I cacciatorpediniere classe Poeti o Alfredo Oriani

(di Mario Veronesi)
25/02/17

La classe Alfredo Oriani, nota anche come classe Poeti, fu una classe di cacciatorpediniere, ordinati nel 1935, erano il miglioramento della precedente classe Maestrale, questi quattro caccia si differenziarono dai loro predecessori:

1) per la maggior potenza conseguita con più alta precisione, e più elevato grado di surriscaldamento del vapore

2) per il dislocamento, che fu aumentato di circa il 10% a nave scarica

3) per alcune sistemazioni interne dei macchinari ausiliari.

Per quanto due di esse non abbiano avuto che poco più di tre anni di attività, possiamo affermare che i tipi Oriani confermarono le ottime prestazioni dei loro predecessori. L’unica unità sopravvissuta alla guerra, l’Oriani venne ceduto in conto riparazioni alla Francia, risulta che abbia dato buona prova anche dopo il logorio dovuto alla guerra e all’offesa degli anni.

1) Alfredo Oriani (foto apertura), molto intensa fu la sua attività nel corso del secondo conflitto mondiale, nel 1940 partecipò alla battaglia di Punta Stilo, e nel 1941 ebbe un ruolo importante nel corso dello scontro di Capo Matapan. Danneggiato nel corso di questa battaglia, riuscì a raggiungere il porto di Augusta, sotto la scorta del Maestrale e del Libeccio. In seguito prese parte alla prima e alla seconda battaglia della Sirte e si distinse nella battaglia di Pantelleria. Alla data dell’armistizio l’Oriani si trasferì da La Spezia a Malta con le altre unità della squadra navale. Proseguendo l’attività in collaborazione con le forze navali inglesi. Dopo il 1945 svolse attività addestrativa di squadra, e l’8 agosto del 1948 venne ceduto alla Francia in conto riparazioni, ribattezzato D’Estaing.

2) Vincenzo Gioberti (foto a dx), nel corso del 1940 partecipò alla battaglia di Punta Stilo e di Capo Teulada. Insieme alle altre unità della 9° Squadriglia prese parte agli scontri di Gaudo e Matapan, scampando al disastro della 1° Divisione. La successiva attività del Gioberti consistette principalmente nella scorta convogli, ma prendendo parte anche agli scontri della Sirte (1941) e alla battaglia di mezzo agosto (1942). Il 17 agosto 1942 mentre scortava il piroscafo Pilo, fu mitragliato da aerei nemici con tale accanimento da rientrare in porto a Trapani con danni, morti e feriti. Il 9 agosto 1943 mentre con l’8° Divisione dirigeva da La Spezia a Genova, veniva silurato da sommergibile nemico affondando rapidamente.

3) Giosuè Carducci (foto a sx), nel 1940 l’unità prese parte alle battaglie di Punta Stilo, e di Capo Teulada. Il 28 marzo 1941 durante lo scontro di Capo Matapan fu sopraffatto dal fuoco della squadra inglese, mentre insieme con le altre unità della 9° Squadriglia tentava di soccorrere il Pola immobilizzato. L’unità venne finita dal cacciatorpediniere inglese Stuart.

4) Vittorio Alfieri, nel 1940 l’unità prese parte alle battaglie di Punta Stilo e di Capo Teulada. Il 28 marzo 1941 a Capo Matapan, venne colpito nel corso dell’azione notturna seguita al tentativo di soccorrere il Pola, inquadrata dal tiro nemico delle corazzate e dei caccia inglesi, l’Alfieri fece in tempo a sparare quattro salve con i cannoni di prora ed a lanciare due o tre siluri contro un Ct nemico. Il comandante C.V. Salvatore Toscano, dopo aver ordinato l’abbandono nave, affondò sul ponte di comando. Alla sua memoria venne conferita la M.O. V. M. La stessa decorazione fu conferita anche al capo servizio GN Cap. Giorgio Modugno.

Alfredo Oriani

Alfredo Oriani (1852-1909) poeta e scrittore, ebbe un’infanzia difficile, priva di quegli affetti che rendono serena e felice la vita di un bimbo, ed il ragazzo crebbe scontroso e solitario, rivelando più tardi queste sue caratteristiche anche nelle opere che cominciò a pubblicare a Roma. Da Roma passò a Bologna, a far pratica presso lo studio di un legale, nel frattempo la sua famiglia si era trasferita da Faenza a Casola, nella valle del Senio, dove possedeva una villa denominata: “Del Cardello”. In questa casa Oriani, trascorse interamente la sua esistenza. Passò dal romanzo ai trattati di politica e di storia e alle opere di teatro; poi tornò al romanzo. Uno dei suoi ultimi lavori fu “Bicicletta”, una raccolta di novelle. Ma la sua fama di scrittore è legata soprattutto alle opere di pubblicistica storica e politica, quali: “Fino a Dogali”, in cui analizzò le cause della crisi religiosa ed economica della nuova Italia; “La lotta politica in Italia”, che narra le vicende storiche italiane dal Medioevo al Risorgimento; “La rivolta ideale”, opera nella quale Oriani espone il suo credo politico affermando la necessità di uno stato forte, che regoli con ampi poteri la vita sociale. Quest’opera, come del resto molte altre, venne curata da Benito Mussolini che la strumentalizzò in favore del fascismo.

