"Le navi da guerra non spuntano dal seno delle onde"

(di Federico Maiozzi)
08/11/22

Il tema dell’utilità morale e materiale degli studi storici va maneggiato con estrema cautela, anche perché nella realtà dei fatti le lezioni della storia vengono travisate, piuttosto che imparate.

Al netto di questa premessa da imprimersi a fuoco nella testa, esistono però momenti del passato che sembrano talmente tanto contemporanei che una breve analisi è d’obbligo, se non perché utile quanto meno perché il raffronto tra lo ieri e l’oggi si mostra ironico nella sua tragicità.

Nel rapporto qui riprodotto (documento in fondo alla pagina), risalente al novembre 1908, il viceconsole generale italiano a Budapest1, Carlo Durazzo, cita il discorso di qualche giorno precedente pronunciato dal ministro austro-ungarico della Marina, il “modenese” (di origini geografiche) Rodolfo Montecuccoli2, alle delegazioni ungheresi. Il ministro, forse preoccupato dal piano di riarmo italiano nel frattempo in atto, espone la necessità di maggiori e urgenti finanziamenti per il comparto navale della duplice monarchia, poiché, citandolo: “Le navi da guerra non spuntano dal seno delle onde”.

La battitura a macchina permette una facile lettura, e il tono del ministro è talmente chiaro da non necessitare di particolari spiegazioni. Si lascia così ai lettori l’analisi del testo in sé. Nelle righe seguenti, l’autore si limiterà dunque a qualche breve considerazione.

Che pensare?

Il pensiero è questione in parte soggettiva, ma saremo d’accordo in molti nel notare come nel mondo non ci sia mai tempo da perdere, anche quando si è in una situazione di tranquillità. Malgrado i toni di Montecuccoli, infatti, la marina austro-ungarica non versava in così terribili condizioni. Vi era una certa preoccupazione per il riarmo italiano, ma la reazione fu pronta e commisurata alle capacità dell’industria del paese. Le navi imperial-regie non nacquero dal seno delle onde, ma dai cantieri adriatici grazie a un piano ben pensato e ben eseguito3 4.

Le parole del ministro erano quindi un eccesso? Niente affatto. Citando di nuovo il modenese al servizio dell’imperatore, bisogna agire sempre tempestivamente e con una visione molto profonda nel tempo al fine di non offrire all’avversario “un vantaggio che nel momento critico sarebbe per noi irrimediabile”5.

Che dire?

All’autore viene da pensare alla situazione italiana e gli verrebbe da dire che dovremmo prendere esempio dalla decisione di Montecuccoli e darci al più presto uno strumento militare forte, ben finanziato e ben integrato con il mondo civile. Certo, l’Austria-Ungheria alla fine è stata distrutta dalla Prima guerra mondiale, ma ciò non è accaduto per via della sua marina rinnovata e capacissima di combattere contro tanti e variegati nemici6 7, ma per ben altre questioni, non ultime una politica estera quanto meno azzardata8.

Chi scrive – pur non avendo simpatie né idee nazionaliste e interrogandosi spesso sul significato della parola “madrepatria” - sogna dai tempi dell’adolescenza sempre più lontana che il proprio paese diventi un grande paese, comprendendo così le immense capacità di cui dispone e sia finalmente in grado di pretendere il rispetto che merita da qualsiasi entità, statale o non statale, da Ovest, Est, Nord o Sud.

Come in ogni paese sotto altrui tutela, tuttavia, la confusione culturale in Italia è tale che oggi come oggi è meglio non adoperarsi troppo per realizzare dei sogni ma piuttosto dire, o meglio, chiedersi più pragmaticamente: “quali conseguenze preferiamo: quelle dell’indipendenza – o almeno dell’autonomia – o quelle della tutela di terzi?”. Non è una domanda retorica e, per quanto sia chiaro quale opzione chi scrive ritenga auspicabile, è doveroso ammettere che non esistono risposte sbagliate. Ma una risposta urge.

Che fare?

Černyševskij e Lenin hanno titubato di fronte a questa domanda, dunque non è una questione facile. Nella versione cinematografica in italiano de “L’Uomo che volle farsi re”, per reagire a un momento di spaesamento Peachy Carneahan - Michael Caine dice a Sean Connery – Daniel Dravot: “Puliamoci la testa con una bella battaglia”.

Chi scrive consiglia prudenza su questo punto. Però la testa dobbiamo pulircela e anche in fretta, forse cominciando con un’assunzione di responsabilità.

1 L’ambasciata italiana presso la duplice monarchia rimase comunque sempre una sola, con sede a Vienna.

2 Per un quadro generale sul personaggio andrà più che bene la pagina in rete della Treccani MONTECUCCOLI DEGLI ERRI, Rodolfo in "Dizionario Biografico" (treccani.it).

3 Sull’argomento, tra i tanti testi, cfr: M. Vego, Austro-Hungarian Naval Policy, 1904-1914, Milton Park/Abingdon-on-Thames, 1996.

4 A titolo di cronaca che però potrebbe essere utile al lettore per un più facile orientamento, vi è da precisare che l’organizzazione delle forze armate austro-ungariche risultava a dir poco articolata. Semplificando si può riassumere la situazione nel modo che segue. Le forze navali erano tutte riunite nella Imperiale e Regia Marina, mentre quelle terrestri erano suddivise in tre forze con tre amministrazioni autonome, vale a dire: l’Esercito Comune, la Milizia Imperiale e Regia di Difesa Nazionale Austriaca e il Regio Esercito Ungherese. L’Esercito Comune e l’Imperiale e Regia Marina erano poi dotate dei loro rispettivi corpi aerei. Sull’organizzazione generale dell’impero, tra gli altri cfr.: M. P. Judson, The Austrian Empire. A New History, Cambridge US, 2016; su quella militare a ridosso degli anni trattati, tra gli altri cfr.: P. Jung, D. Pavlovic, The Austro-Hungarian Forces in World War I: 1914-16, Oxford, 2003.

5 Dal viceconsole generale C. Durazzo al ministro degli esteri T. Tittoni, rapporto n. 1822/168, Budapest, 3-11-1908. Conservato presso l’Archivio storico diplomatico del ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, fondo Affari Politici 1891-1916, serie P, busta n. 95.

6 Sull’argomento, facilmente reperibile in italiano cfr.: P. Halpern (aut.), A. De Toro (cur.), La grande guerra nel Mediterraneo, Gorizia, 2011.

7 Senza sarcasmo: pensate alle terrificanti conseguenze che avrebbero potuto patire gli austro-ungarici se non avessero nemmeno avuto delle forze armate solide. In questo caso lo sforzo di fantasia non è neppure così complesso, vista l’esperienza italiana post 10 giugno 1940.

8 Per una visione complessiva ben più esaustiva sul tema, cfr.: J. Mason, The Dissolution of the Austro-Hungarian Empire, 1867-1918, Milton Park, 2014.

Foto: web / autore