L’avvio della seconda controffensiva ucraina

(di Luigi Chiapperini*)
08/06/23

Le due principali novità positive degli ultimi mesi per gli ucraini sono state l’incapacità dei russi di conquistare per intero il sud della nazione e l’arrivo sui campi di battaglia tra le proprie schiere dei carri armati occidentali. Questi dovrebbero essere circa 120 della cosiddetta seconda generazione e mezza: una trentina di Challenger-2 britannici e una novantina di Leopard-2 da Germania, Canada, Polonia, Portogallo, Spagna, Svezia e Norvegia. Il numero di tank a loro disposizione dovrebbe essere pertanto di qualche centinaio, compresi i carri di più vecchia generazione ancorché migliorati tipo T-72 e Leopard-1 (questi ultimi probabilmente in arrivo prossimamente presumibilmente dopo un sostanzioso aggiornamento specialmente su protezione e capacità di ingaggio). Altri trenta carri armati Abrams-M1A1 statunitensi potrebbero arrivare a agosto/settembre 2023.

Con detti sistemi d’arma, il numero delle cosiddette grandi unità elementari, le brigate, equipaggiate parzialmente (cioè solo a livello compagnia) con carri occidentali, potrebbero essere in totale una decina. Ogni brigata, costituita da una quindicina di compagnie di manovra, potrà quindi disporre di una o due di queste su carri armati (una decina).

Va da sé che la citata componente corazzata più moderna, se distribuita a tutte le brigate, risulterebbe pericolosamente “diluita” essendo pari solo a circa un decimo dell’intera capacità da combattimento della grande unità elementare, ma pur sempre in grado di esercitare azioni offensive di una certa rilevanza o di coprire gli orientamenti d’impiego tipici delle riserve corazzate. Più opportunamente, quei carri potrebbero essere organizzati anche a livello battaglione ed in quel caso gli ucraini potrebbero disporre di 4 o 5 brigate corazzate e 4 o 5 brigate meccanizzate, queste ultime con una preponderanza di mezzi da combattimento per la fanteria e la cavalleria tipo BMP e BTR di epoca sovietica (ancorché modernizzati), Marder tedeschi, Bradley, Humvee, M113 e MaxPro statunitensi, AMX-10RC francesi. Presumibilmente da agosto-settembre, con l’arrivo degli Abrams-M1A1, potrebbero essere costituite ulteriori due o tre brigate con componenti pesanti evolute. Ciò che continua a mancare agli ucraini è essenzialmente un numero maggiore di carri armati e una componente aerea sufficientemente robusta, fattori entrambi indispensabili per azioni offensive di larga scala.

Il possibile sviluppo della controffensiva ucraina

A inizio giugno 2023 la lunghezza del fronte in Ucraina (compresa l’area del Fiume Dnepr ed esclusa la frontiera con la Russia che per altro è stata teatro anche di qualche incursione ucraina) è in totale di circa 800 km. mentre la linea di contatto che potrebbe essere interessata dai combattimenti principali è di circa 500 km..

Sin da maggio 2023 gli ucraini hanno condotto azioni preliminari che sono ancora in atto e che comprendono, tra l’altro: una efficace comunicazione strategica (ad esempio il continuo annuncio della controffensiva che non arrivava mai lasciando però nell’incertezza l’avversario), operazioni in profondità (forze aeree, missili e droni su obiettivi paganti tipo depositi munizioni e carburanti, centri decisionali, centrali elettriche, concentrazioni di forze e basi logistiche), azioni dimostrative e di inganno (come ad esempio le continue incursioni a Belgorod per distrarre l’avversario, in particolare le sue forze in riserva e gli aerei, le sortite con droni in territorio russo) e l’occupazione con azioni anfibie “riverine” delle isole sulla sponda sinistra del Fiume Dnepr tipiche, per intenderci, di forze specializzate come i Lagunari del reggimento Serenissima dell’Esercito Italiano. Sarebbe stato proprio per evitare azioni concorrenti a sud di Kherson che i russi avrebbero fatto esplodere la diga di Kakhova.

