A che punto è la notte

(di Renato Scarfi)
13/10/22

No, non si tratta del romanzo di Fruttero e Lucentini, un romanzo bello e fortunato che ha ispirato anche una serie televisiva con protagonista Marcello Mastroianni. Si tratta, invece, della notte scesa sull’Europa a causa di Putin, ormai sempre più prigioniero del suo desiderio di tornare ai tempi degli Zar. Poco importa se, con la Rivoluzione dell’ottobre 1917, quei tempi sono stati rifiutati dalla stessa popolazione russa, nel cui nome Putin ha scatenato questa guerra, in ossequio al suo personalissimo programma imperialistico di riappropriazione della Novaya Rossiya e della restaurazione del Russki Mir.

A quasi otto mesi dall’inizio della notte vale, quindi, la pena di analizzare rapidamente alcuni aspetti significativi di questa guerra, ovvero quelli economici, militari e geopolitici, sintetizzando quanto finora dimostrato dai fatti.

Aspetti economici

Va innanzitutto detto che le sanzioni economiche non sono misure che tendono a “sconfiggere” il paese cui sono rivolte né a risolvere rapidamente le controversie, dato che le sanzioni hanno un raggio d’azione che va almeno nel medio termine. Esse sono, invece, tese a portare tale paese a “più miti consigli”, a convincerlo ad abbandonare le decisioni unilaterali a favore del confronto dialettico. In sostanza, indurre l’aggressore a una cessazione delle ostilità e a portarlo al tavolo negoziale.

Detto questo, dai dati analizzati sembrerebbe che le tesi secondo le quali l’economia Russa sarebbe stata in grado di far fronte alle sanzioni senza grandi danni, superando le difficoltà iniziali facendo un maggior ricorso alle risorse interne, oppure attraverso il rafforzamento degli scambi commerciali con altri paesi amici (leggi Cina) siano state finora clamorosamente smentite dai fatti.

Come ben descrive anche uno studio dell’Università di Yale dello scorso agosto, gli effetti delle sanzioni si stanno, invece, facendo sentire pesantemente e condizioneranno l’economia russa per decenni dopo che la notte sarà passata.

Secondo tale autorevole studio, l’autosufficienza russa si è rivelata una pia illusione giacché la produzione nazionale è ormai avviata a una semiparalisi, portando con sé scarsità di offerta e inflazione. Secondo alcune stime l’inflazione oggi sarebbe intorno al 20%, con punte fino al 60% per i prodotti dipendenti dall’importazione.

E qui si tocca un tasto molto dolente per Mosca. L’importazione di beni, servizi e tecnologia, infatti, è diminuita del 50% dall’inizio del conflitto, con intuibili pesanti ricadute negative sul mercato interno e sulla produzione industriale, particolarmente quella militare. Mentre è intuibile una posizione intransigente da parte dei paesi sanzionatori, va sottolineato che anche da parte di numerosi paesi che non hanno aderito alle sanzioni contro Mosca si registrano drastiche riduzioni nelle relazioni commerciali dei prodotti sanzionati, principalmente per il timore di incorrere in sanzioni secondarie nei mercati occidentali, per loro molto più importanti di quello russo. Perfino le importazioni dalla Cina sono diminuite del 50% dall’inizio dell’anno. Un risultato chiaro che neanche la “furbizia” di taluni ha intaccato.

In merito all’esportazione, altro tasto particolarmente dolente, la forte posizione russa circa le materie prime si è drasticamente ridimensionata e gli importatori occidentali tradizionali stanno efficacemente riorientando le proprie forniture, specialmente di gas e petrolio. Ciò non significa che l’operazione sia indolore per le nazioni che applicano le sanzioni. Un costo c’è, sia in termini economici che sociali. Tuttavia lo shock causato all’economia russa e ben più grave dei disagi occidentali. L’esportazione di gas, per esempio, non potrà essere riorientata verso altri mercati (leggi Cina) in breve tempo, causando perdite significative e un’attesa per la costruzione di nuovi gasdotti che si valuta in anni.

