Diario siriano. Cap.10: Il tassista di Assad

(di Andrea Cucco, Giampiero Venturi)
04/03/16

La Siria è una scatola con cinque porte. Per adesso solo una rimane aperta: quella più facile e amica; quella che conduce a Beirut. Usciamo dalla Siria, direzione Libano.

I siriani considerano il Libano il giardino di casa. È un’idea, forse un abuso, forse un desiderio, ma nell’iconografia collettiva è un’immagine comune. A noi occidentali frettolosi importa poco. Presi dal senso pratico, guardiamo le colline non più innevate che portano oltre la Valle della Bekaa, verso Beirut, verso il mare, verso il ritorno alla vita.

È l’ultimo giorno e ci accompagna Bassam. Ha 54 anni e fa l'autista, spesso proprio fra Damasco e la capitale libanese.

Poco dopo aver attraversato il confine, ci fermiamo ad un bar lungo la strada. Parla un buon inglese perché nella sua vita ha fatto di tutto, anche il marinaio. Dell'Italia infatti conosce più che altro i grandi porti.

Bassam ha molta esperienza di vita e sa un sacco di cose. Oggi vive in un sobborgo della capitale, una zona da anni infestata dai terroristi.

Quando chiediamo perché non se ne sia mai andato la risposta è semplice e ci fa sentire stupidi.

Se fossi uscito mi avrebbero saccheggiato casa”.

Ha vissuto così per anni sotto le bombe, in cantina con la famiglia.

Dal suo racconto emerge un nuovo filone di “ribelli moderati” (come li chiamiamo noi saggi occidentali...) che non avevamo ancora sentito: i ceceni. Crudeli e spietati esseri dalla barba rossa. Mancavano giusto loro…

Di certo prima della guerra la vita doveva essere semplice anche per i meno abbienti: ci racconta che con 50 $ si poteva mantenere una famiglia con figli. Ora non ne bastano 200. Non esistevano povertà ed accattonaggio. Era il sistema baathista.

Per Bassam il disastro è cominciato con la scoperta degli enormi giacimenti di gas al largo della costa siriana.

Che cazzo ci fa questo Paese in mezzo? Va eliminato!” avrebbero detto Turchia ed Arabia Saudita.

Bassam s’infervora con le sue stesse parole. È deciso. Sa di rappresentare milioni di siriani che la pensano come lui. Continua il suo ragionamento dicendo che “l'obiettivo non è Assad. Potevano eliminarlo quando volevano. L'obiettivo è la Siria stessa…

Nonostante tutto è ottimista “Fra pochi mesi la guerra finirà”.

Dopo aver bevuto il caffè, parlando senza guardarci e con un mezzo sorriso, ricorda quando a Saddam Hussein un giornalista chiese chi fosse la guida migliore per il mondo arabo:

Hafez Assad! – avrebbe risposto l’incompreso di Baghdad - Ma io dovrei fare il ministro della difesa...”. Saddam era un dittatore, ma anche un uomo saggio e di grande ironia. Bassam parla del mondo arabo con un pizzico di malinconia e rimpianto. Come se molte cose fossero ormai perse per sempre.

Lui è un uomo tosto, di quelli che non si tirano indietro quando il Paese chiama.

Ho combattuto in Libano nell'84. Ero cannoniere su un T-55. Durante l'invasione irachena del Kuwait ho passato 8 mesi in servizio come riservista ad Homs”.

Chiediamo perché non si sia arruolato di nuovo per la guerra di oggi. Con un pizzico di sconforto ci dice che lo ha fatto subito “ma hanno detto che ero anziano...

È un soldato esperto. Le armi che ha visto in mano ai terroristi lo hanno sorpreso: armi straniere e tecnologicamente avanzate.

Se nelle città in mano ai ribelli non ci fosse la popolazione l'esercito potrebbe intervenire liberamente. Sono ancora presenti dove abito io. Poche centinaia di terroristi tengono in ostaggio migliaia di persone che non vogliono lasciargli saccheggiare i propri beni

Chiediamo perché non si possa far nulla. La risposta è chiara.

La popolazione segnala all'esercito quando e dove si raggruppano. Poi arriva una bomba...

La Siria tornerà più bella di prima!” - prosegue convinto. “Il segnale della pacificazione è il numero di investitori che stanno giungendo nel Paese. Ogni giorno ne arrivano di nuovi.

Come autista è sicuramente una fonte attendibile per valutare l'andamento degli stranieri in arrivo ma le sue parole rimangono a metà fra realtà concreta e desideri.

Chiediamo se Assad, secondo lui, non abbia temporeggiato troppo a lungo (lo pensano molti nel Paese) prima di intervenire.

Assad ha esitato perché era una chiara trappola: lo avrebbero accusato per qualsiasi azione invocando i diritti umani”.

Dobbiamo ripartire. Sulle colline tra Libano e Siria si respira una strana aria frizzante. Alcuni alberi sempreverdi ci ricordano che il Mediterraneo è vicino. Siamo noi invece a sentirci lontani dalle sofferenze di Bassam e della sua gente...

In silenzio scattiamo una foto ad una tazzina da caffè. Lui incuriosito ci interroga e replica sorridendo:

La foto la dovete fare a me e pubblicarla. Amo il mio Paese ed amo il mio Presidente. Quando tempo fa ci sono state le elezioni e marchiavano il dito con l'inchiostro ai seggi elettorali, pur in un'area occupata dai terroristi sono andato con tutta la mia famiglia a votare. Non li temo!

Riprendiamo a scendere verso occidente, lasciandoci alle spalle un Paese incredibile taciuto da tutti.

Andare via ci costa tantissimo.