Quando ancora queste azioni preliminari (conosciute con il termine anglosassone “Shaping operations”, cioè azioni volte a preparare le fasi successive) sono ancora in atto, gli ucraini hanno iniziato ad effettuare, con reparti essenzialmente esploranti, la cosiddetta presa di contatto per individuare i punti forti e quelli deboli dello schieramento avversario. Queste ricognizioni in forze sono in corso in questi giorni di inizio giugno. Esse hanno già prodotto alcuni successi locali nei pressi di Orichiv a sud di Zaporizhzia, tra Vremivka e Vuhledar proprio al confine tra le regioni di Zaporizhzhia e Donetsk, a Novodonetsk, sui fianchi di Bakhmut. Non sono da escludere azioni più a nord est a Kupjansk e lungo l’allineamento Svatova-Kreminna.

È d’uopo qui fare una parentesi sulla sanguinosa battaglia combattuta negli ultimi mesi per Bakhmut, considerata da molti solo “simbolica”, senza un vero valore operativo. Non è proprio così. È vero che la narrazione dall’una e dall’altra parte rende questo tipo di battaglie un’epopea, facendo così assurgere queste località a simboli del valore dei propri soldati. Tutto ciò può contribuire infatti, oltre al raggiungimento di obiettivi tattici e strategici, a pompare orgoglio, autostima, spirito di corpo e furore combattivo nei combattenti.

I russi hanno fatto agire per lungo tempo in quella cittadina i mercenari della compagnia di sicurezza Wagner mentre nel resto della linea di contatto, a parte Adviivka e Marinka nei pressi di Donetsk e lungo l’allineamento Svatova-Kreminna, c’è stato negli ultimi mesi uno stallo e non sono state condotte operazioni decisive. Ci sono voluti ben sette mesi per conquistarla quasi per intero a costo di decine di migliaia di perdite tra morti e feriti dall’una e dall’altra parte senza risultati apparentemente decisivi.

Allora perché morire per Bakhmut? Perché era uno dei perni di manovra che serviva ai russi per poter poi occupare quella che potrebbe essere in futuro una delle basi di partenza per l’attacco della controffensiva degli ucraini, cioè l’area di Kramatorsk-Sloviansk. Però pur avendo conquistato il centro abitato di Bakhmut con i wagneriti, i russi hanno nuovamente perso le sue periferie a nord e a sud facendola ridiventare quasi inutile ai propri scopi. Quindi poteva essere importante ma non lo è più. Ora è molto meno fondamentale per loro ma lo è molto di più per gli ucraini che, partendo proprio da Kramatorsk-Sloviansk, la stanno attaccando non come i russi frontalmente ma sui fianchi (tipico della dottrina occidentale) per poter proseguire poi verosimilmente su Donetsk o Luhansk.

Cosa potrebbe accadere nelle prossime settimane?

Una volta individuati i punti deboli dello schieramento russo, gli ucraini potrebbero procedere con le cosiddette Decisive Operations, cioè le operazioni decisive. Si tratterebbe di sfondare la 1^ schiera dei russi con l’apertura di brecce di qualche chilometro nel dispositivo avversario. Ce ne dovrebbero essere almeno una principale e una o due secondarie grazie all’impiego della fanteria meccanizzata, di artiglieria e del genio oltre ai nuovi protagonisti del campo di battaglia, i droni. Sarà da verificare il valore impeditivo degli ostacoli passivi ed attivi realizzati dai russi: quante più linee difensive sono state realizzate, tanto più lenta sarà la progressione degli ucraini che potrebbero anche rimanere bloccati su qualche allineamento ovvero essere incanalati in aree ove le riserve corazzate russe potrebbero sorprenderli ed annientarli.

La penetrazione di qualche chilometro lungo una o più direttrici verrebbe poi sfruttata per ottenere il successo completo spingendosi avanti nella breccia principale con la seconda schiera (generalmente forze corazzate, essenzialmente carri e fanteria) per distruggere la seconda schiera e le riserve russe.

