La NATO fa 32

(di Renato Scarfi)
13/03/24

Giovedì 7 marzo la Svezia ha abbandonato la sua proverbiale neutralità, diventando il 32° membro della NATO. Lunedì 11 a Bruxelles si è tenuta la cerimonia formale di adesione, durante la quale è stata issata la bandiera nazionale svedese accanto alle altre 31 dei paesi membri della NATO.

Si tratta di un altro grande “successo” della politica estera di Mosca, la cui arroganza e aggressività ha fatto sì che Stoccolma (e prima di lei Helsinki, il 4 aprile 2023) abbandonasse la politica di neutralità che aveva sempre contraddistinto l’evoluto paese nordeuropeo.

Già si sentono i lamenti della propaganda del Cremlino, e dei tanti (troppi) simpatizzanti che accusano la NATO di allargarsi a est perché ostili a Mosca, dimenticando (sic!) che la crescita del numero dei membri della NATO continua ad avvenire principalmente per effetto della repulsione verso il regime di Mosca, così poco liberale che si vuole guadagnare spazio strategico aggredendo paesi indipendenti e, sul piano interno, incarcerando o uccidendo gli oppositori politici.

Ad ogni modo, è innegabile che, dagli anni ’90, alla base delle richieste di adesione alla NATO da parte dei paesi dell’ex Patto di Varsavia ci sia stato il timore che Mosca potesse tornare a costituire una minaccia per la loro indipendenza, raggiunta dopo anni di sofferto dominio. Una minaccia tutt’altro che inverosimile, dato che Mosca continuava a considerare i territori della ex-Unione Sovietica come parte della sua sfera di influenza, da sottomettere con le buone o con le cattive, come dimostra la guerra in Ucraina.

A quei paesi, che hanno abbracciato il sistema di vita occidentale, sottraendosi volontariamente ed entusiasticamente all’influenza russa, nell’ultimo anno si sono uniti anche due paesi storicamente neutrali, che avevano il timore che Putin potesse allargare le “operazioni speciali”, portando gli scontri militari sul loro territorio. È questo il reale motivo che ha oggi determinato uno scenario che fino a tre anni fa era inimmaginabile. Non è il confine della NATO che si è avvicinato a Mosca, è l’atteggiamento di Mosca che ha spinto quei paesi e quei governi a voltargli le spalle.

Ma quali sono le implicazioni di questa nuova adesione?

Effetti geopolitici e navali

Innanzitutto, salta immediatamente all’occhio che l’adesione della Svezia ha permesso la saldatura del blocco occidentale, il cui fianco orientale ora presenta una linea di confine terrestre ininterrotta di 1.340 km, che va dalle acque dei freddi mari del nord fino alle calde acque mediterranee del fronte sud.

La nuova linea di confine terrestre della NATO (Finlandia) si trova, inoltre, a pochissima distanza dal porto di Murmansk (foto), notoriamente sede dei sottomarini nucleari strategici russi. Una particolarità che non può non interessare i vertici militari e politici russi, per le intuibili implicazioni strategiche. Una particolarità che avrebbe forse dovuto suggerire ai russi di evitare di minacciare apertamente la Finlandia e la Svezia spingendole, di fatto, a lasciare la loro storica neutralità. Per effetto delle sue scelte, Mosca ha quindi accresciuto il peso navale dell’Alleanza nel Baltico, riducendo drasticamente i propri spazi di manovra in quelle acque.

L’adesione della Finlandia nel 2023 e della Svezia la scorsa settimana, oltre a rappresentare un indubbio rafforzamento degli effettivi della NATO (circa 980.000 militari complessivamente tra attivi e riserva) è anche un importante game changer sullo scacchiere politico, in quanto rappresenta un segnale di enorme valenza internazionale.

Con Finlandia e Svezia è stato, infatti, costituito un nuovo contesto geostrategico. Diversamente da tre anni fa, infatti, per effetto dell’approccio russo il Mar Baltico è oggi delimitato quasi interamente da paesi NATO con Stoccolma che porta, oltre all’esperienza e capacità della sua pluricentenaria Marina (fondata nel 1522), anche quattro porti: Göteborg, Stoccolma, Gävle e Luleå.

