La teoria del Mediterraneo allargato e la geopolitica classica in Italia

(di Filippo Del Monte)
04/10/22

Quella di “Mediterraneo allargato” è una definizione che si sente spesso ed è legata alla concezione strategica della postura – politica, diplomatica e militare – dell’Italia nello scenario internazionale e, nello specifico, in quella che è individuata come la sua zona di proiezione e competenza che è l’area vasta compresa tra Gibilterra ed il Golfo di Aden e che include anche il Medio Oriente e l’Africa Centrale.

Il Mare Nostrum rappresenta l’1% delle acque del globo, ma è attraversato dal 20% del traffico marittimo mondiale ed è un’area soggetta, da qualche anno a questa parte, ad una crescente presenza militare, inizialmente visibile principalmente nel dominio marittimo, ed oggi anche terrestre, dando concretezza al pericoloso fenomeno della “territorializzazione” del Mediterraneo e quindi non solo ad una forma di instabilità diffusa ma anche al rischio di conflitti convenzionali.

Tali fenomeni, che stanno emergendo in tutta la loro pericolosità e gravità in questa fase di “globalizzazione regressiva”, erano stati già individuati come rischi potenziali e concreti (contenenti in nuce anche le opportunità come ogni situazione di crisi) dalla scuola geopolitica italiana di Trieste negli anni ’30, in particolare dal suo fondatore Ernesto Massi.

Recuperando la vecchia tradizione geopolitica risorgimentale, Massi esprimeva una visione “regionalista” del Mediterraneo, lontana dalle spinte globaliste sviluppate invece dalla scuola geopolitica tedesca di Karl Haushofer. Dunque, il Mediterraneo restava per il geografo triestino quello che lo storico francese della Nouvelle Histoire Fernand Braudel avrebbe definito come il “centro luminoso” nella sua opera “Civiltà e imperi del Mediterraneo nell'età di Filippo II” (1947). Il “mare delle civiltà” massiano, centro geografico ed insieme geopolitico, può avere una sua funzione solo se capace di tenere insieme Europa, Africa ed Asia, i tre continenti bagnati dalle sue acque, che ne hanno fatto un polo d’incontro e scontro tra popoli e culture diverse fin dall’antichità. Le caratteristiche geografiche e antropiche del bacino mediterraneo hanno permesso nel corso dei secoli la comparsa di grandi imperi come quello macedone di Alessandro Magno, quello romano con una prospettiva geopolitica sviluppatasi a partire dal III secolo a.C., quello bizantino, quello arabo e quello spagnolo nel periodo di Carlo V. Queste realtà imperiali hanno avuto il loro fulcro nel Mediterraneo, anche quando, come nel caso dell’espansionismo arabo fino al Califfato Omayyade (661-750 d.C.) o del Sacro Romano Impero e del Regno di Spagna di Carlo V (1519-1556), esse nascevano lontano o avevano prospettive diverse rispetto all’area geografica del Mare Nostrum.

Ernesto Massi aveva individuato una direttrice geopolitica perpendicolare che dalla penisola dello Jutland, passando per Berlino e Roma, portava dritta al cuore del Mediterraneo con epicentro la Libia italiana, espressione, secondo il geografo triestino, del programma politico-militare dell’Asse italo-tedesco, mentre le linee direttrici italiane erano costituite da un arco immaginario che, inglobando i Balcani, buona parte del bacino del Danubio, il Mediterraneo orientale ed il Levante, finiva dritto nell’Africa Orientale Italiana.

Assieme agli influssi della storiografia e dell’antropogeografia francese dell’École des Annales e, dunque, dello studio dei processi di lungo periodo, la teoria del “Mediterraneo allargato” deve tanto, dal punto di vista concettuale, proprio alle direttrici geopolitiche individuate da Ernesto Massi ed alla loro “astoricità” poiché sempre valide e non collegate a specifiche epoche.

