Il ritorno della difesa territoriale: la creazione di un comando territoriale in Germania. Caso isolato o trend generale?

(di Rosario Colavero)
29/09/22

Da diversi anni, in alcuni contesti in particolare (es. alleati orientali della NATO) si assiste ad un aumentato rilievo dei compiti territoriali assegnati alle forze armate, dopo circa vent’anni di focus sulle cosiddette capacità expeditionary, cioè di proiezione a distanza dal territorio nazionale.

Un simile fatto non deve sorprendere, dal momento che, in tutti gli stati, la prima missione delle forze armate è la difesa della patria. L’intervento in missioni internazionali è stato sempre funzionale a garantire la propria sicurezza, specie per fronteggiare minacce di ampia portata o per superare limiti nazionali. È più pertinente chiedersi, invece, se non sia in atto una vera e propria “evoluzione culturale” sulla ragion d’essere delle forze armate e sull’insieme dei compiti ad essi affidati, alla luce delle evoluzioni strategiche e geopolitiche. Qual è la reale portata di questo fenomeno e quali potrebbero essere le indicazioni da trarre?

Cercheremo di approfondire questi punti, partendo dal caso della Germania.

La scelta della Germania

Sull’onda della guerra in Ucraina, la Germania ha annunciato l’istituzione di un comando militare territoriale, a Berlino, a partire dal 1° ottobre 2022, al fine di assicurare la condotta di compiti legati alla difesa territoriale. La decisione del Ministero della Difesa è stata motivata dalla necessità di adattare la struttura organizzativa delle forze armate tedesche alle nuove sfide.

L’esperienza della pandemia, è stato uno dei fattori che da determinato questa scelta. Le forze armate tedesche e il Ministero Difesa hanno avuto un ruolo importante – come avvenuto del resto anche in Italia – nel combattere la pandemia da COVID-19. Il generale Carsten Breuer (nella foto seguente a dx), comandante della nuova struttura, è stato in precedenza il capo del team di risposta all’emergenza COVID della Cancelleria.

Tuttavia, si tratta di un adattamento più che di una rivoluzione. Infatti, già esistevano da anni varie strutture militari deputate, essenzialmente, ad interfacciarsi con le autorità civili in caso di catastrofi naturali (es. alluvioni, emergenze sanitarie, terremoti, ecc.). Una rete di comandi e unità, costituita da un centro operativo di monitoraggio della situazione (H 24 e per tutto l’anno) e unità a livello regionale in tutto il paese assicura una tempestiva diramazione degli allarmi e una pronta capacità di intervento, verificata in periodiche esercitazioni di cooperazione civile-militare (COCIM).

In futuro, il comando territoriale della Bundeswehr sarà chiamato a svolgere, oltre ai compiti COCIM anche il coordinamento operativo delle forze nazionali per la homeland security, compresi compiti di natura amministrativa e nel campo del disaster relief. Non solo. Il comando, che dovrebbe essere operativo a partire da marzo 2023, avrà anche l’importante funzione di assicurare il regolare flusso di eventuali forze di altri paesi attraverso la Germania, organizzandone il movimento, in stretto coordinamento con i comandi della NATO. A tal scopo, le strutture esistenti verranno rinforzate con ulteriore personale e assetti logistici, di difesa CBRNi e di Polizia Militare, accelerando i tempi di risposta alle situazioni di emergenza, in tempo di pace, crisi e conflitto.

Le esigenze legate ai compiti NATO sono state il terzo fattore che ha determinato il cambiamento. Infatti, com’è noto, da circa un decennio l’Alleanza sta insistendo sulla necessità di ripristinare la capacità di condurre operazioni ad alta intensità in Europa, a seguito dell’atteggiamento più aggressivo assunto dalla Russia negli ultimi anni. Diverse strutture di Comando sono state istituite allo scopo, specie in Europa centrale e orientale, tra cui il Joint Support and Enabling Command (JSEC), proprio in Germania, a Ulm, la cui missione di coordinamento consiste nel contribuire a preparare il rinforzo dell’Alleanza dove e quando richiesto garantendo anche il sostegno delle forze, in caso di crisi e conflitto.