Non solo, a differenza dalle precedenti adesioni dei paesi ex-URSS, la Marina svedese non avrà bisogno di tempi lughi per rendere completamente compatibile le sue procedure con quelle NATO, dato che ha già ampiamente collaborato con le Marine occidentali, per esempio, durante l’operazione Atalanta e nella UNIFIL Maritime Task Force. La partecipazione a esercitazioni periodiche, come la BALTOPS e la NoCo (Northern Coasts), alle quali peraltro partecipa anche la Marina Militare, saranno prevedibilmente sufficienti per la completa integrazione con il dispositivo e le procedure NATO.

La nuova situazione venutasi a concretizzare nel Mar Baltico ha anche un particolare significato strategico, comportando anche la possibilità di condizionare eventuali traffici marittimi in caso di scontro aperto con la Russia, influendo sugli eventi terrestri. La guerra navale in Adriatico nel periodo 1915-1918 insegna. In tale ambito, l’isola svedese di Gotland rappresenta un importante punto di eventuale applicazione di strategie Anti Access/Area Denial (A2/AD). La creazione di una zona di interdizione imperniata sull’isola potrebbe, infatti, permettere il controllo dell’area centro-settentrionale del Baltico, compreso lo spazio aereo sovrastante e di far tempestivamente fronte a eventuali aggressioni provenienti dal territorio russo.

Sotto il profilo squisitamente tecnico-militare le capacità missilistiche delle unità di superficie svedesi, che si aggiungono a quelle già in dotazione alla NATO, e delle batterie posizionate a terra, in caso di necessità permetterebbero una efficace difesa antiaerea e una significativa capacità di risposta e di proiezione di forza, a fronte della minaccia rappresentata prevalentemente dai missili presenti a Kaliningrad.

In acque così confinate, la deterrenza antisommergibile ha elevata probabilità di raggiungere il proprio scopo, non permettendo ai mezzi subacquei di avere grandi spazi di manovra.

Tutto ciò ha anche rilevanza economica, dato che per la Svezia, la Finlandia, gli Stati Baltici e la Polonia il Mar Baltico rappresenta una via vitale per il trasporto marittimo, come è economicamente importante anche per la Russia, in quanto i porti di San Pietroburgo e di Kaliningrad sono i suoi principali porti commerciali del nord.

Implicazioni per il Mediterraneo e l’Unione Europea

Per distrarre l’attenzione dai porti di Kaliningrad e di San Pietroburgo, ormai strettamente osservati, l’impegno russo potrebbe ora ulteriormente concentrarsi sul Mediterraneo, fronte meridionale della NATO, che la Voenno Morskoj Flot (VMF) sta tentando di “russizzare” già da qualche tempo, occupando tutti gli spazi disponibili (leggi articolo “La nuova strategia marittima russa”).

L’esempio è costituito dal porto di Tartus (in Siria), passando dai porti libici e dalle collegate basi aeronavali, o attraverso collaborazioni con alcuni paesi della sponda sud o del Sudan, necessario per avere proiezione anche sul Mar Rosso e Suez. Una occupazione di spazi che permetterebbe a Mosca, se non adeguatamente controbilanciata, di poter recitare un ruolo significativo nelle questioni del Mediterraneo centrale (strategico per la vicinanza all’Italia e ai suoi interessi più diretti) e orientale (fondamentale per le enormi risorse energetiche che si celano ancora sotto il fondo marino).

In tale ambito, il graduale disingaggio avviato da Washington per un “pivot to Pacific” iniziato con l’era Obama, per effetto delle “operazioni speciali” di Putin è ora diventato una rimodulazione (e non una diminuzione) della presenza americana nel Mediterraneo dove, accanto alle Forze statunitensi, le Marine alleate (in particolar modo di Italia e Francia) sono oggi chiamate a fronteggiare con maggiore energia e determinazione le esuberanze russe e di tutti quei paesi che intenderebbero contrastare la libertà di navigazione e il libero sfruttamento delle risorse del bacino.

Tuttavia, a fronte di una crescita significativa di impegni e responsabilità sia in Mediterraneo che nel “fuori area” (vedi da ultimo il comando della missione Aspides), la consistenza del personale della Marina continua a vedere un divario con le altre Forze Armate, che è il più grande tra tutti i paesi occidentali. Al momento, infatti, per l’Esercito sono previsti circa 90.000 effettivi, per l’Aeronautica circa 40.000 mentre per la Marina meno di 29.000. Analoghe carenze si riscontrano nel settore del personale civile, necessario per tutte le attività di competenza nel campo logistico (arsenali, manutenzione tecnica, ecc…) e amministrativo. Un problema davvero sentito in ambito Forza Armatai, che è rimasta l’unica in ambito europeo ad avere dei numeri così bassi in percentuale rispetto alle altre Forze Armate.