In particolare, la scuola geopolitica triestina aveva dato un’ampia importanza ai “colli di bottiglia” degli stretti, Gibilterra e Suez nel caso del Mediterraneo, che dall’apertura del canale egiziano datata 1869, svolgono un ruolo fondamentale per gli equilibri di potenza regionali. Già dagli anni ’50 del XIX secolo, quando l’Italia unita ancora non esisteva, tanto in ambiente piemontese quanto in quello lombardo-veneto s’era aperto un dibattito fondamentale sul nuovo ruolo che la penisola italiana avrebbe potuto acquisire una volta aperto il canale di Suez e quindi con la trasformazione del Mediterraneo in “Durchgangmesser”, mare aperto, che metteva a contatto Eurasia ed Eurafrica, blocchi configgenti tra loro (leggi articolo "Il dibattito sul Canale di Suez nell’Ottocento. Spunti di riflessione geopolitica"). Lo stesso problema era stato evidenziato anche nel dibattito militare sia in seno all’Esercito che in seno alla Marina sulle prospettive dello strumento militare nazionale alla fine dell’800 (leggi articolo "I rapporti tra Esercito e Marina nell'Italia degli anni '80 del XIX Secolo"). Inoltre, proprio sull’onda dell’apertura del canale di Suez, uno dei fattori che aveva spinto il governo italiano a mettere piede in Eritrea era stato quello di influire "indirettamente" ma massicciamente sulla politica mediterranea, tentando di ritagliare per Roma quello spazio d'azione autonoma che le era negato, per questione d'equilibri, nell'Adriatico e nell'Africa settentrionale, quest’ultima questione legata a doppio filo con le esigenze securitarie di Roma in relazione al Canale di Sicilia ed alle conseguenti vicende dello schiaffo di Tunisi e del Trattato del Bardo nel 1881-1882.

La direttrice geopolitica perpendicolare all’asse mediterraneo e quella ad arco che portava l’Italia ad interessarsi tanto dei Balcani quanto del Mar Rosso – e, di conseguenza, dell’Oceano Indiano – erano state individuate anche dal geografo tedesco Alfred Hettner (1859-1941), nell’ambito del dibattito in seno alla scuola geopolitica tedesca durante la prima guerra mondiale sulle ragioni che avevano spinto l’Italia a combattere contro l’Austria-Ungheria.

Già autore dell’importante monografia “Englands Weltherrschaft und der Krieg” (Lipsia, 1915), con la quale analizzava la correlazione tra potere marittimo mondiale britannico e guerra, nel maggio del 1915 Hettner pubblicò sulla “Geographische Zeitschrift” un articolo intitolato “Italiens Eintritt in den Krieg” (L’entrata in guerra dell’Italia).

A proposito della dichiarazione di guerra italiana all’Austria-Ungheria, Alfred Hettner, pur deplorando la scelta di Roma, invitava a considerare l’iniziativa dell’Italia non come il frutto esclusivo di un “tradimento”, quanto di una necessità geografica che aveva sviluppato un esplicito programma di rivendicazioni politiche anti-asburgiche, figlie della particolare natura di potenza sia marittima che continentale del Regno d’Italia, il quale aveva l‘obbligo di rendere più sicure le sue frontiere nord-orientali, difficilmente difendibili nella conformazione del 1866-1915.

Per Hettner, l’Italia aveva una doppia esigenza di espansione e sicurezza territoriale. Attraverso l’individuazione delle direttrici geopolitiche marittimo-continentali italiane, Hettner arrivò alla conclusione che la sicurezza nazionale di Roma ed anche le sue ambizioni d’egemonia regionale potessero essere garantite solo attraverso la trasformazione del Mediterraneo in Durchgangmesser. Alla stessa conclusione erano arrivati i geografi italiani interventisti Cesare Battisti (socialista patriottico), Michele Gortani (cattolico-nazionale) e, più in generale, l’intera scuola geografica fiorentina legata all’Istituto Geografico Militare.