Il nuovo comando nazionale dovrà stabilire una stretta relazione con il JSEC, al fine di costruire e rafforzare la rete dei rinforzi e del sostegno logistico alleato in Europa. Il fattore nazionale dovrebbe facilitatare il coordinamento, essendo il comandante del JSEC un generale tedesco.

Infine, è interessante notare come l’istituzione del comando territoriale abbia introdotto una netta separazione tra compiti legati al comando delle forze armate in Germania, affidati allo stesso, e missioni all’estero, affidate al comando operativo di Potsdam. Peraltro, il primo verrà posto alle dirette dipendenze del ministro della Difesa, facilitando l’istituzione rapida di cellule di crisi presso la Cancelleria, sul modello attuato per l’emergenza COVID.

Un caso isolato?

Ci si può chiedere ­se si tratti di un’eccezione o se decisioni simili siano state assunte anche da altri paesi. Possiamo analizzare al riguardo la situazione della Polonia, paese che da anni si dichiara preoccupato dall’atteggiamento russo per sensibilizzare la comunità internazionale e, all’interno, per giustificare una rinnovata attenzione alle problematiche della difesa, dopo il periodo di relativa calma seguito all’adesione alla NATO nel 2004.

Lo scoppio del conflitto in Ucraina ha ulteriormente esacerbato le preoccupazioni della Polonia, che, già pochi giorni dopo, a metà marzo 2022, ha adottato l’Homeland Defence Act. Entrato in vigore il 23 aprile dello stesso anno, il documento autorizza un incremento delle Forze Armate a 300.000 uomini (di cui 250.000 professionisti e 50.000 nella difesa territoriale), un aumento delle spese militari, raggiungendo il 3% del PIL entro il 2023, la modernizzazione dell’esercito e l’introduzione di una forma di servizio militare su base volontaria.

Diversi uomini politici polacchi hanno dichiarato la necessità che il proprio paese si doti di un apparato militare all’altezza della situazione geopolitica attuale, in grado di respingere eventuali attacchi e costituire un deterrente. Il Ministro della Difesa è andato oltre, dichiarando l’ambizione di giungere al 5% del PIL come volume di spese militari, dotando la Polonia del “più potente esercito in Europa”.

A ben guardare, il provvedimento era nell’aria da tempo e la prima bozza era stata presentata già nel mese di ottobre 2021, recependo le preoccupazioni di diversi partiti politici e degli ambienti militari. Da mesi, infatti, Mosca ammassava truppe in Bielorussia e Minsk, dal canto suo, favoriva il flusso migratorio verso la Polonia, creando non poca inquetudine in questo paese. La tragica evoluzione di fine febbraio 2022 ha avuto l’effetto di introdurre ulteriori misure nella legge e accelerarne i tempi di entrata in vigore.

Le principali misure riguardano, oltre a quanto già indicato, la revisione di un ampio corpus giuridico composto da 14 leggi precedenti riguardanti la difesa nazionale, giungendo alla riorganizzazione delle forze armate, l’introduzione del concetto di difesa comune, la semplificazione nell’organizzazione del servizio militare, il ripristino della riserva, il miglioramento dei sistemi addestrativi e una serie di misure atte a incentivare l’appetibilità della professione militare (stipendi, incentivi aggiuntivi per lungo servizio, sviluppi di carriera).

Sul piano finanziario, oltre alle risorse assegnate al Ministero Difesa, l’ammodernamento delle forze armate (soprattutto esercito e aviazione), è stata prevista l’istituzione di un fondo di supporto finanziato dal tesoro, da bond bancari, imprese operanti nel settore della difesa, proventi provenienti dalla vendita di sistemi d’arma.

In temini di sistemi d’arma, la Polonia ha già assunto impegni nei confronti di USA, per la fornitura di carri, sistemi di difesa controaerei, artiglierie e velivoli F-35, e, soprattutto Corea del Sud, per l’acquisto di 1000 carri e 600 obici, da produrre su licenza in Polonia.