Pur di continuare a vendere petrolio, Mosca lo sta cedendo a prezzi scontatissimi, per la felicità di Cina e India, che ne stanno facendo incetta. Un prezzo (anche del gas) che potrebbe ulteriormente diminuire (con forti perdite per Mosca) se venisse rapidamente approvato il price cap, proposto dagli USA (per il petrolio) e dall’Italia (per il gas). Un’approvazione che è finora stata ritardata dalle riserve (quanto disinteressate?) dei soliti paesi frugali come Germania e Olanda che, guarda caso, guadagnano dal mantenimento dell’attuale sistema.

Moltissime imprese, inoltre, hanno lasciato la Russia. Si parla di circa 1.000 aziende che rappresentavano il 40% del PIL e che tenevano occupati circa un milione di russi. Tra i cittadini che hanno lasciato quasi immediatamente la Russia, moltissimi avevano un reddito medio-alto, e ciò ha ulteriormente impoverito il paese. Tralasciamo poi il fatto che alcuni di questi benestanti/dirigenti abbiano trovato la morte con misteriosi suicidi o sfortunate cadute dalle scale o dalle finestre.

Dopo un iniziale deprezzamento, il rublo ha risalito la china e oggi appare come una moneta solida. Tuttavia, non va sottaciuto che si tratta di una valutazione “drogata” dal fatto che in Russia non è sostanzialmente possibile accedere ad altre valute. Sul mercato nero interno il dollaro statunitense ha oggi un valore molto superiore a quello ufficiale, peraltro mai così forte da oltre vent’anni. Per sostenere le imprese e i cittadini il Governo ha poi realizzato un sistema di sussidi, prestiti, ecc… il cui ammontare complessivo è sconosciuto. La Russia, infine, non ha accesso ai mercati finanziari internazionali e quello interno è paralizzato. Ciò non permette di recuperare i soldi per investimenti importanti, come potrebbe essere il già citato gasdotto verso la Cina.

Un quadro per nulla rassicurante nel medio e lungo termine che la governatrice della Banca centrale russa Elvira Nabiullina, da professionista seria e competente, aveva subito intuito all’indomani dell’approvazione delle prime sanzioni, ma che solo chi non voleva vedere non ha visto.

Nel dibattito europeo molti analisti tendono a sottolineare il costo economico che le sanzioni hanno nei confronti dei paesi che le impongono, segno di una asserita loro inefficacia. Nel caso specifico della Russia di Putin, sembra invece che le sanzioni stiano facendo il loro effetto, nonostante la propaganda di regime si ostini a negarlo (d’altronde è il loro lavoro).

Aspetti militari

Fin dall’inizio del conflitto siamo stati invasi da informazioni riguardanti i problemi riscontrati dai russi nel condurre le operazioni militari. Convogli bloccati, soldati che disertavano lasciando il proprio equipaggiamento sul terreno, mezzi che venivano abbandonati perché rimasti senza carburante o per mancanza di parti di ricambio, generali uccisi perché la loro posizione veniva scoperta ascoltando le comunicazioni con i cellulari, scarsa efficacia delle operazioni militari, nonostante il grande divario numerico e di dotazioni. Anche se internet non rappresenta la realtà, molti si sono chiesti se l’esercito che veniva fuori da tali descrizioni era veramente l’esercito che per decenni era stato valutato come uno dei più forti del mondo.

Attenendosi ai fatti va detto che l’esercito russo, nonostante i ripetuti tentativi, non è riuscito a sottomettere rapidamente il paese e installare un governo filorusso a Kiev, malgrado quella che sembrava essere una schiacciante forza militare. Il tentativo di circondare le città principali, basandosi sul presupposto che la resistenza ucraina sarebbe stata debole e caotica, in alcune zone addirittura assente, presupponendo un atteggiamento amichevole da parte della popolazione, è andato parimenti a vuoto. Contrariamente alle aspettative russe, la resistenza si è infatti rivelata organizzata, ben armata e determinata, sia da parte dell’esercito regolare ucraino che di quella delle forze di volontari e riservisti arruolatisi in gran parte del paese.

