La noia dei fatti e il “colore” delle chiacchiere. Le diatribe sulla guerra in Ucraina

(di Nicola Cristadoro)
27/02/23

La recentissima diretta fatta su questo giornale in occasione dell’anniversario dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina ha scatenato una ridda di polemiche – alcune sensate, altre meno – sul taglio filo-atlantista attribuito alla trattazione degli argomenti esposti. Tenterò di dare sollievo alla rabbia debordante dei filo-putiniani, cercando di dipanare la matassa dei fatti attraverso un filo-conduttore che si discosti dalle opinioni.

Poco meno di un anno fa, precisamente l’11 aprile 2022, in un mio articolo pubblicato su Difesa Online1 mettevo in evidenza quale fosse l’errore strategico commesso fin dal principio da Vladimir Putin e cioè la scelta di attribuire un ruolo di assoluta subordinazione, anche sul piano esecutivo, ai suoi collaboratori militari più stretti: il ministro della Difesa Sergej Šojgu e il capo di stato maggiore della difesa gen. Valerij Gerasimov.

Ricordiamo tutti l’approccio alla “Marchese del Grillo” adottato dal presidente russo nei confronti del suo inner circle (compreso il direttore del SVR Sergei Naryshkin), con la sua attitudine a circondarsi di yes-men, non di consiglieri fidati ed illuminati dunque, bensì di elementi pronti ad assecondare le sue idee ed i suoi desideri senza metterli in discussione.

A questo punto faccio una prima considerazione, rivolgendomi in particolare a chi, peraltro con poca eleganza e con piglio cabarettistico, ritiene che io tenda a considerare l’esercito russo una massa di incapaci, magari anche con l’“alito cattivo” (…ma questa era un’informazione coperta da un elevato livello di classifica, relativa all’“arma segreta”. Come avrà fatto ad averla?!?). Anche io, vedete, sono un estimatore di “Zelig”... Mettiamo da parte le sciocchezze e lasciatemi dire che non c’è nulla di più errato.

Ribadisco che il problema per i Russi non è nella compagine militare, ma della direzione politico-strategica intrapresa. Se si impartisce l’ordine di attuare un’invasione, la pianificazione e le modalità esecutive devono essere lasciate ai militari e non avocarle a sé quando non si hanno le competenze necessarie.

Lo stesso errore lo ha commesso Hitler da Stalingrado in avanti, pretendendo di avere una visione delle operazioni di teatro da Berlino e diventando isterico perché la guerra non procedeva più secondo il suo disegno. Insomma, a ruoli invertiti, Putin e Hitler hanno fatto gli “strateghi” senza esserlo.

La differenza sostanziale e non da poco, è che Hitler aveva già accumulato una serie di vittorie significative, mentre Putin ha sbagliato fin da subito. D’altra parte l’esercito russo contemporaneo non è né l’Armata Rossa che aveva la spinta morale a combattere senza quartiere gli invasori Tedeschi - alla stessa stregua degli Ucraini contro i Russi oggi – né la Wehrmacht, che sotto l’aspetto tattico era decisamente all’avanguardia, grazie ad un approccio estremamente attuale negli eserciti moderni e di cui i Russi sono assolutamente privi: il mission command. Si tratta della responsabilizzazione fino ai livelli ordinativi più bassi (compagnia, plotone, in certi casi addirittura squadra) per l’esecuzione degli ordini impartiti. In parole più semplici: ti dico qual è l’obiettivo da conseguire (missione), ti dico qual è il tuo compito, lascio a te la scelta di come assolverlo.

Nelle forze armate russe questo è impossibile, soprattutto con Putin. Tutti aspettano ordini dettagliati e le carenze di comando, controllo e coordinamento palesate, hanno generato l’isteresi da “guerra di posizione” cui tutti assistiamo.

E arriviamo ad una seconda considerazione. La guerra di posizione consolidatasi sul fronte di oltre 600 km che vede schierati i due eserciti è anche il risultato dell’attrito sviluppato dalla resistenza ucraina nei confronti della progressione russa, costringendo le truppe del Cremlino ad una battuta d’arresto estremamente logorante delle proprie risorse umane e di equipaggiamenti.

Sebbene allenati da uno spirito di sacrificio e uno spirito di servizio e di affezione alla Patria2 che noi Occidentali, in larga misura, disconosciamo da tempo, anche per i Russi le perdite sul campo con risultati piuttosto scarsi o, quantomeno, tardivi, rispetto all’end-state prefissato della rifondazione di una Novorossia, hanno imposto delle scelte discutibili.