Questo apparato militare è fortemente orientato alla difesa del proprio territorio nei confronti di aggressioni esterne, considerata la bassa presenza polacca nelle missioni di pace. Dato che l’attenzione di Varsavia continuerà ad essere, negli anni a venire, la sicurezza nei confronti di minacce da est, l’orientamento delle sue forze armate sarà prioritariamente, se non esclusivamente, verso compiti di difesa territorialeii. Questo al netto dei reali risultati che verranno raggiunti dalla riforma avviata, stando anche a quanto dichiarato nella propria strategia, a proposito di eventuali impegni in missioni umanitarie, di stabilizzazione e supposto che non dovranno pregiudicare la capacità di difesa nazionale.

Una tendenza di fondo, con talune differenze

Non sono certo due casi a determinare un trend. Ma, qualora non bastassero gli esempi delle Repubbliche baltiche, anch’esse alle prese con lo stesso problema della Polonia (con la sostanziale differenza delle loro dimensioni territoriali e geopolitiche), considereremo un altro Paese, l’Ungheria che, a fine 2021, ha elaborato una nuova strategia militare nazionale.

Il documento, approvato dal presidente Orban, indica espressamente che “la difesa del territorio nazionale è un obiettivo di tutta la nazione”, implicando uno sforzo cooperativo di tutti gli attori coinvolti, lo sviluppo di capacità industriali e un’ampia coesione e impegno civico per la difesa della patria. La riorganizzazione della difesa ungherese servirà ad assicurare la sovranità nazionale, la sicurezza del territorio e dei cittadini e gli interessi del paese, in generale, accrescendo l’autonomia ungherese.

Nondimeno, la strategia non manca di realismo. Gli sforzi intrapresi, infatti, serviranno dichiaratamente ad aumentare tanto l’autosufficienza militare dell’Ungheria, quanto il suo contributo alla sicurezza regionale ed alleata. Realisticamente, la strategia pone la NATO e il suo sistema di difesa collettiva al centro della sicurezza nazionale, riconoscendo che una difesa nazionale più forte è il presupposto per ma cooperazione nell’Alleanza. L’UE avrebbe, secondo il paese magiaro, un ruolo complementare, assieme alla cooperazione multinazionale.

L’approccio dell’Ungheria è un misto, dunque, tra autonomia nazionale e cooperazione internazionale, in cui vuole poter giocare il proprio ruolo, anche attraverso un’industria difesa nazionale più forte. Beninteso, l’autonomia nel difendersi da attacchi e minacce esterni è riferita a stati o forze armate di livello similare, mentre la difesa nei confronti di minacce più grandi sarà assicurata nel contesto NATO-UE.

Non mancano anche i riferimenti allo sviluppo di capacità di resilienza, al fine di garantire la continuità dei servizi governativi e della vita del paese in caso di attacchi o di emergenze e catastrofi naturali, in cui i militari giocherebbero un ruolo findamentale. Il potenziamento degli effettivi e delle capacità delle forze di riserva (su base volontaria) sarebbe il presupposto fondamentale per migliorare la resilienza e per supportare le forze armate, in caso di crisi e conflitto.

Anche in questo caso, il rinnovamento delle forze armate passa per un incremento previsionale del budget difesa per raggiungere il livello del 2% del PIL entro il 2024 (come chiesto dalla NATO nel Summit del Galles).

Per avvalorare la tesi di un ritorno della difesa territoriale quale priorità degli apparati difensivi si potrebbe considerare anche la crescente attenzione che in Francia viene data alla capacità di rispondere, anche autonomamente, in caso di conflitto ad alta intensità. Certo, da sempre il paese transalpino ha reclamato la propria autonomia in fatto di sicurezza e difesa (si pensi alla scelta di dotarsi dell’arma nucleare e alla decisione, negli anni ’60 del secolo scorso, di uscire dalla struttura militare della NATO).

