I 4 pilastri del lavoro di squadra

(di Andrea Sapori)
28/12/23

La Teoria dei Giochi è lo strumento di analisi e previsione (militare, geopolitica, business) più usato al mondo, e permette di simulare situazioni di conflitto e/o di crisi in termini misurabili (anche matematicamente), per le quali possono essere pertanto ricercate soluzioni tramite modelli pre dimostrabili. Offre altresì una visione prospettica, che mostra come le decisioni - secondo un meccanismo definito retroazione - devono preventivare un guadagno quanto più condivisibile, che risulta essere (quasi) sempre il risultato migliore, in termini pratici e strategici.

Il video mostra anche un bellissimo esempio di lavoro di squadra: "fare ciò che è meglio per sé stessi e per il gruppo" è il vero dogma del Team Working.

"Esistono 3 modi di fare le cose: il modo giusto, quello sbagliato e quello militare"

Il modo militare è quello che offre il miglior rapporto efficacia-efficienza. Serve per sapere velocemente e precisamente come, quando, a chi far fare cosa (compresi ovviamente noi), in quanto nato per far fronte alla cosa più tremenda che gli esseri umani abbiano mai dovuto gestire da quando hanno iniziato a vivere in comunità organizzate: la guerra.

La storia ha dimostrato che alcune problematiche organizzative - non solo in ambito bellico (il Canale di Panama, ad esempio) - hanno previsto e sempre più prevedono, l'impiego di personale e strutture concepite e sviluppate in ambito militare (altro esempio: la gestione della campagna vaccinale contro il Covid19, al comando di un generale degli alpini veterano dell'Afghanistan, esperto di logistica). Il personale delle Forze Armate è chiamato inoltre a garantire sicurezza pubblica, supporto alle strutture civili in caso di emergenza (di ogni tipo), a fornire "intelligence" a strutture commerciali e finanziarie, ovunque sia richiesto, utilizzando competenze tecniche militari, e parecchio altro ancora.

La moderna struttura militare, intesa come un insieme ordinato di personale e attrezzature atte a prepararsi ed a compiere azioni difensive e/o offensive in caso di conflitti, può essere fatta storicamente risalire al re Filippo il Macedone, padre del più grande comandante militare della storia, Alessandro Magno.

Filippo ed Alessandro, con l'uso straordinario della falange e della cavalleria, dimostrarono come un esercito, anche molto meno numeroso di quello nemico (i persiani), potè conquistare in soli 12 anni gran parte del mondo orientale allora conosciuto.

L'esercito doveva essere:

• strutturato gerarchicamente in modo chiaro e preciso;

• basato su una disciplina coerente e correttamente indicata;

• ben addestrato e preparato a svolgere i compiti assegnati, esperto nell'uso dei propri mezzi;

• fiducioso dei propri ufficiali, pronti sempre a dare l'esempio, ben rifornito e ricompensato, conscio e informato dell'importanza della missione.

Torneremo su Alessandro e sul suo essere un capo straordinario, riconosciuto da tutti come tale non per diritto dinastico, ma per le proprie virtù e capacità.

Ora però scopriamo i 4 pilastri del lavoro di squadra, validi adesso come allora.

Gerarchia: le persone che ad ogni livello compongo e gestiscono una struttura di comando e controllo al fine di garantire lo svolgimento delle azioni decise in modo ordinato.
Disciplina: le norme che regolano i compiti e le azioni di una collettività e la loro condivisione e osservanza.
Addestramento: l'acquisizione di particolari capacità fisiche, intellettuali, tecniche, mediante esercizi e studi prestabiliti e/o suggeriti dall'esperienza.
La risultante di questi tre "vettori" porterà alla Motivazione, di cui seguirà una definizione argomentata più avanti.

Comprendere ed usare i 4 pilastri del lavoro di squadra significa conoscere anzitutto la posizione che si occupa sul campo (di battaglia, di gioco, di lavoro...) e lungo una linea gerarchica. In altri termini, e più pragmaticamente, il posto in cui si vive si lavora, oggi anche uno spazio virtuale, social, e pertanto multidimensionale. Conoscere noi stessi quindi, i nostri limiti, ma soprattutto le nostre capacità. Conoscere nel dettaglio l'ambiente che ci circonda, e utilizzare nel modo migliore l'assunto principale della Teoria dei Giochi: fare il meglio per sé e per gli altri, sapendo che questo più di qualsiasi altra cosa farà della nostra la squadra vincente.

Il concetto, di per sé stesso, è valido in ogni scenario: avere la consapevolezza della situazione significa poter controllare gli eventi, gestendo al meglio per noi e per tutti, porsi nella posizione più favorevole e quindi in vantaggio nel contesto spazio-temporale in cui ci troveremo ad operare.

Questa capacità è detta Situation Awareness, un concetto sviluppato da l'USAF durante la 2a Guerra Mondiale, elaborando i dati di missione degli stormi aerei nel loro insieme, non solo di combattimento quindi, di reparti quali logistica, manutenzione, personale, sanità, amministrazione, intelligence...