Dopo tre settimane, i russi sono passati dal tentativo di prendere Kiev e sottomettere l'intero paese, a una guerra di posizione e di bombardamento a tappeto, con una serie di raccapriccianti assedi e bombardamenti urbani, che hanno fatto decine di vittime tra i civili, intaccando solo in minima parte il dispositivo militare ucraino.

Al centro della questione c’era una chiara mancanza di coordinamento, pianificazione e addestramento tra le forze russe, cui si è aggiunta una catena logistica che non ha permesso di far giungere tempestivamente uomini, munizioni, carburante, materiale sanitario e cibo laddove necessario. Ciò, nonostante la rete ferroviaria russa (Rossijskie železnye dorogi – RZD), lunga ben 86.600 km, sia particolarmente dedicata al trasporto merci (11.800 locomotive contro 3.100 per il trasporto passeggeri) e abbia la capacità di poter trasportare velocemente e facilmente truppe e armamento da una costa all’altra del paese e dell’ex-impero sovietico. In effetti, l’allungamento delle linee di rifornimento e la vulnerabilità delle linee ferroviarie agli atti di sabotaggio, hanno costretto i russi ad affidarsi a linee logistiche stradali all’interno del territorio ucraino. Gli immediati attacchi ucraini ai ponti ferroviari, infatti, hanno permesso di rallentare sensibilmente il flusso dei rifornimenti alle truppe, che non sono arrivati a destinazione o sono giunti con enorme ritardo. Il risultato è stato l’abbandono di mezzi e armamento per mancanza di carburante o di pezzi di ricambio, la mancanza di munizioni nei primi mesi di combattimento e le scorrerie nei supermercati da parte dei soldati russi, per rifornirsi di cibo.

A dispetto di quanto affermato inizialmente da Putin, inoltre, nelle operazioni militari è stato impegnato anche personale non professionista. La creazione di un esercito professionale, infatti, è una questione di volontà, tempo e soldi (addestramento, dotazioni, ecc…). Troppe energie per un paese che, seppure immenso e con immense risorse naturali, ha un PIL inferiore a quello della sola Spagna. (leggi articolo “Alcune riflessioni sull’esercito russo”)

Gli enormi problemi logistici hanno ridotto drasticamente anche l’efficacia di quei reparti, causando perdite pesanti e non rimpiazzabili nel breve/medio periodo. Il risultato è stato che il morale delle truppe e la fiducia nella catena gerarchica sono scesi oltre ogni limite, costringendo Mosca a inviare in prima linea molti generali per poter dirigere le operazioni in prima persona.

Dopo una prima fase molto difficile, i russi hanno poi conquistato (ancorché a prezzi altissimi) tutta l’area costiera orientale ucraina, fino a Karkiv e hanno accentuato la pressione (e i bombardamenti) su Odessa, senza conquistarla.

Dallo scorso agosto, la controffensiva ucraina ha permesso a Kiev di riconquistare alcuni territori e di spingere ulteriormente sulla linea da nord-ovest a sud. A causa di questi insuccessi russi, è proseguita la girandola di generali alla guida delle truppe sul campo. L’attuale fase vede una completa disorganizzazione della difesa russa, le cui truppe si ritirano davanti alle forze avversarie, lasciando molto materiale di armamento che, talvolta, viene riutilizzato contro gli stessi russi. Ciò ha costretto Putin a dichiarare la mobilitazione parziale e ad arruolare personale “a caso”, spesso senza addestramento o addirittura in cattivo stato di salute. Ciò ha provocato un’ondata di forte protesta da parte dei russi, che hanno cominciato a capire cosa stava effettivamente succedendo e sono scesi in piazza per protestare… o sono scappati all’estero, creando lunghe file alle frontiere.

