La battaglia di Caporetto non fu una disfatta

(di Federico Gozzi)
22/05/17

La Grande Guerra assume un ruolo fondamentale nella Storia d'Italia, poiché essa fu la prima vera difficoltà affrontata dall'intera Nazione dopo l'unificazione, contribuendo a saldare la neonata e fragile identità nazionale. Infatti l'ammassamento di uomini nei vari reparti militari, provenienti da ceti sociali e luoghi diversi, creò le condizioni per far sì che i soldati condividessero parte della propria cultura regionale con gli altri soldati, ponendo le basi per una coscienza nazionale più radicata.

L'Italia combatté il primo conflitto mondiale principalmente sul fronte delle Alpi Orientali contro l'Impero Asburgico, motivo per il quale fu chiamata anche “guerra bianca” riferendosi proprio alle cime innevate della zona. Fu uno scontro caratterizzato da una guerra di posizione, in uniformità con gli altri fronti in Europa, che subì ben pochi cambiamenti territoriali nei primi anni del conflitto (1915-1916).

Il vento cominciò a cambiare nel 1917. Con il fallimento della “Strafexpedition” (“Spedizione punitiva”) condotta dagli Austriaci alla fine del 1916 e delle due ultime offensive italiane nel 1917(decima e undicesima battaglia dell'Isonzo), si rese necessario, sia per gli Italiani, sia per gli Austriaci, produrre delle offensive che potessero smuovere lo statico fronte alpino.

L'Austria-Ungheria, quindi, ricevuti uomini e mezzi di supporto dall'alleato tedesco, iniziò i preparativi per un attacco volto a riconquistare i territori del Trentino (conquistati dagli Italiani nel 1916) e sfondare le linee nemiche, per provocare un collasso del Regio Esercito Italiano. Fu predisposto un piano che si articolava su 3 direttrici principali: un gruppo d'armata avrebbe puntato verso l'Alto Tagliamento, sfondando a Piezzo nei pressi di Caporetto; un altro avrebbe tentato di occupare la catena montuosa di Colovrat; mentre l'ultimo gruppo d'armata avrebbe tentato un massiccio assalto contro le linee difensive che tenevano la zona prossima a Cividale del Friuli, sfondando a Tolmino, con l'obiettivo di assumerne il controllo.

Secondo alcune fonti, il generale dello Stato Maggiore Italiano Luigi Cadorna (foto), era al corrente dell'ammassarsi di truppe e dei piani di battaglia nemici. Alla luce di questo, più avanti parleremo di come si potrebbe considerare la battaglia di Caporetto non una disfatta - come d'altronde è sempre stata definita - ma come una ritirata strategica e una situazione già prevista da Cadorna (tesi sostenuta da Tiziano Berté, autore del saggio “Caporetto: vittoria o sconfitta?” e curatore del Museo Storico Nazionale della guerra di Rovereto).

Il 23 ottobre, infatti, Cadorna scrisse al ministro della Guerra italiano che “l’offensiva si dovrebbe sviluppare […] con preponderanza di sforzo tra la conca di Plezzo e la testa di ponte di Tolmino“. Naturalmente il generale non era a conoscenza delle tattiche che avrebbe usato l'Esercito Asburgico il giorno successivo, come i bombardamenti con il gas tossico e l'uso degli assaltatori organizzati sul modello tedesco, ma certamente riuscì a prevedere con una precisione meccanica lo svolgimento delle prime fasi della battaglia. Il 24 Ottobre 1917 gli Austro-ungarici lanciarono la loro massiccia offensiva sulle linee Italiane. Il bombardamento iniziale fu intenso e venne seguito dall'attacco degli assaltatori. Lo sfondamento fu semplice poiché gli italiani erano disposti su tre linee difensive, ove nella prima erano ammassato il grosso delle truppe, mentre le altre due erano scarsamente difese.

Due giorni dopo, Cadorna ordinò di ripiegare oltre il Piave, per salvare il salvabile. Non tutti obbedirono agli ordini: la IV° Armata, al comando del generale Mario Nicolis di Robilant, la quale difendeva il settore delle Dolomiti, si rifiutò di ripiegare oltre la linea del Piave, e resistette per circa una settimana alle ondate nemiche, senza cedere terreno. Questo tentativo di resistere costò migliaia di vite all'Esercito Italiano che potevano essere risparmiate, poiché la II° e la III° Armata dovettero coprire la ritirata della IV°, rallentando i propri ripiegamenti e quindi dando occasione agli austriaci di attaccare e di infliggere ulteriori perdite al Regio Esercito. Il 3 novembre le forze degli Imperi Centrali erano riuscite ad arrivare in profondità nel territorio italiano. La loro avanzata, però, si bloccò il 12 novembre sulle sponde del Piave, ove gli Italiani avevano riorganizzato le forze e si erano trincerati.

Caporetto divenne con gli anni l'icona della sconfitta, la disfatta delle disfatte, proprio perché nonostante le perdite ridotte dei militari italiani, i profughi furono a milioni e il territorio perso era di almeno 200 km.

La precisione con cui Cadorna aveva previsto la battaglia, però, fa pensare a un tentativo ben preciso di ripiegare oltre il Piave per attestare una nuova linea difensiva. Scriveva durante la metà del 1916 al Primo Ministro Salandra: “Non è da escludersi che la necessità del ripiegamento dall’Isonzo si imponga […] per avvenimenti a noi sfavorevoli, inaspettatamente incalzanti […]. In simile frangente ritardare il ripiegamento potrebbe travolgere l’esercito in un rovescio irreparabile“.

Ciò rivela che l'intenzione di diminuire la linea del fronte era già presente nelle strategie di Cadorna. L'incalzante situazione politica in Russia, che si scaldava di giorno in giorno, rendeva ancor più necessario una nuova strategia difensiva che riuscisse a bloccare le nuove offensive austriache supportate anche dai reparti provenienti dall'Oriente.

Se osserviamo anche le perdite italiane, si può notare che si attestano sui 10.000 morti, un numero alquanto basso rispetto alle precedenti battaglie che avevano insanguinato il fronte alpino. Tuttavia, Caporetto fu parzialmente una vittoria tattica: i profughi, come già detto in precedenza, furono migliaia, se non milioni; numerosi Italiani furono fatti prigionieri dagli Austriaci; gli Austriaci avanzarono molto in profondità nel territorio Italiano.

Il fallimento di parte della ritirata va attribuita, prima che a Cadorna, al fanatismo di Robilant, all'incapacità tattiche di Badoglio (che lasciò il fianco scoperto agli Austriaci) e all'inefficienza di altri comandanti subalterni che permisero alle forze austro-ungariche di infliggere ulteriori perdite evitabilissime al Regio Esercito. Questo però non preclude che, con l'assenza della Battaglia di Caporetto e il trinceramento sul Piave, l'Italia non avrebbe mai vinto la Grande Guerra. Infatti, la battaglia del Solstizio fu vinta grazie proprio alla nuova attestazione dell'Esercito Italiano e all'accorciamento del fronte, ciò permise di respingere l'offensiva austriaca.

Sotto il comando del generale Armando Diaz, sostituto di Cadorna, il Regio Esercito attaccò le posizioni austriache nella Battaglia di Vittorio Veneto, vincendo la guerra e portando al collasso l'antico Impero degli Asburgo. La peggiore disfatta che si potesse immaginare creò le basi del trionfo.

(foto: web)