Validissimo e usato ancora oggi, esso ha come risultato quello di descrivere come vincente, in un duello aereo (o nello svolgimento di una missione di qualsiasi tipo e natura) il pilota e l'equipaggio che avrà il perfetto controllo della situazione tattica in cui si viene a trovare, che saprà esattamente dove si trova nello spazio-tempo di missione, e che sa dove sono tutti gli altri attori in campo in quel dato e preciso momento (non solo il "nemico" quindi). Sa dove si trovano i supporti, che sono estremamente importanti e vanno considerati anche come preziosi strumenti di controllo, che possono essere anche decentrati rispetto alla nostra struttura operativa, come ad esempio reparti logistici, centri di intelligence e di ascolto/raccolta informazioni (ma anche data base e software specialist sia interni che esterni, sempre più rilevanti). Torneremo a parlare di Situation Awareness, di una delle figure che lo elaborarono, della sua "Arte del Comando": il gen. Curtiss Le May.

Gerarchia

Entrando in un contesto di missione (così come in ogni struttura organizzata), la prima cosa da fare sarà posizionarsi correttamente lungo la struttura di comando e controllo esistente, capendo in modo chiaro chi sono i nostri referenti posizionati più avanti, ai nostri fianchi, alle nostre spalle (e/o più in alto, in basso, a lato) in modo da garantire al flusso delle informazioni (di gran lunga la cosa più importante di cui tener conto) di raggiungerci correttamente e velocemente, permettendo di svolgere il compito a noi assegnato in modo coerente, verificabile e, non di aspetto secondario, controllare a nostra volta che tutti stiano facendo altrettanto. Sostanzialmente si tratta di sapere a chi chiedere cosa e a chi trasmettere l'informazione di avvenuta (o non avvenuta) esecuzione, nello svolgere del nostro compito.

Vorrei sottolinearlo ancora: il fulcro della nostra operatività sarà pertanto conoscere la propria posizione sul "campo di battaglia", nello schieramento (o all'interno di un organigramma aziendale, in una catena logistica, ecc.).

Disciplina

È la precisa conoscenza delle regole, siano esse tecniche, comportamentali, legali, regolamentari, e della loro applicazione sia pratica che teorica. Se, ad un occhio poco attento, essa inizialmente può sembrare un vincolo, un confine, al contrario è un potente strumento a disposizione di tutte le risorse in campo. Conoscere esattamente i parametri della missione generali e/o specifici, poter tarare le proprie azioni in base a questi verificando la loro comune condivisione, consente ancora una volta di controllare e correttamente bilanciare le proprie iniziative ed azioni, tenendo presente tutti gli aspetti e gli attori in e sul campo, da attuare possibilmente sempre tenendo presente il dogma iniziale: "Fare ciò che è bene per noi e per gli altri".  Inoltre, conoscere le regole e applicarle in modo coerente, garantisce "stabilità operativa", dato che tutti sapranno sempre dove sono gli altri in relazione al proprio compito.

Dal plotone alla armata, l'avanzata dovrà essere bilanciata e compatta, disciplinata appunto: non ci dovranno essere punti più forti o più deboli, lungo la linea del fronte: dei picchi incoerenti di ardimento offensivo, così come degli eccessi difensivi e/o delle "indecisioni". Se sarà ben congeniata, basterà stabilire il suo ritmo, tarato sulle nostre capacità e volontà (e non su quelle altrui), accertandosi che tutti rispettino la sua "cadenza". Uno degli errori più micidiali che si tende a commettere, in ambito militare ma non solo, è quello di sbilanciarsi troppo in avanti, ritrovandosi senza rendersene conto a combattere sul terreno dell'avversario, cioè quello scelto da lui, e non su quello a noi più favorevole. Suggerisco molta attenzione a questo riguardo.

Disciplina significa anche intendere un modus operandi basato su propri principi, che prevedano senz'altro la volontà di conseguire un risultato con coraggio e determinazione, ma sempre nel rispetto delle regole.

Addestramento

Addestrarsi significa essere pronti e preparati a svolgere il proprio lavoro e/o una specifica missione nel momento in cui si viene chiamati a farlo. Niente di più, niente di meno.

In scenari complessi e variabili come quelli attuali si comprende che "essere pronti" è forse la parte più importante del proprio incarico. Tenersi aggiornati in modo organizzato e con metodo, consentirà di svolgere il proprio incarico e poi anche la specifica missione utilizzando una procedura operativa stabilita, collaudata, condivisa (potremmo arrivare a dire una routine), senza stress, pronti ad adattarsi ad eventuali variazioni di scenario, che probabilmente saranno già state contemplate durante le fasi più avanzate dell'addestramento.

Essere pronti quindi, ben addestrati, significa anche disporre di piani alternativi, abituandosi a pensare in modo elastico, fluido: "essere come l'acqua, e non come il vaso che la contiene".

E ancora: un corretto e costante addestramento consente anche di scegliere il tempo, il modo e il luogo della sfida, e non di subirne la scelta. Sottolineo ancora una volta che il soldato fa del proprio addestramento il fulcro su cui fa perno la sua operatività.

