"Esercito 4.0": previsioni e aspettative

18/11/22

A oriente si combatte. L’operazione militare speciale di Putin è un conflitto guerreggiato con ampie implicazioni di ordine politico e militare. Ed è incontrovertibile: si è aperta una nuova epoca di contrapposizione e, per ora solo metaforicamente, una nuova cortina di ferro segna la frontiera orientale dell’Europa. Sorge quindi spontanea - e necessaria - la domanda se l’Italia e la Nato siano pronte ad affrontare le sfide alla sicurezza di questa nuova era, così foriera di conflittualità.

Molti commentatori, di recente, hanno sostenuto che Putin, con la sua assertività, abbia rivitalizzato l’Alleanza Atlantica. E quindi, ora, i paesi membri devono possedere le capacità militari necessarie in un ipotetico conflitto ad alta intensità, simmetrico; ma questo accade dopo anni di pace e operazioni di peacekeeping e, si sa, in mancanza di minacce manifeste alla sicurezza gli apparati militari si orientano ad assolvere i compiti più consoni al tempo di pace.

L’Italia, convintamente occidentale, ha sempre contribuito alla dissuasione della Nato con le proprie forze armate. E negli ultimi trent’anni, analogamente ai suoi partener, ha anche orientato il proprio strumento militare terrestre alle necessità delle operazioni di peacekeeping. Ora, il recente concept paper del capo di stato maggiore dell’Esercito, Esercito 4.0, indica le linee evolutive per fronteggiare i rischi che a Est – e non solo - stanno emergendo in termini di sicurezza. L’insieme delle azioni preventivate in tale documento ha valore superiore alla somma delle singole parti perché concepite per generare sistema e produrre un salto di qualità basato sulle tecnologie emergenti, alcune delle quali “disruptive”. Quindi, i diversi programmi di ammodernamento e rinnovamento, se conseguiti singolarmente e parzialmente, non produrranno l’innovazione cui si sta puntando.

Dunque, l’innovazione preconizzata, tracciata sommariamente in formato di fascicolo divulgativo, è presumibile che contenga anche numerose azioni concorrenti necessarie per sostenere lo sforzo principale lungo l’arco di tempo delle realizzazioni. Così la complessità del progetto lascia supporre la necessità del ricorso a leggi ad hoc, se non a una legge speciale Esercito, con cui allocare le risorse finanziarie con visione d’insieme. A questa legge speciale non si fa cenno e non è chiaro se sarà mai promulgata.

All’epoca della Guerra Fredda, l’Esercito schierava un comando di scacchiere a difesa del Nord-Est, tre comandi di corpi d’armata, comandi di divisione e fino a venticinque brigate pluriarma e pluriservizi. Poi l’esercito di campagna si integrava nell’organizzazione territoriale composta con comandi militari territoriali e una logistica articolata su quattro livelli, o anelli funzionali. Ma i computer non esistevano ancora, o, almeno, l’informatica non era distribuita e integrata, e non pervadeva i processi di comando e controllo.

Un'altra differenza è data dal fatto che il crollo del Patto di Varsavia, e la Partnership for Peace negli anni che seguirono, ha promosso la profondità strategica del teatro operativo: la Soglia di Gorizia non è più il luogo dove potrebbe manifestarsi la minaccia principale. Un fatto che non piace a Putin, la cui retorica pone in primo piano l’allargamento della Nato a Est, sottacendo che sono i paesi dell’Est ad aver voluto diventare Nato, orientandosi all’Ovest per libera scelta.

Dunque, se tale profondità strategica ci mette al riparo dalle armate russe, invece la conflittualità ha assunto forme di ibridazioni che ci obbligano a rivedere radicalmente i concetti strategici e, più a largo raggio, le politiche di difesa.

Lo strumento militare terrestre che si intravede nel concept paper Esercito 4.0 è potente, manovriero nell’ambito di tutti i domini e resiliente. Ognuno di questi aggettivi: potente, manovriero e resiliente, è il capofila di una estesa categoria di capacità operative, alcune delle quali sono da creare ex novo, altre sono da manutenzionare oppure da sviluppare perché ora allo stato embrionale.

