Un sindaco in “camicia nera”

(di Tiziano Ciocchetti)
05/10/22

In questi giorni è salito agli onori delle cronache locali il sindaco di Pennabilli, un piccolo comune in provincia di Rimini, Mauro Giannini, per le sue esternazioni sui social assai poco politically correct, per usare un eufemismo.

Il post scritto sul suo profilo Facebook, il 30 settembre scorso, era un atto di commiato indirizzato alla sua vita passata e, allo stesso tempo, un ringraziamento per ciò che ha avuto e vissuto fino ad ora. Evidentemente all’efficiente censura del social, tali esternazioni non devono essere piaciute in quanto subito dopo la pubblicazione del post il profilo di Giannini è stato bloccato...

Occorre dire che Mauro Giannini non è certo un sindaco come gli altri. Giannini fino al 30 settembre scorso era un soldato dell’Esercito Italiano, che ha speso la prima parte della sua carriera militare come incursore del 9° rgt d’Assalto Col Moschin. Da operatore del Nono ha partecipato alle missioni in Iraq nel 1991 (operazione Airone) e con il 183° rgt Paracadutisti Nembo della Folgore in Somalia nel 1992-93 (operazione Ibis). Nel corso di quest’ultima missione, nei combattimenti del 2 luglio 1993 al check point Pasta a Mogadiscio caddero il sottotenente Andrea Millevoi dell’8° rgt Lancieri di Montebello, il sergente maggiore incursore Stefano Paolicchi del 9° rgt Col Moschin e il paracadutista Pasquale Baccaro del 186° rgt Paracadutisti Folgore: si è trattata della prima battaglia campale dell’Esercito Italiano dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Successivamente Giannini è transitato nel 7° rgt AvEs Vega della brigata aeromobile Friuli, dove il mese scorso ha terminato la carriera.

Quindi Mauro Giannini ricopre la carica di primo cittadino del Comune di Pennabilli da quando indossava la divisa, e proprio nel rispetto dell’Istituzione militare, ha sempre rifiutato di percepire lo stipendio che gli competeva (Giannini ricopre la carica dal 2016).

Qui di seguito riportiamo il post di Giannini, i cui contenuti sono stati giudicati non in linea con l’etica (!) di Facebook.

È GIUNTA L’ORA DI RICONSEGNARE LA DIVISA, MA NON DEPORRÒ MAI LE ARMI.

Mi sembra ieri quando, ancor senza un filo di barba, partii volontario per arruolarmi nei reparti d’assalto dei paracadutisti. Era un gelido mattino di marzo, dal finestrino del treno osservavo una città ancora assopita quando, ad un tratto, un brivido mi assalì; capii che era finita una fase della mia vita, finiva il tempo di correre con gli amici dietro a un pallone, finiva il tempo di correre con gli amici dietro alle ragazze. La voce tonante della Sacra Patria e il richiamo della Maschia Gioventù erano assordanti, non poteva essere altrimenti per un ragazzo cresciuto con il mito del guerriero, con il mito del superuomo, con il mito dell’uomo invincibile. Proprio così, quando son partito per servire per la bandiera, avevo solo un credo e la camicia nera.

Ho sempre avuto un grande amore per l’Italia, ma per quell’Italia vera, l’Italia del Piave, l’Italia di Vittorio Veneto, l’Italia di coloro che non hanno tradito. Purtroppo Dio non mi ha dato il privilegio di morire in combattimento, ma mi ha concesso la gioia di crearmi una famiglia, mi ha dotato di un coraggio ma soprattutto di una onestà che mi ha sempre permesso di dire tranquillamente ciò che penso, mi ha impresso quell’altruismo che mi permette di aiutare chiunque abbia bisogno, perché io, sembrerà strano, so anche amare; ecco perché ho tantissime persone che mi vogliono bene.

Ora mille pensieri mi affollano la mente, quanti ricordi! Quante emozioni si intrecciano, quanti sentimenti! Oggi ho pianto, da solo, nel mio silenzio. Ma non è un pianto di felicità; togliermi la divisa è come togliere le stelle dal cielo. Ringrazio l’Esercito Italiano, in particolar modo il IX Reparto d’Assalto “Col Moschin”, che mi ha dato la possibilità di realizzare i miei sogni e soprattutto che, con quell’ordine e disciplina che ci vorrebbero anche nella società civile, è riuscito frenare la mia irrompente esuberanza e a placare il mio impetuoso spirito. Spero che mio babbo sia fiero di me e spero possa averlo ripagato di tutte le preoccupazioni che quel sanguigno giovane ribelle gli ha dato.

Il mio pensiero va a tutti i miei camerati caduti e presenti, con i quali ho diviso pane e morte; vi porterò sempre nel cuore. Riconsegno la divisa, ma non deporrò mai le armi; sarò sempre pronto a versare il mio sangue per la Divina Patria. W L’ITALIA.

In una recente intervista al quotidiano il Resto del Carlino, alla domanda se fosse fascista, Giannini ha risposto che “sono nato con la camicia nera e morirò con la camicia nera”. Immaginatevi gli strali da parte dei c.d. partiti progressisti. È bene ricordare che la Costituzione italiana vieta la ricostituzione del PNF e l’apologia del Fascismo, non vieta a un cittadino di simpatizzare per il Fascismo.

Un riferimento implicito al fascismo (e ciò non costituisce certo un reato) ma nel suo post Giannini parla di valori Patri, come il coraggio, l’abnegazione, l’amore per l’Italia: sono valori che appartengono al Fascismo? Allora tutti i patrioti italiani sono fascisti.

Il sindaco Giannini andrebbe giudicato per come amministra il suo Comune, non per che tipo di indumento indossa metaforicamente. In Italia abbiamo avuto e abbiamo migliaia di amministratori locali che hanno sempre professato pubblicamente il loro antifascismo per poi finire condannati per peculato, concussione, corruzione e altri reati contro il patrimonio.

A questo punto potremmo porci una domanda: è necessario in Italia essere antifascisti se si compie comunque il proprio dovere nel rispetto della Costituzione repubblicana?

Foto: facebook (ante censura)