Armi italiane agli ucraini: fondi di magazzino (e memoria corta)

(di Tiziano Ciocchetti)
06/04/22

In questi giorni i combattenti ucraini stanno ricevendo le forniture di armi giunte dai paesi NATO e da altri dell’Europa Occidentale, come la Svezia e Finlandia.

Come i nostri lettori sanno anche l’Italia sta sostenendo la resistenza ucraina, fornendo equipaggiamenti non letali, come giubbotti antiproiettile, elmetti, visori notturni, ma anche armamenti. Infatti stiamo svuotando i magazzini di tutte quelle armi che ormai non vengono più impiegate nemmeno nelle esercitazioni. Gli ucraini stanno ricevendo mitragliatrici pesanti Browning M-2, mitragliatrici leggere MG-42/59, lanciarazzi Panzerfaust 3 e missili controcarro filoguidati MILAN. Si tratta di modelli di vecchia generazione, non certo quelli aggiornati, entrati in servizio negli eserciti di Francia, Germania e Regno Unito tra gli anni ’80 e ’90 dello scorso secolo, dotati di testata HEAT migliorata. Visto il loro obsoleto sistema di guida (SACLOS) hanno il difetto di esporre l’operatore e di essere vulnerabili ai jammer agli infrarossi.

D’altronde non potrebbe essere altrimenti, gli equipaggiamenti moderni servono al nostro Esercito, quindi difficilmente potremmo inviare i missili controcarro Spike MR/LR oppure i CAMM-ER che ancora debbono entrare in servizio. Dopo trent’anni di “grande illusione”, dove si credeva che le guerre convenzionali fossero solo un ricordo del passato, ci stiamo ora accorgendo che spendiamo poco e male nella Difesa. Abbiamo trascurato le componenti fondamentali di un esercito moderno, come l’artiglieria e i carri, riciclando i carristi e gli artiglieri come fanteria di riserva.

Tralasciando le condizioni della componente corazzata, di cui abbiamo abbondantemente parlato in articoli precedenti, l’artiglieria monotubo è equipaggiata con pezzi obsoleti (FH-70 da 155/39 mm), con canne ormai usurate da oltre 40 anni di impiego. Alcuni anni fa lo SME ha reintrodotto l’obice someggiabile OTO 56 da 105/14 mm (il 3° rgt art. da montagna della Julia è stato il primo reparto a reintrodurlo). Un’arma gloriosa ma che concettualmente risale a 65 anni fa e che quindi dovrebbe essere sostituita al più presto: nei piani di acquisizione dell’Esercito si parla di un obice da 105 mm di fabbricazione nazionale o acquistato all’estero (magari l’obice leggero inglese L119).

L’entusiasmo dell’attuale maggioranza di governo nel fornire armi all’Ucraina cozza non poco se rapportato a soli due anni e mezzo fa, allorquando l’allora premier libico al-Sarraj, capo del governo di Tripoli riconosciuto dalla Comunità Internazionale, chiedeva armi all’esecutivo Conte bis per difendersi dall’aggressione del generale Haftar.

Evidentemente, allora, l’unica strada era "quella diplomatica" (come ripeteva spesso il ministro Di Maio), salvo poi vedere i turchi che, con il minimo sforzo, risolvevano la situazione manu militari.

Foto: web / Esercito Italiano