Il confine di Trump

(di Paolo Palumbo)
10/04/18

Da diverso tempo la Casa Bianca non è un luogo tranquillo in cui dimorare, forse non lo è mai stato, ma con Trump come inquilino la situazione è decisamente peggiorata. La celebre Situation Room dalla quale il predecessore Barak Obama seguì minuto per minuto l’uccisione di bin Laden, è affollata da comandanti militari e carte geografiche di Siria, Corea del Nord, Russia e Messico. Proprio la politica estera nei confronti di quest’ultimo Paese rientra nelle preoccupazioni principali del presidente il quale, sullo sbarramento all’immigrazione clandestina, ha fatto un punto chiave della sua campagna elettorale.

Mutuando il modus operandi di Israele, Trump ha dato il via al famoso progetto del “muro” divisorio che dovrebbe dissuadere ogni possibile tentativo di infiltrazione dei messicani: sia i clandestini in cerca di lavoro, sia i malavitosi impegnati nel fiorente traffico della droga. Effettivamente il problema dei narcotrafficanti giustificherebbe l’edificazione di qualsiasi tipo di barriera, ciò nondimeno non sono tutti sicuri che l’impresa possa realmente funzionare.

Intanto è notizia di questi giorni che Arizona, New Mexico e Texas abbiano approvato il dispiegamento della Guardia Nazionale per implementare la sorveglianza lungo i confini meridionali. La chiamata alle armi è nata da una precisa richiesta di Washington che ha sostenuto la necessità di inviare dalle 2000 alle 4000 unità per rinforzare il cordone difensivo liminare con il Messico. L’unico a porre il veto sull’istanza di Trump è stato il governatore della California, il democratico Jerry Brown, il quale per ragioni politiche (è una acceso contestatore del presidente) e di bilancio non ha garantito la partecipazione dei suoi volontari. I costi della mobilitazione della Guardia Nazionale hanno comunque convinto gli stati aderenti a ridimensionare il numero di militari da inviare rispetto le pretese di Trump: il governatore del Texas, Greg Abbot, ha schierato solo 300 soldati sui 1000 richiesti, mentre la governatrice del New Mexico ne ha comandati 80 su 250.

I militari avranno il compito di coadiuvare le forze di polizia e la guardia di frontiera – ha specificato Trump – in attesa che le imprese delegate inizino a lavorare alla costruzione del muro. Il provvedimento presidenziale ha sollevato molte critiche, soprattutto perché una militarizzazione dei confini non è un buon segnale per l’economia locale che, nelle remote cittadine del sud, non ha mai goduto di buona salute.

Certo che se l’America vuol imitare Israele è anche vero che i messicani non sono i palestinesi e che tra le due nazioni – malgrado le guerre passate – non esista un’animosità tale da giustificare l’erezione di un baluardo in cemento armato. È bene sottolineare, inoltre, che l’House Armed Services Committee ha recentemente asserito che il budget previsto per la costruzione del muro non dovrà imporre sacrifici sulle necessità più urgenti delle Forze Armate di apportare miglioramenti e modifiche alle strutture e ai mezzi in servizio.

Crediamo comunque che l’opera faraonica di Trump rientrerà presto nella lista delle “cosa da rimandare” poiché lontano dal caldo Messico, iniziano a spirare venti molto preoccupanti.

(foto: U.S. Air National Guard / U.S. Army)