Troppi caduti tra i coscritti chiamati a svolgere il loro servizio della durata di un anno o tra i kontratkniki a ferma prolungata e tuttavia in possesso di un livello di addestramento non adeguato. Ecco allora emergere in primo piano le figure degli “orchi” immaginati da Tolkien (vi lascio immaginare che alito possano avere!) tra le prime schiere divisionali delle forze russe. Ecco assurgere al ruolo di combattenti in prima linea gli appartenenti alle formazioni paramilitari filorusse riorganizzate nel 1° corpo d’armata di Donec’k e nel 2° corpo d’armata di Luhans’k, inquadrati nell’8° CAA del Distretto Militare Meridionale; gli appartenenti alle diverse PMC attive nel teatro delle operazioni, “Wagner” in primis; i volontari della “Riserva Nazionale delle Forze da Combattimento” (Boyevoy Armeyskiy Rezerv Strany – BARS), tutti combattenti determinati, preparati e motivati. Loro sono più “spendibili” sul terreno, ma anch’essi muoiono, muoiono in tanti perché le procedure tecnico – tattiche russe, permettetemi di sottolinearlo, vertono sulla “quantità” non sulla “qualità”.

Il rapporto dottrinale di tre/quattro a uno come condizione essenziale per chi attacca porta comunque a cifre inaccettabili tra i caduti se non si riesce a manovrare, eliminare definitivamente l’avversario e procedere all’occupazione dell’area di responsabilità assegnata. Tutte queste osservazioni, sono fatti.

Si sono verificate due situazioni importanti, altri due fatti. La prima vede la tensione tra Prigožin, capo della PMC “Wagner” e la leadership del Cremlino per le ingenti perdite subite senza ricevere adeguato sostegno e rinforzo sul campo dalle forze regolari. Così il 25 febbraio Mosca ha oscurato gli interventi “critici” di Prigožin sui media del Paese.

La seconda è il massiccio ricorso a detenuti nelle carceri russa prima e, successivamente, in quelle ucraine, per inviarli a combattere in prima linea in cambio di amnistie e rilasci. È ovvio che i detenuti condannati alle pene più severe siano quelli che aderiscono con maggiore immediatezza alla proposta e che, essendo condannati ai periodi di detenzione più lunghi, siano “brutti, sporchi, cattivi”, senza scrupoli e sufficientemente determinati da non necessitare di un addestramento prolungato. Al pari degli altri riservisti e mobilitati, dopo due settimane di addestramento vengono buttati nella mischia.

Questa è la realtà dei fatti. Ognuno tragga le proprie conclusioni su come si combatta nelle zone calde del fronte.

Sulla logica dell’impiego dei galeotti spediti al fronte per riscattarsi dalle loro malefatte esistono pagine illuminanti, ancorché romanzate, scritte da Nikolai Lilin (“Caduta libera”), relative alla campagna russa nella 2^ Guerra con la Cecenia e da Sven Hassel (cito solo “Battaglione d’assalto”) sulla guerra condotta dai Tedeschi in Russia durante il 2° Conflitto mondiale.

Una terza considerazione è che, a un certo punto, in presenza dell’approssimazione nella condotta delle operazioni delle proprie unità, Putin si sia risolto a far riemergere il generale Gerasimov, finora rimasto ben oltre lo sfondo.

Il capo di stato maggiore della difesa, dunque, è stato chiamato dal comandante supremo delle forze militari (Putin) ad occuparsi in prima persona del coordinamento e della diramazione degli ordini alle forze che combattono. Ovviamente, a questo punto, è in gioco il prestigio del generale Gerasimov che può vantare una carriera cristallina, apparentemente priva di “scheletri nell’armadio”.

Studiandone il profilo, emerge la figura di un Comandante degno di stima e trattato come una pedina dal suo superiore diretto. Gerasimov, dunque è esposto al giudizio dall’alto da parte di Putin e degli oligarchi/siloviki dell’inner circle putiniani e dal basso a quello dei soldati che combattono al fronte. E allora ecco Prigožin che rivendica il diritto ad un’assistenza sul campo da parte di Mosca, attualmente inesistente, perché se è vero che i mercenari combattono per denaro è altresì vero che da morti quel denaro non possono spenderlo e, in questa guerra, finora i suoi uomini ricordano più di altri i versi ungarettiani “Si sta / come d’autunno / sugli alberi / le foglie”. È un fatto. Sono anche quelli che, a differenza delle truppe regolari, possono agire con il criterio del mission command poc’anzi enunciato, quindi con un maggiore margine di autonomia. E proprio per questo è necessario che vengano ricondotti nell’alveo delle procedure standard delle altre forze, in quanto elemento dissonante perché tende a sottrarsi al controllo. E allora entra in gioco Gerasimov che deve tirare le briglie a questi cavalli sciolti i quali, paradossalmente, hanno incarnato e tutt’ora incarnano la quintessenza della dimensione ibrida della guerra da lui così brillantemente espressa nella teoria che, sempre da lui - a torto o ragione - prende il nome.