Difficile dire quali potrebbero essere gli obiettivi finali, ma si possono fare delle ipotesi. La linea di azione più pericolosa per i russi potrebbe essere l’occupazione ucraina di Melitopol, Berdiansk o Mariupol. La perdita di tutte o alcune di queste città sul Mar d’Azov significherebbe per Mosca non avere più disponibile quel corridoio terrestre considerato vitale e faticosamente conquistato a inizio conflitto per congiungere la Russia alla Crimea. Altri due importanti obiettivi potrebbero essere le due capitali delle due fantomatiche repubbliche di Donetsk e Luhans’k. Perderle significherebbe per i russi vanificare gli enormi sforzi militari, sociali ed economici fatti negli ultimi nove anni per portare sotto il proprio controllo il Donbass.

In tale contesto si inserisce anche la distruzione parziale ma dalle conseguenze molto gravi della diga di Kakhova, situata sul fiume Dnepr nella regione di Kherson. Non sono ancora chiare le cause del cedimento dell’opera. Potrebbe essere stata un'esplosione o l’effetto cumulativo di precedenti incendi. Fatto sta che 11 campate su 28 risultano distrutte. In questi giorni si sta assistendo allo straripamento dell'acqua attraverso l'area distrutta. Il livello del bacino idrico a monte della diga diminuisce ad una velocità di 15 cm. l'ora.

Inoltre, risultano allagate fino a 300 case nei piccoli centri abitati della zona (Dnepryan e Korsunka). A Novaya Kakhovka l'acqua ha raggiunto la strada costiera. 40 mila persone sono state evacuate nelle prime ore dopo l’inondazione mentre il disastro ambientale si preannuncia estremamente grave.

Al momento non ci sarebbe invece pericolo per la centrale nucleare di Zaporizhzhia: la struttura prevede misure di sicurezza per l'approvvigionamento idrico in caso di tali disastri.

A chi giova la quasi distruzione della diga? Le isole e la zona contesa da russi e ucraini nel bacino del Dnepr dell’oblast di Kherson sono nella zona alluvionale. Le formazioni ucraine che le avevano occupate nelle settimane scorse stanno ora cercando di evacuare le isole sotto il fuoco russo per non rimanere isolate dall’acqua.

Gli allagamenti sistematici rappresentano uno dei metodi per interdire delle aree ad un nemico in procinto di attaccare. Durante la guerra fredda anche noi italiani prevedevamo di allagare alcune aree alluvionali dei fiumi del nord est per rallentare la progressione dei carri del patto di Varsavia che poi, fortunatamente, non abbiamo mai dovuto contrastare. Nel caso specifico della diga, è possibile che lo abbiano fatto i russi per meglio difendersi in vista della controffensiva ucraina. Allagando la zona in questione, hanno infatti raggiunto alcuni scopi: far sloggiare gli incursori ucraini che si erano stabiliti su alcune isole sulla riva sinistra del Fiume Dnepr, impedire agli ucraini di sfruttare la rotabile posta sulla diga e coprire il proprio fianco sinistro in vista della possibile (e forse già in atto) controffensiva ucraina dall’area di Zaporizhzia verso le città del sud: Melitopol, Berdyansk e Mariupol.

Come andrà a finire è impossibile dirlo al momento. Il numero non elevatissimo di carri armati di più recente generazione e la mancanza di un numero sufficiente di aerei di attacco al suolo e per la difesa aerea, potrebbero costringere gli ucraini a dover scegliere solo una delle possibili direttrici d’attacco. A quel punto un successo completo, cioè la liberazione di tutte le aree occupate dai russi, potrebbe realizzarsi solo a seguito di un collasso, al momento poco probabile, dell’intera organizzazione difensiva russa.

Peraltro, come visto nella prima controffensiva del 2022, gli ucraini ci hanno spesso favorevolmente impressionati mentre i russi ci hanno talvolta alquanto delusi. Tutto può accadere.

* Generale di corpo d’armata in quiescenza dei lagunari, ex allievo della Nunziatella, già pianificatore nel comando Kosovo Force della NATO, comandante dei contingenti nazionali NATO in Kosovo nel 2001 e ONU in Libano nel 2006 e del contingente multinazionale NATO su base brigata Garibaldi in Afghanistan nel 2012, attualmente membro del Centro Studi dell’Esercito e autore dei libri “Il Conflitto in Ucraina” e “Morire per Bakhmut. La guerra grande di nuovo in Europa”.

Foto: web / U.S. Army / Rai