"Abbiamo risposto ad una chiamata, ci siamo candidati, siamo stati selezionati, abbiamo superato dei test, ci è stato dato un incarico (che solitamente tiene conto degli studi, delle esperienze acquisite, delle nostre personali capacità e attitudini, e anche, seppur non sempre, di nostri desideri e aspettative)".

Ammettiamo qui di aver già effettuato la formazione di base. Arrivati al reparto e assegnata la pertinenza, comincerà un nuovo specifico addestramento. Può essere che ci si arrivi con una propria esperienza e anche con propri dati "tattici", oppure si può anche essere chiamati a riorganizzare una struttura esistente.

Per esperienza personale, sarà sempre preferibile ripartire dalle caratteristiche "storiche", assorbendo le passate esperienze. Si acquisiscono così dei crediti importanti e si stabiliscono relazioni preziose in un tempo ragionevolmente breve.

Vorrei ricordare una cosa di fondamentale importanza, che deve essere ben interpretata e compresa: mi sono offerto volontario per il mio reparto operativo, è stata una mia scelta, mi è stata data la possibilità di farne parte. Non sono stato obbligato. Questo, secondo me, va tenuto in conto sempre pensando al proprio incarico e lavoro. E vale per tutti. Postulato: se pensiamo che tirare il grilletto di un fucile d'assalto sia la ragion d'essere di un soldato, e quindi il Motivo di addestrarsi, posso garantire che si sta partendo col piede sbagliato.

Tolto che l'atto in sé risulti la fase un processo e/o di un programma di studio ed esercizi lunghi e complessi, sarà per tutto ciò che avviene prima di combattere che ci si deve addestrare: controllare e gestire la situazione o la crisi non durante lo scontro, ma possibilmente anticiparlo. E qui torniamo alla "consapevolezza situazionale".

"La vittoria più grande è quella che si ottiene senza combattere". La storia ci insegna che questa, più di qualsiasi altra, sarebbe sempre la via da percorrere.

Motivazione

Vorrei parlarvi del gen. Dwight Eisenhower, lo stratega dello sbarco in Normandia. Il pomeriggio del 5 giugno 1944 il generale volle incontrare i paracadutisti che stavano per imbarcarsi per poi lanciarsi, di notte, nell'entroterra della Normandia: di gran lunga l'operazione militare più complessa e potenzialmente pericolosa della storia, peraltro svolta in un tempo operativo molto breve.

Eisenhower quel giorno tremava letteralmente di paura. Gli ci volle un enorme sforzo e una ferrea volontà per non manifestare i suoi dubbi e i suoi timori, mentre scherzava e stringeva mani e dava pacche sulle spalle a quei giovani soldati. Tutti volontari, inquadrati in modo efficiente, superbamente addestrati e ben equipaggiati, informati correttamente dei loro compiti e della loro missione e, forse più importante di tutto, straordinariamente motivati (per chi volesse approfondire: "Why we fight" documento delle Forze Armate USA dato ai soldati al momento dell'arruolamento).

Il generale (dall'aspetto più di un professore di lettere, che però dentro aveva una determinazione dura come l'acciaio, tesa a vincere persino contro gli eventi naturali avversi di quei giorni) sapeva che esisteva la possibilità concreta che le perdite tra quei giovani soldati sarebbero potute arrivare anche al 70%, e che cioè su 10 di quei ragazzi, 7 sarebbero potuti cadere entro le prime 48 ore dal lancio. Era un dato che lo atterriva, intimamente.

Ripeto il dato previsivo sulle possibili perdite: 7 caduti su 10 lanciati, entro le prime 48 ore. Pensiamoci un attimo... cosa fece salire quei giovani soldati sugli aerei, e cosa fece decidere un uomo intelligente e razionale come Eisenhower (che poi divenne presidente degli Stati Uniti per 2 mandati) a chiedere loro, ad ordinare loro di imbarcarsi? Una chiara, strutturata, edificata "Motivazione"!

Il percorso, il cammino meglio, che quei giovani uomini intrapresero il giorno in cui si arruolarono volontari per il corpo dei paracadutisti era arrivato a motivarli a tal punto da sentirsi pronti e determinati a saltare da un aereo, di notte, in una delle zone più letali del mondo. I 4 pilastri del lavoro di squadra erano stati evidentemente "costruiti" bene.

Eisenhower si sbagliava: le perdite, al settembre del 1944, tra quei ragazzi furono "solo" tra il 30 e il 40%: 3/4 su 10.

Io dico che quei ragazzi avevano già vinto la loro guerra il giorno stesso in cui divennero paracadutisti, si presentarono ai loro ufficiali, si strinsero la mano tra loro e diventarono un reparto combattente scelto.

Se potete percepire la tranquilla e semplice forza di questo fatto, allora avete la comprensione del concetto di "Motivazione". E per quanto il contesto vi sarà sfavorevole, la strada in salita, la vittoria sembri lontana, se tornerete ai 4 pilastri, insieme, troverete il modo di riprendere l'iniziativa, di rilanciare. E questo fa e farà sempre la differenza.

Foto: U.S. Army / web / U.S. Navy / U.S. Air Force / Esercito Italiano