Le statistiche false del coronavirus di cui nessuno parla e che servono solo a condizionare gli italiani

(di David Rossi)
27/10/20

Da alcune settimane l’età media1 dei contagiati dal Sars-cov-2 in Italia oscilla fra 43 e 46 anni: possiamo dire che la pandemia sta colpendo in pieno e in modo più o meno proporzionato tutte le classi di età, dato che l’età media del Paese è di 45,6 anni. Tutto questo è molto diverso da quanto accaduto lo scorso marzo, quando la pandemia si insinuò negli ospedali e nelle RSA, colpendo soprattutto i più anziani e i più fragili e provocando il più grande massacro in tempo di pace in Italia dall’epoca dell’Influenza spagnola: quasi 35mila decessi in cento giorni, fra il 21 febbraio e il 31 maggio, al netto di quanti persero la vita per la mancanza di cure perché tutto il sistema sanitario era impegnato solo nella guerra al coronavirus.

Per farsi un’idea di quel che è successo, basta rammentare solo poche cifre dalla Lombardia, epicentro del cataclisma:

• un dializzato su dieci è stato infettato e fra quanti hanno contratto la malattia un terzo sono morti;

• il 15% dei pazienti oncologici contagiati è deceduto, a fronte di una media nazionale del 4,5%.

Bisogna dire che, tuttavia, la scarsezza dei tamponi ha determinato la cifra monstre della mortalità, 51 volte quella normale, dei 233.000 positivi2 della scorsa primavera: nemmeno i più ingenui, ormai, credono che appena lo 0,39% degli Italiani sia stato infettato nel primo e secondo trimestre del 2020. Se Paesi con uffici statistici seri, come la Germania e la Svizzera, hanno registrato una mortalità oscillante fra l’1 e il 2%, allora è probabile che il numero di casi da noi sia stato fra 1,7 e 3,5 milioni, la maggior parte nel Nord Italia, fra marzo e maggio.

Ora, le stesse Autorità, nazionali e regionali, che ci hanno imbeccato le cifre a primavera, hanno creato un altro mostro statistico, che andremo a analizzare brevemente e semplicemente, per poi capirne le ragioni.

Lo faremo, inizialmente, con due analisi comparative:

  1. per periodi paralleli, seguiremo lo sviluppo di casi e mortalità in Italia, da una parte, e in Spagna e Francia, dall’altra, fra il primo settembre e il 25 ottobre;

  2. per quantità analoghe di nuovi positivi, seguiremo Italia e Francia in due periodi distinti: la prima di nuovo fra primo settembre e 25 ottobre, la seconda fra il 16 luglio e il 9 settembre

In entrambe, considereremo una distanza di tredici giorni fra il primo tampone positivo e il decesso nei pazienti che sono morti e spesso arrotonderemo le cifre, per non tediare troppo il lettore.

Italia vs. Spagna e Francia

Nell’arco di tempo fra il primo settembre e il 12 ottobre, il tracciamento di nuovi casi positivi nei tre Paesi ha dato questi risultati:

Francia: 462mila

Spagna 424mila

Italia 90mila

Spicca subito la differenza: d’altronde, come avevo anticipato su Difesa Online in estate (v.articolo), a Parigi e Madrid la pandemia ha ripreso vigore 4-6 settimane prima che da noi, se è vero come è vero che i picchi della scorsa primavera sono stati superati il primo settembre dagli Spagnoli, il 5 dello stesso mese dai Francesi e solo il 14 ottobre da noi. La differenza diventa strana al momento in cui paragoniamo la mortalità della pandemia nello stesso Paese:

Francia: 3.800

Spagna: 4.900

Italia: 1.700

I conti non tornano nemmeno in percentuale: da una parte, Madrid ha fatto peggio di Parigi solo perché il Sistema Paese spagnolo è meno efficiente, mentre l’Italia, dall’altra parte, sembra di nuovo alle corde pur con molti casi in meno:

Francia: 0,82%

Spagna: 1,15%

Italia: 1,89%

Per capirsi ancora meglio, meglio, ecco quanto, nel periodo in analisi, la pandemia ha ucciso più rispetto alla situazione normale in questi Paesi:

Francia: 7 volte

Spagna: 10 volte

Italia: quasi 17 volte

Se i primi due dati, 7 e 10, sono per così dire fisiologici in un quadro come questo, con una nuova infezione priva di vaccino e di farmaci antivirali veramente efficaci, il dato del nostro Paese non torna affatto. E la nostra “sensazione” è confermata dal secondo paragone