Anche qui, le scelte politiche si stanno orientando verso il rafforzamento delle forze armate, per renderle in grado di affrontare situazioni di conflitto in Europa, il potenziamento delle capacità industriali per poter passare a “un’economia di guerra” e il potenziamento delle forze di riserva, per incrementare la resilienza.

Il neo-ministro della difesa ha recentemente dichiarato l’intenzione di raddoppiare i volumi della riserva (che conta attualmente circa 40.000 unità), proprio per assicurare la difesa nazionale, avviando un’ampia riflessione che vada al di là dei soli requisiti fisici (meno importanti per i compiti affidati alla riserva) per tener conto delle competenze di ciascuno (es. nel campo della difesa cibernetica).

Quali ammaestramenti?

La guerra in Ucraina e anche l’incrementata assertività di altri attori internazionali hanno riportato in auge vecchie preoccupazioni e hanno ulteriormente stimolato una riflessione ampia sulla sicurezza nazionale e internazionale, sui rapporti tra le due e sulla ragion d’essere delle forze armate. Riflessione che, però, in diversi casi era già in atto da tempo.

All’indomani dell’annessione della Crimea, quando ancora l’Alleanza Atlantica focalizzava i propri sforzi sullo sviluppo di capacità expeditionary e deployable (destinate, cioé, ad essere proiettabili e impiegabili a notevoli distanze dalle proprie basi), taluni membri chiedevano di poter dedicare maggiori sforzi e risorse sulla homeland defence. Dopo vent’anni di focus sulla mobilità e tagli alle capacità “stanziali” si è dato avvio ad un cambio di prospettiva, con una spinta divenuta recentemente ancora più grande.

Quindi, questo trend di crescente attenzione alla difesa territoriale è, come abbiamo visto, una realta sotto gli occhi di tutti. Che cosa possiamo dedurre?

La prima considerazione riguarda il realismo su cui occorre costruire la strategia di uno stato o di un’alleanza. La minaccia sull’integrità territoriale, anche se remota non va mai trascurata e i modi per fronteggiarla devono fare ricorso a meccanismi di sicurezza collettiva, basati su credibili capacità militari proprie. La disponibilità di un bacino di forze diversificate, equilibrate nelle diverse componenti, ben equipaggiate e addestrate è imprescindibile. Del resto, al di là delle strutture di Comando integrate, la difesa NATO (e anche quella UE) si basa su quanto messo a disposizione dai Paesi.

In secondo luogo, le ricette con cui garantire la sicurezza nazionale non sono tutte uguali, perché si devono adattare alla realtà del singolo stato: posizione geografica, dimensioni, ruolo internazionale, ecc. Accanto alle scelte di taluni stati di potenziare le proprie capacità territoriali, riducendo l’impegno in altre missioni, potrebbero trovar posto anche altre che continuino, ad esempio, a fare leva sulla capacità di proiezione anche a grandi distanze per garantire una maggiore flessibilità di intervento. Si pensi a Stati come l’Italia che hanno importanti confini terrestri e marittimi, rispetto alla superficie del territorio. In questo caso, sarebbe impensabile (oltre che strategicamente errato, in presenza di un quadro di minacce variegato) immaginare il ritorno a una concentrazione di forze in alcune regioni di confine. La forte mobilità degli assetti potrebbe consentirne la proiezione dove necessario, in caso di esigenza.

Questo ci porta alla terza riflessione, riguardante l’importanza dei sistemi di mobilitazione, per garantire la resilienza nei confronti di minacce più gravi. Pochi anni dopo la fine della Guerra Fredda, la quasi totalità dei Paesi ha abbandonato i meccanismi di mobilitazione che servivano per garantire l’alimentazione delle unità necessarie per rispondere gli attacchi delle forze del Patto di Varsavia, già alle prime avvisaglie di crisi. I provvedimenti sono andati di pari passo con la sospensione della leva obbligatoria, che garantiva i volumi necessari per attivare la mobilitazione, oltre che le strutture in grado di farlo (Uffici di leva, distretti, liste di leva, ecc.). Come sta sperimentando la Russia, è essenziale rispolverare la capacità di mobilitare in tempi rapidi importanti risorse umane, non potendo mantenere a lungo eserciti sovradimensionati.