Restiamo sulle unità a contatto lungo la linea del fronte e procedo ad una quarta considerazione. A chi obietta sul fatto della presenza o meno del mucchio di unità lungo quei 600 km dico solo che, se si osservano attentamente le cartine, al livello e alla tipologia delle unità corrisponde anche un determinato livello di efficienza operativa, in gran parte ridotta al di sotto del 50%. Non perdo tempo a dilungarmi su cosa significa questo come peso relativo in termini di uomini e mezzi. Dico solo che quelle che appaiono come brigate o divisioni da ambo le parti, sono ormai reggimenti o battaglioni, spesso avvicendati da altri che, di volta in volta vengono anch’essi logorati dal protrarsi dei combattimenti. È un fatto.

Quinta ed ultima considerazione, relativa ai “nazisti ucraini”. Torniamo alla dimensione della guerra ibrida, propria della Dottrina Gerasimov, in particolare alla narrativa propagandistica russa. Per inciso, anche l’Ucraina sfrutta slogan e immagini nel quadro della infowar in atto, ma adesso voglio solo evidenziare che di fronte al reggimento “Azov” e al battaglione “Kraken” ucraini di simpatie filo-naziste, ve ne sono diversi di estrema destra che gravitano nell’orbita russa. Ricordiamoli, per par condicio, in merito all’azione de-nazificatrice dell’Ucraina propagandata dal Cremlino. Il primo è l’Unità di Volontari dell’Unione Nazionale Russa (UNR- Russkoe Nacionàl’noe Džedistvo), partito politico neo-nazista, fondato dall’ultra-nazionalista russo Aleksandr Barkašov. L’organizzazione paramilitare, avente la propria base operativa in Russia, è stata creata per operare in aree prevalentemente occupate da popolazioni di etnia russa, allo scopo di cacciare i residenti non russi e promuovere la diffusione del credo della Chiesa russo-ortodossa. Oltre ai volontari provenienti dall’Unione Nazionale Russa include anche elementi di altre organizzazioni russe di ispirazione neo-nazista, come le “Centinaia Nere” di Anton Raevskij. Raevskij, che nega di essere nazista, sebbene ostenti uno vistoso ritratto di Adolf Hitler tatuato su un braccio, promuove le idee che aspirano al dominio di una monarchia, di un impero e della chiesa Ortodossa d’Oriente.

L’organizzazione, segnatamente pro-zarista, si fonda su principi ultranazionalisti, anti-semiti e orientati alla Russia pre-stalinista. Vi è poi, il battaglione “Varjag”, reparto che prende il nome dalla Guardia Variaga (o dei Vareghi), istituita nel gennaio del 989. Era la guardia reale dell’imperatore bizantino, composta da elementi mercenari all’inizio principalmente Svedesi e Norvegesi orientali e, successivamente, soprattutto Russi. Si tratta di un reparto di volontari sotto il comando di Aleksandr Matjušin, attivo nell’area di Doneck. Matjušin sostiene che gli Ucraini non siano una popolazione di sangue slavo ed non cela le proprie simpatie neo-naziste.3

Anche gli uomini del battaglione “Somalia” non disdegnano di indossare simboli nazisti sulle loro uniformi (foto apertura).

Infine la ormai ultranota LMC “Wagner”, il cui comandante sul campo, l’ex tenente colonnello degli spetsnaz Dmitry Utkin avrebbe battezzato l’unità con tale nome, proprio in relazione al suo sguardo rivolto al nazismo. E qui mi fermo.

Sono certo che questo mio dilungarmi sui dati e non sul gossip che è maggiormente fruibile e stuzzica gli istinti più bassi del lettore/uditore poco interessato all’informazione, ha annoiato più di qualcuno. D’altra parte, come ha detto il prof. Parsi: “Gli scarsi investimenti di questi anni nell’istruzione e nella cultura in generale hanno fatto sì che si sia perso il gusto per la complessità del ragionamento”. Lui sì che è chiaramente un “atlantista” e scusatemi se ne condivido appieno l’asserzione. E poi, a pensarci bene, noi qui non viviamo esattamente a S. Pietroburgo o nella Kamchatka, quindi essere “atlantisti” è più normale che non esserlo.

Infine, i “generali da salotto”, come li definiscono coloro che appartengono alla schiera dei “combattenti della domenica” che si esaltano con le imboscate da soft-air perché quelle vere possono essere piuttosto pericolose (siamo pur sempre in Italia, no?), sono in grado almeno di parlare (quasi sempre) della guerra con competenza. Almeno sul piano teorico. Inoltre, sono ancora in possesso di quei valori che tanto invidiamo ai Russi, relativi all’amor patrio.

La guerra è una cosa seria e merita che se ne parli con rispetto e serietà, non con la sterile polemica da tifoserie faziose o da scambio di accalorate battute al bar, argomentando senza avere alcuna cognizione di causa di quello di cui si parla, perché il contrario risulterebbe troppo noioso.

3 M. Stanislav, Meet one of the DNR founders: a famous Doneck Neo-Nazi Aleksandr Matyushin, 17/ 02/2015. https://maidantranslations.com