UE non facciano parte né USA né Turchia, che hanno grossi interessi in Kosovo, potrebbe rappresentare un ulteriore vantaggio.

È chiaro che USA e Turchia potrebbero porre i bastoni tra le ruote a un passaggio di responsabilità alla UE, ma forse una volta tanto l’UE (anche in relazione a quanto sta facendo per supportare l’Ucraina) dovrebbe farsi sentire.

1 Ci si riferisce alla NATO in quanto tale, non a singoli paesi membri dell’Alleanza, tra cui anche l’Italia, operanti sotto comando USA nel quadro della “coalizione di volenterosi” Operation Enduring Freedom.

2 Quello fu l’unico caso, nei 74 anni di vita dell’Alleanza, di una operazione militare offensiva condotta senza una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU.

3 La Risoluzione 1244 tra le altre cose prevedeva :

  • Un’amministrazione temporanea del Kosovo da parte dell’ ONU (UNMIK)
  • Il ritorno in Kosovo di personale della Repubblica Serba per garantire la sicurezza dei siti del patrimonio culturale e religioso serbo e dei posti di confine esterni (cosa che di fatto non trovò mai attuazione e fu spesso KFOR ad assumersi tale onere)
  • il ritorno alle proprie abitazioni di tutti i rifugiati ( cosa che nonostante gli indubbi sforzi di KFOR e della comunità internazionale è stato possibile solo per i rifugiati di etnia albanese, mente quelli di etnia serba non hanno mai ritenuto che vi fossero condizioni di sicurezza per il loro ritorno, almeno a sud del fiume Ibar)
  • Favorire da un lato la creazione di istituzioni politiche autonome del Kosovo, garantendo però la sovranità e l’integrità territoriale della Repubblica Federale della Jugoslavia, in applicazione degli accordi di Helsinki del 1975 ( obiettivo in effetti difficile da conseguire)
  • Lo smantellamento delle formazioni armate kosovaro albanesi, che non avrebbero dovuto trasformarsi in una forza di tipo militare (come invece di fatto inevitabilmente avvenuto dopo la dichiarazione di indipendenza)
  • L’avvio sotto la guida dell’ONU di un processo di pace che prendesse a riferimento gi Accordi di Rambouillet ( mai sottoscritti dalla Serbia) per la definizione di un futuro stato del Kosovo come provincia con grande autonomia ma non come stato indipendente .

4 Peraltro alcuni paesi europei membri sia NATO sia UE, quali Spagna, Grecia, Slovacchia e Romania, non hanno mai riconosciuto l’indipendenza del Kosovo.

Foto: ministero della difesa