Piccole cause, grandi effetti - Canale di Sicilia, gennaio 1941

12/01/15

l 10 gennaio 1941 le torpediniere italiane Circe (capitano di corvetta Tommaso Ferrieri Caputi) e Vega (capitano di corvetta Giuseppe Fontana) avvistarono e attaccarono un convoglio inglese diretto da Gibilterra a Malta. La scorta avanzata britannica (3 incrociatori e 5 cacciatorpediniere) impegnò le navi italiane.

Anche se il primo a colpire fu il Vega, danneggiando l'incrociatore Bonaventure, lo scontro finì, inevitabilmente, 40 minuti dopo, con l'affondamento di quella silurante italiana (6 soli marinai superstiti) e il danneggiamento dell'unità gemella, riuscita a rientrare alla base.

D'altra parte, la questione dell'opportunità, o meno, di impegnare il nemico in ogni circostanza era già stata dibattuta, liberamente, sulla stampa italiana nel giugno 1940 in occasione dell'azione della torpediniera Calatafimi contro una divisione navale francese e fu chiusa, alla fine, con una secca sentenza emessa dallo Stato Maggiore della Regia Marina: la questione era etica, non tattica. Di conseguenza, nel corso di tutto il conflitto, ogni volta che si arrivò a uno scontro, non furono mai le unità di superficie italiane a ritirarsi per prime, qualunque fosse il rapporto di forze.

Quella storia di gennaio, però, non si esaurisce qui. Le navi britanniche attraversarono, dopo l'alba, quel preciso braccio di mare in quanto l'Ammiragliato a Londra aveva stabilito, il mese precedente, che era meglio evitare gli attacchi notturni delle siluranti italiane. La notte sul 28 novembre 1940, infatti, due siluri della torpediniera Calliope, lanciati nell'oscurità dopo aver silenziosamente risalito per mezz'ora una formazione avversaria senza farsi avvistare, avevano sfiorato la prora della grossa motonave New Zealand. Gli stessi inglesi avevano ricostruito soltanto qualche giorno dopo quello che era successo grazie a una decrittazione. Poiché l'ordine di grandezza apprezzato nel 1940 dagli inglesi in merito alla precisione dei bombardieri orizzontali italiani ammontava all'1%, la Royal Navy aveva deciso, come scrisse nel 1943 l'ammiraglio Sir Roger Keyes nel proprio libro "Operazioni combinate", di passare alla luce del giorno, potendosi così premunire rispetto alle siluranti avversarie. Sulla carta il ragionamento non faceva una grinza.

Peccato però che la formazione britannica, costretta ad accostare a sud in attesa che la scorta in avanguardia assolvesse il proprio compito contro le due torpediniere, finisse su uno sbarramento minato. Il cacciatorpediniere Gallant perse, in tal modo, la prora e, rimorchiato a Malta, fu poi radiato laggiù in quanto giudicato non riparabile. E uno.

Peccato (e due) che in quella stessa circostanza 3 bombardieri in picchiata Ju.87 Stuka della Regia Aeronautica danneggiassero l'incrociatore Southampton, trovato in pieno giorno, al limite dell'autonomia degli aerei, senza la protezione dell'oscurità (la nave inglese fu poi colpita, e questa volta affondata, il giorno dopo, da 35 Ju.87 della Luftwaffe).

Peccato (e tre) che sempre per lo stesso motivo 43 Ju.87 tedeschi sorprendessero, poco dopo mezzogiorno del 10, la portaerei inglese Illustrious, centrandola in pieno quattro volte. La nave, colpita una quinta volta nel pomeriggio da una formazione di 5 Ju.87 italiani, fu riparata negli Stati Uniti e non tornò in squadra fino al febbraio 1942.Peccato che anche le corazzate britanniche Warspite e Valiant lamentassero, quello stesso giorno, danni minori da schegge in seguito all'esplosione di oltre 80 ordigni da 500 e 1.000 kg sganciati da 36 bombardieri orizzontali He.111 e da 14 Ju.87 della Luftwaffe.

Questa dura esperienza confermò la non opportunità, per le unità maggiori della Royal Navy, di navigare nel Mediterraneo centrale (ossia nell'area dei nostri convogli con la Libia) già constatata sei mesi prima in occasione della battaglia di Punta Stilo. Quanto, infine, alla modesta precisione dei bombardieri orizzontali italiani (e come abbiamo visto, tedeschi) non era, in realtà, un mistero per nessuno. L'ammiraglio Alberto Lais, addetto navale a Washington, aveva avuto modo di leggere, infatti, il rapporto inglese dedicato agli attacchi aerei italiani di Punta Stilo dove si parlava, appunto, di un 1% di centri. Il documento britannico in parola (Summary of Bombing Attacks During Operation M.A.5) è risultato, dopo la guerra, identico a quello "trovato" da Lais sulla scrivania del Direttore del Bureau of Ships - Navy Department.

La morale di quanto sopra è sempre la stessa: bisogna battere il mare, sempre, in pace e in guerra. I risultati, alla lunga, non mancano mai e soltanto gli assenti hanno torto.

Fonte: Marina Militare