Le direttrici evolutive sono cinque: manovra a contatto, manovra non a contatto e in profondità, manovra dalla terza dimensione, difesa integrata e logistica distribuita. Il lettore che volesse approfondire potrà leggere questi concetti nel testo disponibile con il terzo numero della Rivista Militare.

L’insieme dei programmi di ammodernamento e rinnovamento sottintesi nel concept paper, per la loro attuazione, come detto sopra, richiederebbe una norma ad hoc o legge speciale, per una radicale revisione sul modello di quella che negli anni 70 del secolo scorso ristrutturò l’Esercito e lo rese idoneo a fronteggiare la minaccia negli anni seguenti, fino al crollo dell’URSS.

Se di legge speciale non si parla compiutamente, è chiaramente espresso invece che l’ammodernamento e rinnovamento sarà affidato all’industria nazionale. Le ragioni di questa scelta sono ben argomentate: il possesso della tecnologia ci renderà capaci di gestire in proprio l’evoluzione, di sostenere logisticamente lo strumento e di generare ricchezza al Paese.

È dato per assodato che l’industria nazionale sia dotata di adeguate capacità di ricerca e sviluppo e che potrà creare le linee di produzione in tempi congrui. E sopra tutto questo, che saremo in grado di sostenerne i costi.

L’ammodernamento dello strumento militare terrestre in senso 4.0, a volerlo rappresentare graficamente, si preannuncia come una grande matrice di progetto. I nodi sono le diverse piattaforme e i diversi sistemi da realizzare. Ogni item è collegato agli altri e i progetti così ampi e interconnessi a matrice richiedono una gestione che veda chiaramente, momento per momento, lo stato dell’arte dei singoli programmi e contemporaneamente riesca a monitorarli nel loro insieme; e una direzione puntuale, ferma nel coordinare l’evoluzione dell’intero sistema nei tempi prestabiliti.

Il fattore tempo è essenziale e per questo si utilizzano procedure e tecniche capaci di fasare l’evoluzione, per esempio la metodologia PERT (Project Evauation Review Technique). Ma la cronaca degli approvvigionamenti per l’Esercito è ricca di esempi di sfasamenti e di ritardi, che si sono puntualmente tradotti in riduzione delle capacità operative presso le unità. Questo dato dovrebbe indicare ai gestori dei programmi la necessità di pianificare e programmare con una visione realistica e attenta a contenere i ritardi, immancabili in processi così complessi. E la mancanza di una legge speciale non aiuterebbe in questa opera di coordinamento e fasatura costante.

Uno strumento terrestre potente, manovriero e resiliente, si è detto sopra. Se l’aggettivo “potente” riunisce un’area molto estesa di capacità, come la manovra del fuoco in profondità, sino a 150 chilometri o la difesa dagli attacchi dalla terza dimensione (Counter Unmanned Aerial Sistem), la visione del capo di stato maggiore dell’Esercito pone l’enfasi sulla capacità a manovrare: “manoeuvrist approach”.

La manovra a contatto è un punto di forza degli eserciti occidentali, che nel tempo hanno ricercato e implementato attitudini specifiche sia a livello del personale che sul piano delle tecnologie.

Ma traiamo spunto da quello che stiamo osservando sul campo di battaglia in Ucraina. Lì non sembra che le unità russe stiano granché manovrando. La tattica adottata sembrerebbe molto simile a quella dell’esercito sovietico, con analogo uso di fuoco e unità meccanizzate e corazzate. Se evoluzione tecnologica da parte russa c’è stata, la si osserva nell’artiglieria e nei missili da crociera, balistici o iperveloci, nei velivoli unmanned, ma meno nelle procedure tecnico tattiche. Probabilmente, ora come allora, la filosofia del mission command (leggi articolo "Mission Command: un aspetto cruciale dell’Arte del Comando") non è privilegiata dai comandanti russi sul campo ed essi nemmeno dispongono di sistemi di comando e controllo adeguatamente automatizzati (C4ISTAR, volendo racchiudere in un acronimo tutte le capacità di direzione necessarie sul campo di battaglia, che ora sono basate sull’Information Technologies).