Ampliando questa teoria, Ernesto Massi metteva comunque in evidenza come, per la sua particolare posizione geografica posta al centro del Mediterraneo, la politica di sicurezza nazionale e quella d’espansione imperiale per l’Italia fossero corrispondenti. "Dalla vulnerabilità della posizione – scriveva Massi nel 1939 nell’articolo Römische und italienische Mittelmeer-Geopolitik, pubblicato sulla rivista tedesca Zeitschrift für Geopolitik - nasce la necessità di una politica di difesa, di sicurezza, di ordine, di penetrazione spaziale delle aree di confine". Mettendo in correlazione il pensiero geopolitico romano dalle guerre puniche al principato augusteo con quello italiano risorgimentale e fascista, Massi sottolineava come l’imperialismo difensivo fosse l’unica strada percorribile per garantire insieme sicurezza continentale, apertura del Mediterraneo, garanzia che nel Mare Nostrum le influenze esterne – impossibili da eliminare per la sua natura di “medioceano” – non diventassero fattore di debolezza endemica degli Stati rivieraschi.

Commentando il corpus degli scritti di Massi sul Mediterraneo, Andrea Perrone (La centralità geopolitica del Mediterraneo nel pensiero di Ernesto Massi. Il paradigma italiano tra coscienza geografica e volontarismo, GNOSIS, 4, 2021) rileva che "ogni unità geografica del Mediterraneo fa contemporaneamente parte di due o più campi di forza geopolitica. Ogni conquista, ogni acquisizione di terra porta a nuove controversie e attriti con le vicine strutture geopolitiche, in un confronto serrato fra potenze di terra e potenze di mare, che hanno prevalso l’un l’altra in epoche e situazioni diverse". In un quadro del genere, è difficile se non impossibile garantire per il Mediterraneo lo status di regione geopolitica autonoma e di “mare aperto” contemporaneamente, senza subire le spinte globali provenienti dalle grandi potenze interessate a sfruttarne ed a controllarne la specificità di mare di collegamento tra oceani.

L’importanza dei choke-points (strozzature, passaggi critici, nrd) mediterranei, già intuita dall’Italia fascista, fino a spingerla al confronto diretto con la Gran Bretagna, potenza controllante Gibilterra e Suez, nel 1940-1943, è ancora tale nel XXI secolo, tanto che una delle tappe dell’assalto al potere mondiale statunitense lanciato dalla Cina passa proprio per il Mare Nostrum, attraverso la Belt and Road Initiative, nota anche come “Nuova Via della Seta” (leggi articolo "Cina: pericolose inaffidabilità imperiali"). Lo stesso dicasi per la presenza russa nel Mediterraneo con le “punte di lancia” rappresentate dalla Siria e dalla Cirenaica, ma che è parte di una più ampia strategia di penetrazione di Mosca nel continente nero (leggi anche "La Stella Rossa in Africa: la guerra in Ucraina ed il sud del mondo").

La nuova centralità del Mediterraneo, unita alla velenza strategica del Mar Rosso e dell’Oceano Indiano nell’epoca della “globalizzazione regressiva”, ha spinto molti dei principali attori protagonisti della scena internazionale ad attivare dispositivi di controllo delle rotte commerciali più trafficate. La teoria italiana del “Mediterraneo allargato” risponde alle esigenze di garantire la sicurezza nazionale di Roma attraverso una ampia capacità di proiezione entro un’area specifica.

Resta da capire se questo concetto strategico, legato alla tradizionale interpretazione “regionalista” (che non significa “provinciale”) della geopolitica italiana, possa rispondere positivamente alle esigenze italiane in questa fase di instabilità del Mediterraneo e delle zone viciniori. L’incubo geostrategico di Ernesto Massi, cioè l’estrema permeabilità alle influenze esterne dell’area mediterranea, con l’impossibilità per l’Italia di gestire autonomamente la propria politica estera, è una realtà concreta, acuitasi dopo il 24 febbraio con lo scoppio della guerra tra Russia ed Ucraina e con la recrudescenza dello scontro tra potenze conservatrici e potenze revisioniste dell’ordine internazionale liberale a guida statunitense.

Uno dei compiti del prossimo governo italiano sarà quello di teorizzare – e recitare soprattutto – un ruolo da protagonista per il Paese nel Mediterraneo allargato poiché in aree di forte instabilità è la postura assertiva (da pivot) a garantire la sicurezza nazionale e non l’immobilismo.

Foto: Marina Militare