Nel frattempo, parallelamente al proseguimento dei combattimenti della fanteria, tra gli analisti é cresciuto il dibattito circa l’utilità dei carri armati nella guerra moderna. Se da una parte il generale statunitense Curtis Scaparrotti, che ha ricoperto l’incarico di Supreme Allied Commander delle forze NATO in Europa nel periodo 2016-2019, ritiene che una buona deterrenza contro le aggressioni passi da una significativa componente corazzata, dall’altra le vicende ucraine indicano che l’efficacia nel combattimento da parte dei carri armati non sia più quella di una volta, giacché l’evoluzione tecnologica ha permesso di raggiungere elevati livelli di letalità con i missili anticarro di precisione. Un dibattito che era partito già nei primi anni ’70 ma che le vicende ucraine hanno contribuito a riaccendere.

In merito, i sostenitori del mezzo corazzato affermano che la capacità di forza d’urto di una brigata di carri non possa essere sostituita da altri mezzi, mentre i fautori dell’arma portatile, portano come esempio il “Javelin”, missile anticarro che ha circa 4.000 m di raggio d’azione, che non solo si è dimostrato altamente letale grazie alla testa in guerra ad alta capacità ma, essendo scagliato con il metodo “lancia e dimentica”, permette all’operatore di cambiare rapidamente posizione e rendersi invisibile all’avversario.

Ma non solo missili. Come hanno dimostrato i combattimenti prima in Nagorno-Karabakh del 2020 e poi anche in Ucraina, anche i droni hanno rappresentato un’efficace alternativa al carro corazzato. Il dibattito prosegue.

In merito alle Forze navali, va detto che all’inizio delle ostilità la superiorità russa appare totale. Mosca schiera un incrociatore lanciamissili classe “Slava”, il Moskva, due fregate classe “Krivak” e tre classe “Grigorovich”, oltre a sette sottomarini “Kilo” e 21 tra corvette e pattugliatori. Poco prima del 24 febbraio giungono a Sebastopoli anche ben sette unità anfibie, provenienti dalle flotte del Baltico e del Mar del Nord. In Crimea è presente l’810^ brigata di fanteria di Marina. L’Ucraina ha una fregata classe “Krivak”, immediatamente affondata (3 marzo), e altre 17 piccole unità di superficie. La fanteria di Marina va a integrare le Forze di terra.

Alla flotta russa vengono assegnate tre missioni: bloccare i porti avversari, contribuire alla campagna missilistica contro obiettivi in profondità e appoggiare le operazioni terrestri lungo le coste ucraine.

La prima fase dei combattimenti vede le unità russe assumere il controllo delle vie marittime e bloccare i porti ucraini. Viene poi occupato anche l’isolotto dei Serpenti, vicino alla frontiera tra Ucraina e Romania, importante perché al centro di un importante giacimento di gas sottomarino e eccellente punto di sorveglianza marittima dell’area prospicente l’Ucraina.

Il 28 febbraio la Turchia decide, in accordo con quanto previsto dal Trattato di Montreaux, di chiudere gli Stretti a tutte le navi militari. La flotta del Mar Nero è, quindi, isolata dal resto del mondo.

Il tempo passa ma, nonostante i circa 235 missili da crociera SS-N-30 “Kalibr” lanciati dalle navi, i russi non riescono a conquistare Odessa. Alla Marina russa manca, infatti, una reale capacità di assalto aereo dal mare e, comunque, il fallito attacco all’aeroporto di Kiev durante i primi giorni di guerra, con l’eliminazione dei reparti russi di Forze speciali, suggerisce prudenza. Neanche uno sbarco in forze appare attuabile, dato che la conformazione della costa non favorisce tali operazioni, gli accessi al porto di Odessa sono pesantemente minati e sulla costa ci sono buone batterie di artiglieria antinave. La Russia, quindi, rinuncia a condurre operazioni anfibie nel Mar Nero e la fanteria di Marina viene dirottata verso Mariupol e il Donbass. Le navi da sbarco vengono impiegate per il trasporto di materiale per i combattimenti.