Viceversa, l’innovazione Esercito 4.0 trova nell’informatica distribuita, integrata e resiliente un punto di forza, ovvero la capacità di diffondere l’intelligenza sul campo di battaglia, anche con sensori unmanned capaci di acquisire le informazioni e nodi di raccolta ed elaborazione delle stesse capaci di tenere aggiornato in tempo reale il quadro di situazione.

Le due piattaforme principali, su cui sarebbero implementati gli strumenti capaci di fare questo, sono il carro armato Ariete (MBT) e l’avveniristico Armored Infantry Combat System (AICS), ovvero il trasporto truppe corazzato e armato, super tecnologico, dotato di dispositivi unmanned e capace anche di costituire nodo del network campale. Se il carro Ariete, ora in fase di ammodernamento per un certo numero di esemplari, suscita sempre perplessità, essendo un carro di concezione ormai datata, è il futuro veicolo della fanteria il punto di forza del sistema. Veicolo peraltro concepito come piattaforma aperta, il che lascia supporre l’ideazione di derivati da destinare ai compiti di supporto al combattimento e logistica. Peraltro, anche quest’ultima trova fugace menzione nel documento, dove si prevede un’automazione spinta fino all’“ultimo miglio”, con l’uso di droni terrestri per la consegna a domicilio dei rifornimenti, pilotati tramite una rete informatica campale.

Non v’è dubbio che la tecnologia sia matura per questo genere di previsioni. Affidare poi il tutto all’industria nazionale è una scelta di campo sicuramente virtuosa, per le ricadute sull’economia nazionale, nondimeno una sfida alle sue capacità. In sintesi, la scommessa insita nel concept paper è duplice: gestione della matrice di progetto nel rispetto di tempi che siano adeguati all’emergenza della conflittualità ora palesatasi nel nostro mondo; reperibilità delle risorse finanziarie per l’investimento, senza trascurare l’ordinario, perché nel frattempo la realtà, in termini di Funzionamento, prosegue.

A monte di tutto questo c’è però una politica militare che negli anni ha mostrato disattenzione alle reali esigenze dell’Esercito, non solo finanziariamente, ma anche nell’area del personale e nella tutela dei valori più significativi della cultura organizzativa militare.

Più nel particolare, fronti di criticità sono quelle del budget della Difesa stabilito annualmente con la legge di stabilità, in particolare per l’Esercizio, e, segnatamente, per il Funzionamento. Il Funzionamento, da quindici anni, è sotto finanziato. Addestramento, manutenzioni e mantenimento delle infrastrutture sono storicamente in sofferenza.

È come se il decisore strategico ritenesse l’addestramento un parametro irrilevante per forze armate basate su soldati di professione. Il che non è, perché - come è noto - è con l’addestramento delle unità che si produce la prontezza operativa e la capacità di dissuasione. In tale prospettiva, anche la ridotta disponibilità di aree addestrative e di impianti tecnologici per il “real training” appare come un ulteriore ambito di criticità che merita attenzione.

Resterebbe un capitolo aperto, quello del Personale, dell’idoneità fisica correlata all’età, su cui pure sono in atto adeguamenti e dove il decisore politico dovrebbe focalizzare l’attenzione, considerando bene le peculiarità della condizione militare. E perché non rivedere anche l’ambito della mobilitazione per il conseguimento di organici congrui con la guerra reale, quella simmetrica, divenuta ora nuovamente opzione possibile?

La conclusione di questo argomentare è che la pregevole concezione di Esercito 4.0, a parere di chi scrive, andrebbe inquadrata in una Legge Esercito, sul modello della Legge Navale; e che l’ammodernamento e rinnovamento dell’intero strumento militare terrestre non dovrà sottrarre cure agli altri fronti di criticità quali sono da sempre la voce Esercizio del bilancio ordinario annuale e le politiche del Personale, nella prospettiva particolare dell’Arruolamento. Il momento storico richiede tutto questo.

gen. c.a. (ris) Antonio Venci

Foto: Esercito Italiano / presidenza del consiglio dei ministri