Sotto il profilo politico-militare, spronata dalla minaccia russa l’Unione Europea si sta predisponendo affinché per il 2035 almeno il 65% degli armamenti europei sia prodotto da industrie dell’Unione. La proposta legislativa per il Programma Europeo per l’Industria della Difesa (EDIP - European Defence Industry Programme) è stato, quindi, presentato dalla Commissione Europea il 5 marzo. In sostanza, l’UE si sta dedicando a un adeguato rafforzamento del pilastro europeo dell’Alleanza Atlantica, senza perseguire obiettivi considerati per il momento troppo ambiziosi e fuori portata. In sostanza, il rafforzamento della cooperazione industriale è il punto di forza del progetto complessivo che dovrebbe portare, una volta a règime, a un significativo rafforzamento della capacità autonoma di interventi di gestione di crisi dell’UE nelle aree più vicine. Non solo, anche da sola l’UE dovrebbe in futuro essere in grado di affrontare una minaccia di tipo medio e convenzionale, a Lei direttamente rivolta. Ciò permetterà anche di evitare il “problema” della “anglosassonizzazione” del sistema NATO, facendo crescere la consapevolezza che l’Europa c’è.

Conclusioni

L’atteggiamento russo ha permesso alla NATO di ritrovare il senso della propria utilità, dopo un periodo di disorientamento che aveva fatto dichiarare ad alcuni esponenti politici europei che l’Alleanza sembrava cerebralmente morta. Putin ha, quindi, raggiunto questo grande risultato geopolitico, rinforzare un’Alleanza che sembrava mostrare segni di stanchezza, dopo la caduta del Muro e la dissoluzione dell’Unione Sovietica.

L’aggressione all’Ucraina da parte della Russia ha poi non solo rivitalizzato pienamente l’Organizzazione del Patto Atlantico, facendogli acquisire nuovi importanti membri, ma ha anche dato una forte spinta all’identità dell’Unione Europea.

Con il Baltico “controllato” dalla NATO l’area mediterranea, intesa nel senso più ampio, con tutte le sue derivazioni, è inoltre ancor più cruciale per l’equilibrio della regione euro-atlantica e accresce, quindi, la propria importanza per gli interessi geopolitici e strategici non solo nazionali ma anche dell’Alleanza e, più ampiamente, per quelli globali. Ciò sia per la presenza di aree instabili come il Medio Oriente, sia per la presenza di un significativo dispositivo aeronavale russo, sia perché in Mediterraneo circolano merci, si trovano enormi risorse energetiche e corrono importanti linee sottomarine di comunicazione informatica, che regolano l’economia mondiale.

Tuttavia, al fine di permettere alla Marina di assolvere compiutamente i compiti che il paese, l’UE, la NATO e l’ONU gli affidano, mantenendo il livello di ambizione nazionale politicamente determinato, sarà necessario più personale (complessivamente almeno 35.000 effettivi, ovvero 6.000 in più di quelli attualmente previsti), insieme all’indispensabile finanziamento di tutti i programmi navali attualmente previsti.

Non bisogna avere il timore di prendere iniziative e i decisori politici hanno il dovere di guardare lontano, oltre l’orizzonte dettato dalla semplice gestione del potere, troppo spesso limitato alle prossime elezioni.

È indispensabile cogliere l’attuale momento di accelerazione delle iniziative volte a raggiungere l’autonomia nel settore della Difesa. Accelerazione causata dalla spregiudicatezza e dalla violenza dimostrate da Mosca e autonomia indispensabile al fine di contrastare efficacemente le minacce che si profilano in Mediterraneo e sui mari del mondo allo scopo di colpire politicamente ed economicamente il nostro paese e i nostri alleati.

i Un problema che negli anni ’80 era stato affrontato con la cosiddetta “Legge Lagorio”, che programmava un tetto per la Marina di 40.000 effettivi.

Foto: Försvarsmakten / MoD Fed. Russa / Marina Militare /web