Il 24 marzo il Saratov, classe “Alligator”, viene colpito da missili balistici OTR-21 “Tocha” e affondato. La forte esplosione, l’unità era carica di munizioni, danneggia gravemente anche altre due navi. Il 13 aprile viene affondato il Moskva, l’unità ammiraglia della flotta del Mar Nero. (leggi articolo “Implicazioni militari e geopolitiche dell’affondamento dell’incrociatore russo Moskva”) La perdita colpisce anche l’immaginario collettivo russo. Mosca decide quindi di attuare un blocco “a distanza” di sicurezza. Nessuna unità di valore si dovrà avvicinare a meno di 60 miglia dalle coste ucraine. Tuttavia, altre navi russe vengono affondate o gravemente danneggiate il 12 maggio (Vsevolod Bobrov) e il 17 giugno (Vasily Bekh). Perdite di naviglio ausiliario che non può essere rimpiazzato per via del blocco degli Stretti turchi. Il 30 giugno l’isola dei Serpenti è riconquistata da Kiev.

La recente evoluzione degli scontri ha visto le navi che erano basate a Sebastopoli spostarsi nel Mar d’Azov e, dopo il danneggiamento del ponte di collegamento con la Crimea, buona parte della flotta del Mar Nero si è diretta in mare aperto più a oriente.

Per quanto attiene alle Forze aeree, la rara e inefficace attività aerea russa non è riuscita ad annientare la difesa aerea ucraina. La campagna aerea è stata, quindi, effettuata prudentemente e con il ricorso a un massiccio impiego di missili. La mancata acquisizione della superiorità aerea da parte dei russi non permette di formulare alcuna ipotesi attendibile circa la reale efficacia della Forza armata.

Le vicende ucraine hanno anche sottolineato una volta di più l’efficacia della guerra informatica. In un mondo sempre più computerizzato, la possibilità di inserirsi e alterare i centri di controllo avversari rappresenta un’opportunità da cogliere. I sistemi operativi avversari, di comando e controllo o di gestione degli armamenti, rappresentano il bersaglio privilegiato degli hacker, ma gli attacchi cibernetici non si limitano al settore militare. I mezzi di trasporto ferroviario, i sistemi di controllo delle navi mercantili o dello spazio aereo, le reti di comunicazione sono obiettivi che permettono di creare confusione, di ritardare l’arrivo di truppe, mezzi e materiali sul campo di battaglia, sbilanciando l’andamento delle operazioni. Tuttavia, è stato osservato che gli effetti destabilizzanti di un attacco informatico non sono quasi mai decisivi sull’andamento complessivo dei combattimenti, ma presentano solo effetti temporanei. Anche in questo la guerra in Ucraina ha dato dei chiari segnali.

L’attacco alla rete ferroviaria ha solo temporaneamente ritardato l’arrivo di forze russe fresche sul campo di battaglia, dato che gli operatori sono passati alla guida manuale dei convogli. Gli strumenti di guerra informatica contano sulle vulnerabilità dell’avversario, che possono tuttavia essere sfruttate solo per breve tempo, giacché chi subisce un attacco è generalmente in grado di sviluppare rapidamente delle contromisure. Si stratta, quindi, di strumenti che generalmente non possono essere “provati” anzitempo, perché il tentativo di intromissione mette in allarme l’avversario, che si avvede della falla e provvede di conseguenza. Le logiche implicazioni sono che le reali capacità in questo settore sono per lo più sconosciute, proprio perché vengono normalmente impiegate una sola volta, al momento giusto per infliggere quanti più danni possibile all’avversario. È tuttavia indubitabile che le capacità informatiche siano ormai diventate un corollario insostituibile della guerra moderna, a supporto delle operazioni militari.

Aspetti geopolitici

L’invasione russa ha fatto emergere la profonda divisione tra i paesi asiatici. Da una parte ci sono le economie più avanzate della regione e la maggioranza dei membri dell’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico (ASEAN), che hanno fermamente condannato l’aggressione russa (alcune anche approvando sanzioni economiche, come Giappone, Taiwan, Corea del Sud e Singapore), mentre dall’altra ci sono paesi come il Vietnam, il Pakistan, lo Sri Lanka, che hanno optato per la neutralità insieme a India e Cina.

L'ex repubblica sovietica del Kazakistan, tradizionalmente alleata e profondamente dipendente dalla Russia, ha manifestato una forte distanza da Mosca e ha persino consentito una protesta filo-ucraina ad Almaty, la città più grande del paese. Come ha riferito NBC News, il paese ha anche negato l’invio di truppe in sostegno delle forze russe nell'operazione militare speciale in Ucraina.