Strettamente legato al tema della mobilitazione, vi è quello della disponibilità di forze di riserva adeguate numericamente e qualitativamente per supportare le forze regolari e sostituirsi ad esse, per compiti di natura logistica o di controllo delle retrovie. Non solo. Con l’avvento dei nuovi domini delle operazioni – cyber e spazio – risultano importanti nuove professionalità e competenze, più disponibili nel contesto civile. La mappatura del personale in possesso di qualifiche pregiate che sia disponibile a far parte della riserva potrebbe essere una buona pista per assicurare un efficace sviluppo di ottime capacità. In altre parole, occorrerebbe estendere alle operazioni classiche quanto fatto in passato per formare la riserva selezionata, rivelatasi utilissima per le operazioni di risposta alle crisi.

Merita, infine, una riflessione particolare la problematica delle scorte di materiali e munizioni. Per diversi anni, le scorte di materiali e munizioni sono state assottigliate per diversi motivi: riduzione delle esigenze, necessità di ridurre i costi legati all’acquisizione, immagazzinamento, gestione e dismissione, una volta che lo stesso materiale superava il periodo di validità. Non è una situazione che può essere mantenuta a lungo, senza correre forti rischi. Il ripianamento delle scorte in tempi rapidi non è un problema semplice da risolvere e d’altro canto non si può pensare di distruggere periodicamente grandi quantitativi di munizioni, poiché questo comporterebbe importanti perdite economiche, oltre ai danni ambientali. La capacità di passare a “un’economia di guerra”, in grado di accelerare rapidamente i tempi di produzione, potrebbe essere una soluzione, come sembrano indicare le recenti dichiarazioni del ministro della Difesa francese.

La carrellata che abbiamo fatto non pretende di essere esaustiva. A ciascuno la libertà di approfondire gli spunti appena accennati o trovare altre stimolanti piste di riflessione. Un fatto è certo: il territorio nazionale e la popolazione che lo occupa sembra essere divenuto nuovamente il principale obiettivo securitario di molti Paesi e l’obiettivo dei nuovi programmi di armamento.

i Chemical Batteriological Radiological Nuclear

ii Peraltro, le FA polacche hanno una branca denominata Forza per la Difesa Territoriale, che è nettamente separata dalle tre FA tradizionali ed è oggi composta da oltre 30.000 effettivi, composti da personale professionista e militari della riserva.

Fonti e approfondimenti

https://www.express.co.uk/news/science/1624735/germany-launch-territorial-command-protect-border-russian-invasion-ukraine-putin-scholz

https://www.bundeswehr.de/en/organization/joint-support-and-enabling-service/organization/bundeswehr-territorial-command

https://jsec.nato.int/

https://www.gov.pl/web/primeminister/more-troops-and-more-money-for-defence--the-council-of-ministers-adopted-a-draft-homeland-defence-act

https://notesfrompoland.com/2022/07/29/polands-land-forces-will-be-most-powerful-in-europe-says-defence-minister/

 https://www.defence.hu/news/national-military-strategy-of-hungary.html

https://www.lefigaro.fr/actualite-france/sebastien-lecornu-il-nous-faut-augmenter-le-nombre-de-reservistes-20220904

https://www.lefigaro.fr/international/economie-de-guerre-l-etat-demande-aux-industriels-dela-defense-de-produire-plus-vite-20220907

Foto: Bundeswehr / NATO / gov.pl - Ministerstwo Obrony Narodowej

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ii Peraltro, le FA polacche hanno una branca denominata Forza per la Difesa Territoriale, che è nettamente separata dalle tre FA tradizionali ed è oggi composta da oltre 30.000 effettivi, composti da personale professionista e militari della riserva.