Ora anche gli HIMARS colpiscono l’aeroporto “maledetto” di Kherson

(di David Rossi)
13/07/22

Chornobayvka è al centro della storia - finora poco raccontata in Italia ma divenuta celebre in Ucraina e in molti altri Paesi - di un incubo in cui cade ogni militare russo a cui viene chiesto di stare di guardia o passare da quello che è l’aeroporto (maledetto) della città di Kherson.

Che cosa succede in questo posto dove spariscono più truppe, mezzi e munizioni russe che aerei ed equipaggi nel famigerato Triangolo delle Bermude?

Guardiamo a ritroso quello che è accaduto negli ultimi giorni, attraverso tante fonti ucraine, tantissime testimonianze locali e persino delle conferme russe, per farci un’idea più precisa.

Martedì 12 luglio: potenti esplosioni e incendi nel perimetro dell’aeroporto.

Lunedì 11 luglio: oltre 10 alti ufficiali perdono la vita a seguito di un attacco delle forze armate.

Sabato 9 luglio: le forze armate di Kiev fanno saltare in aria il deposito di munizioni russo. L’incendio è durato per tutto il weekend.

Mercoledì 6 luglio: un attacco missilistico colpisce un deposito di carburante dell’aeroporto.

Domenica 3 luglio: un’esplosione devasta un magazzino di munizioni nell’area dell’aeroporto.

Se ci limitiamo invece ai primi due mesi e mezzo di guerra, la Federazione russa ha perso in questi pochi chilometri quadrati 75 fra soldati e ufficiali, compresi due generali e dozzine di elicotteri, grazie soprattutto ai droni Bayraktar di fabbricazione turca impiegati massicciamente dagli Ucraini nella prima parte della guerra.

Ci fermiamo qui, riportando le parole di un commentatore ucraino, di parte ma efficace: “I soldati ucraini ormai non devono nemmeno cambiare le coordinate per distruggere le munizioni, i veicoli e il carburante del nemico”. Sembrerebbe caustica ironia fuori luogo, se non fosse che quello di ieri è stato il ventottesimo (28!) attacco subito dai velivoli, dal personale, dalle munizioni e dalle armi russe nell’aeroporto più a occidente controllato dalle forze russe in Ucraina.

C’è da credere ai politici di Kiev quando definiscono questo luogo la prova dell’impreparazione del Cremlino per questa guerra e della disponibilità a far massacrare truppe russe per raggiungere obiettivi tattici e simbolici? Sì e no.

Certamente, c’è del vero nel fatto che, come obiettivo, questo aeroporto è davvero troppo facile: è posto a nemmeno dieci chilometri dalla prima linea e quasi impossibile da proteggere senza una copertura aerea che Mosca, fino ad oggi, non è stata in grado di offrire. Va detto che questo è un effetto collaterale dell’occupazione di Kherson stessa: non ci sono altri aeroporti degni di questo nome in questo territorio controllato dai Russi nel raggio di oltre 100 chilometri: l’oblast è esteso quanto il Lazio e l’Abruzzo messi insieme ma ha la capitale posta - quasi in isolamento - in un angolo a Sud-Ovest, per giunta sulla sponda opposta - rispetto al resto della regione - dell’enorme (come larghezza) corso del fiume Bug meridionale.

Insomma, per mantenere il controllo di Kherson ci sono solo questo aeroporto maledetto e due strade - una diretta verso la Crimea e l’altra verso Melitopol - che ormai sono esse stesse facilissimi bersagli per i razzi ucraini.

Per i Russi rimangono solo due opzioni: o mangiare la minestra di attacchi che quasi ogni giorno viene loro servita o saltare via da Kherson. Tertium non datur…

(A parte avanzare di 100 chilometri, ndd)

Be', in realtà sì… Basterebbe - o meglio "sarebbe bastato" - andare oltre, via terra, in direzione di Mykolayiv e di Odessa. Dopo tutto, fin dall’inizio, Kherson, oblast e città a maggioranza di lingua ucraina, non avrebbe dovuto che essere la prima tappa di una trionfale cavalcata nel Sud a maggioranza russofona dell’Ucraina, fino a Odessa. Purtroppo per il Cremlino, Kherson è rimasta l’estrema frontiera.

Foto: U.S. Army National Guard