Una divisione che ha sottolineato la differenza di valori tra democrazie e paesi autoritari e che prevedibilmente non mancherà di influire sulle future vicende asiatiche e dell’Indo-Pacifico. A partire dalla coesione del Quadrilateral Security Dialogue (QUAD), il foro di collaborazione tra Stati Uniti, Australia, Giappone e India. In particolare, il rifiuto indiano di condannare apertamente l’aggressione russa e di rivedere i termini della cooperazione di lungo termine con Mosca hanno creato malumori a Tokyo e generato dubbi circa la reale efficacia della collaborazione militare nel QUAD. Ciò ha fatto avviare una riflessione circa la possibilità di limitare la collaborazione al solo ambito economico. Pechino, da parte sua, sta cercando di stemperare i motivi di attrito con Nuova Delhi e, in tale ottica, il Ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha effettuato una visita non pianificata in India (24-25 marzo 2022).

L’incontro tra Putin e Xi Jinping a Samarcanda, in occasione della conferenza della Shangai Cooperation Organization (SCO) il 15 settembre, essendo il primo incontro ufficiale dopo l’inizio delle ostilità in Ucraina, ha rappresentato molto più della partecipazione a un evento. L’occasione ha permesso, infatti, di comprendere come Mosca sia sempre più dipendente da Pechino, a seguito dell’aggressione russa e della sua rottura con l’Occidente. Una dipendenza che sembra destinata ad accentuarsi ma che non appare come una biunivoca corrispondenza di amorosi sensi bensì una relazione nella quale una delle parti appare molto più forte dell’altra.

A far da sfondo, ma non poi tanto, una Cina che continua a muoversi con estrema cautela (significativa la citata astensione in ambito ONU) perché deve bilanciare i problemi interni e un’economia che non viaggia più a due cifre, mentre deve mantenere salde le relazioni con l’Occidente, che non sono di poco conto. Tuttavia, Xi Jinping non ha mancato di far comprendere, con lo stile sommesso proprio degli orientali, tutto la sua preoccupazione per la crisi ucraina, auspicando che le ostilità cessino quanto prima possibile. Egli ha anche rinnovato la promessa di “amicizia senza limiti” che, però, non è affatto apparsa incondizionata. Una cosa appare certa. La Guerra in Ucraina otterrà come risultato geopolitico un rafforzamento del fronte asiatico contrario a una Cina dominante nel continente. Con questa chiave di lettura la preoccupazione di Xi Jinping appare molto concreta.

L'invasione russa dell'Ucraina ha, infine, costretto a rivedere le teorie di lunga data sulle strategie di deterrenza in Europa, con tutte le implicazioni connesse.

Conclusioni

L'aggressione all’Ucraina è una flagrante violazione del diritto internazionale e della Carta delle Nazioni Unite. Si tratta di una guerra che ha aperto un capitolo particolarmente delicato e pericoloso nelle relazioni internazionali e che non mancherà di avere un impatto geopolitico negativo e inevitabili ricadute nell’economia globale. Il pretesto citato dal presidente Putin, prevenire il genocidio degli ucraini di lingua russa, appare pretestuoso alla maggior parte degli analisti e la presenza di neonazisti in Ucraina, sebbene reale, appare deliberatamente esagerata.

L’economia russa si è dimostrata oltremodo vulnerabile alle sanzioni occidentali. Ciò per due ragioni principali: la sua dipendenza dalle esportazioni di idrocarburi e altre materie prime e l’alto grado di integrazione nell’economia internazionale, che la Russia aveva raggiunto in trent’anni di fruttuose relazioni commerciali. Il primo si è rivelato un insanabile elemento di rigidità, mentre il secondo ha permesso notevoli guadagni e un recupero di immagine internazionale, ma la mancanza di congrui investimenti interni ha portato Mosca a dipendere fortemente dall’importazione di beni industriali avanzati, tecnologia e capitali finanziari esteri. Il livello di autarchia raggiunto dall’Unione Sovietica si basava, invece, su un’ampia zona economica esclusiva rappresentata dai paesi europei e centro asiatici membri del sistema sovietico.