Italia vs. Francia

Qualcuno potrebbe obiettare che, essendo apparentemente la diffusione della pandemia in fasi diverse, non è corretto paragonare il Bel Paese con gli altri due: tale obiezione è vera, ma dovrebbe fondarsi su un dato italiano migliore degli altri, in quanto i loro sistemi sanitari sono sottoposti a una pressione enormemente maggiore. In ogni modo, procediamo a comparare Italia e Francia per quantità analoghe di nuovi casi ma in periodi differenti. Per forza di cose, dobbiamo andare molto indietro nel tempo nel caso dei Transalpini. Così, l’attuale fase dell’Italia trova il suo gemello francese nel periodo fra le metà di luglio e la prima decade di settembre:

Francia: 86mila casi e 571 morti

Italia: 90mila casi e 1.728 morti

Rieccolo, il mostro ci appare davanti agli occhi un’altra volta: la differenza di mortalità fra i due Paesi è ancora più evidente:

Francia: 0,66%

Italia: 1,89%

Insomma, nel nostro Paese, a dare retta alle cifre, si muore due volte e mezzo più che in Francia, pur la metà dei casi. La cosa non torna, anche perché questa è la situazione dei ricoveri in terapia intensiva il 25 ottobre:

Francia: 2.584

Italia: 1.208

A ben vedere, la nostra mortalità dovrebbe essere a dir poco la metà di quella francese. Dato che il numero dei morti non è in discussione e ipotizzando una mortalità dell’1% in Italia (a fronte di meno di uno in Francia), i casi “ufficiali” dovrebbero essere più del doppio di quelli annunciati. Perciò, non credo che siamo di fronte a statistiche attendili: il dato italiano dei positivi è semplicemente falsato dal fatto che non facciamo (o non vogliamo fare) più di 800mila / un milione di tamponi alla settimana, mentre la Francia ne somministra più del doppio.

In Italia, se non hai sintomi importanti, non cercano di capire se hai il COVID-19: tutto questo avviene a spregio del fatto che, a detta di importanti scienziati, oltre il 95% dei casi siano asintomatici e spesso contagiosi. Adesso, come a primavera, da noi prevale la linea del tutto antiscientifica: sintomi= coronavirus; asintomatico= sempre sano. Insomma, bisogna evitare di spaventare gli Italiani dicendo loro che i casi sono non 100, 200 o 300mila, ma milioni, anzi parecchi milioni. Questo perché se le cifre della pandemia fossero già enormi perderebbe la linea politica “coronavirus-solo-se-sintomatico” si rivelerebbe una bestialità - a dir poco - e il lockdown cesserebbe di essere un bastone utile a condizionare in modo “più giudizioso” (e meno riottoso) il comportamento degli Italiani.

Già adesso, detta minaccia non sortisce grande effetto: da una parte, perché una porzione maggioritaria del Paese teme le conseguenze socioeconomiche di domani più del rischio sanitario di oggi; dall’altra perché anche gli ingenui capiscono che ormai il coronavirus è così diffuso e dilagante che anche chiudere gli Italiani in casa sarebbe inutile. Anzi, trasformerebbe condomìni e casette a schiera in focolai di infetti indignati.

Poi, resta il fatto che chi chiude, i bar, i ristoranti, le palestre e le piscine - tutte categorie di “sporchi evasori” da punire per i giallo-rossi al governo - è lo stesso che aveva posto il sigillo sui protocolli anti-contagio meno di quattro mesi fa e che avrebbe dovuto vigilare sul rispetto dell’igiene e del distanziamento. A proposito, che fine hanno fatto le forze dell’ordine con i droni che ad aprile davano la caccia alle mamme col passeggino e ai runner? È anche lo stesso che non capisce, o meglio si rifiuta di capire per non perdere il merito politico della riapertura delle aule, che le scuole superiori e le università sono un eccellente veicolo per il contagio, per la mobilità dei ragazzi di quell’età, e che gli studenti di quelle classi potrebbero studiare benissimo a distanza.

Insomma, l’arbitro non è più credibile, in questa partita fra il pericolo socioeconomico e quello sanitario. Chissà che oggi il presidente Mattarella non pensasse a questo quando ha detto: “Le altre malattie non sono finite in lockdown”, mettendo in luce i limiti dell’attuale azione di governo.

Non si possono mettere in cattività i cittadini per affrontare un problema alla volta: vallo a dire al dializzato o al malato di cancro che la sua malattia è di secondaria importanza o, come ha fatto una classe politica, a baristi e ristoratori che un po’ di crisi se la meritano.

1 In questo articolo parleremo impropriamente di età media invece che mediana, di mortalità invece che di letalità, per facilitare la comprensione da parte di tutti i lettori.

2 Con 51 anni di età media.

Immagine: Johns Hopkins University & Medicine / presidenza del consiglio dei ministri