In tale ambito, una graduale revoca delle sanzioni non può che essere legata all’inizio di un negoziato complessivo che regoli le questioni tra i contendenti, a partire dai problemi di sicurezza di ognuno, tenendo conto dei fattori geografici e demografici, per finire alla definizione delle rispettive capacità economiche e industriali, dalle quali dipendono anche quelle militari.

Sotto il profilo militare, ci sono voluti mesi perché il presidente Putin accumulasse più di 175.000 soldati russi sul confine ucraino. Ma da quando queste forze sono entrate in azione, l'esercito russo è passato da un fallimento logistico all'altro. Se non hai logistica, se non hai carburante, se non hai parti di ricambio, se non hai munizioni a sufficienza, i sofisticati sistemi d’arma diventano dei fermacarte e le truppe diventano accattoni che elemosinano un po’ di cibo.

Le Forze russe, inoltre, sono ormai esauste e la mobilitazione forzata di migliaia di soldati inesperti non migliora una situazione che appare disperata. Alcuni analisti parlano di impressionanti costi umani e di equipaggiamento, e addirittura di rifornimenti e munizioni che stanno finendo.

Non va, infine, sottovalutato il fattore umano. La Russia ha un esercito che, come consistenza, fa impallidire l'Ucraina e un bilancio della Difesa decisamente importante, ma i cittadini ucraini hanno condotto una campagna di resistenza che ha imposto un costo pesante alle forze russe, bloccando la loro marcia verso Kiev. Tutte le popolazioni che subiscono un’aggressione, infatti, vogliono resistere e questo dà loro una forza (anche morale) e delle motivazioni enormemente superiori a quelle degli aggressori.

Sotto il profilo internazionale, di fronte alla sostanziale paralisi delle Nazioni Unite, l'ordine mondiale è ora più che mai minacciato da ricatti, aggressioni armate e rischio di rappresaglie contro obbiettivi civili. La Russia oggi si trova in una posizione di sostanziale isolamento politico ed economico e, per acquisire ulteriori indispensabili armamenti, si è dovuta rivolgere a Corea del nord e Bielorussia, non proprio i primi della classe.

È indubbio, inoltre, come la decisione di Putin abbia cambiato irrevocabilmente la Russia, l'Ucraina, l’Europa e, più in generale, gli equilibri geopolitici mondiali. Il presidente russo, che aveva costruito gran parte della sua credibilità politica sulla stabilità e sul progresso economico, confrontando spesso il suo governo con quello dei turbolenti anni '90, oggi ha mostrato la sua natura più segreta, riuscendo a ricreare nel giro di poche settimane quella stessa instabilità che diceva di voler combattere. Maya Angelou1 ha affermato che, “…quando qualcuno mostra chi é, credetegli subito…”. Putin negli ultimi quindici anni ha ripetutamente mostrato chi é veramente. É colpa nostra non aver preso tempestivamente atto della sua natura.

L’aggressione russa contro l'Ucraina è, però soprattutto una tragedia umana. Molti ucraini hanno perso la vita, i loro cari, le case, il lavoro e le libertà a causa della guerra. E ciò non va dimenticato. Ma anche i ragazzi russi, molti dei quali si sono trasformati in crudeli assassini e torturatori, come dimostrerebbero le prove raccolte nei paesi e villaggi liberati. Ma sono principalmente ragazzi mandati a morire senza neanche sapere ciò che stavano facendo o perché.

Una tragedia che ha riportato l’Europa e il mondo al buio. Come diceva il grande Eduardo “…ha da passà ‘a nuttata…”, ma questa è una notte che ancora non è dato sapere quanto durerà.

1 Vero nome Marguerite Annie Johnson (St. Louis, 4 aprile 1928 – Winston-Salem, 28 maggio 2014), è stata una poetessa, attrice e ballerina statunitense.
Foto: MoD Federazione russa