Vincenzo Gioberti

Vincenzo Gioberti (1801-1852), filosofo e politico, educato dai padri dell’Oratorio alla prospettiva del sacerdozio e ordinato nel 1825. All’inizio condusse una vita ritirata, ma gradualmente acquisì sempre più interesse negli affari del suo paese e nelle nuove idee politiche come nella letteratura. Parzialmente influenzato da Mazzini, la libertà italiana divenne per lui lo scopo principale nella vita, la sua emancipazione, non solo dai signori stranieri, ma anche da concetti reputati alieni al suo genio e sprezzanti della sua autorità europea. Questa autorità era associata nella sua mente alla supremazia papale, anche se in un modo più romanzato che politico. La sua popolarità e l’influenza in campo privato, tuttavia, erano ragioni sufficienti per il partito della corona per costringerlo all’esilio; non era uno di loro e non poteva dipendervi. Sapendo questo, si ritirò dal suo incarico nel 1833, ma fu improvvisamente arrestato con l’accusa di complotto e, dopo quattro mesi di carcere, fu bandito senza processo. Gioberti andò prima a Parigi e, un anno dopo, a Bruxelles dove vi restò fino al 1845 per insegnare filosofia e assistere un amico nella direzione di una scuola privata. Nonostante ciò trovò il tempo di scrivere diverse opere d’importanza filosofica con particolare riferimento al suo paese e alla sua posizione. Essendo stata dichiarata un’amnistia da Carlo Alberto nel 1846, Gioberti (che era di nuovo a Parigi) divenne libero di tornare in Italia, o meglio, nel Regno di Sardegna. Al suo ritorno a Torino il 29 aprile 1848 fu ricevuto con il più grande entusiasmo. Rifiutò la dignità di senatore che Carlo Alberto gli aveva offerto, preferendo rappresentare la sua città natale nella Camera dei deputati della quale fu presto eletto presidente. Per un breve periodo, ebbe un posto nel Consiglio dei Ministri, anche se senza portafoglio, ma un diverbio non tardò a venire e il suo trasferimento da Torino fu completato da un suo incarico in missione a Parigi, da cui non fece più ritorno. Rifiutò la pensione che gli era stata offerta e ogni promozione ecclesiastica, visse in povertà e passò il resto dei suoi giorni a Bruxelles. Morì improvvisamente di un colpo apoplettico il 26 ottobre 1852.

Giosuè Carducci

Giosuè Alessandro Michele Carducci (1835-1907) nacque in Versilia a Valdicastello, ma nel 1838 la famiglia si trasferì a Bolgheri, dove il padre, esercitava la professione di medico condotto. Nel 1849 la famiglia si stabilì a Firenze dove Giosuè compì gli studi presso gli Scolopi acquisendo una buona preparazione in campo letterario e retorico e, nel 1853, dopo aver vinto il concorso per un posto gratuito presso la Scuola Normale Superiore di Pisa, si iscrisse alla Facoltà di Lettere, dove nel 1856 conseguì la laurea in filosofia e filologia, e nello stesso anno pubblicò le sue prime poesie sul mensile “L’Arpa del popolo”. Nel 1862 entrò nella Massoneria come membro della “Loggia Severa” di Bologna, nel 1865 diverrà membro della “Loggia Felsinea”. Negli anni seguenti il poeta conquistò un posto centrale nella struttura ideologica e culturale dell’Italia umbertina, giungendo ad abbracciare le idee politiche di Francesco Crispi. Con decreto del 26 settembre 1860 venne incaricato dall'allora Ministro della Pubblica Istruzione Terenzio Mamiani Della Rovere a tenere la cattedra di Eloquenza Italiana, in seguito chiamata Letteratura Italiana presso l’Università di Bologna, dove rimarrà in carica fino al 1904. Nel 1890 venne nominato senatore e negli anni del suo mandato sostenne la politica di Crispi, che attuava un governo di stampo conservatore, anche dopo la sconfitta di Adua. Nel 1904 fu costretto a lasciare l’insegnamento per motivi di salute. Nel 1906 l’Accademia di Svezia gli conferì il Premio Nobel per la letteratura, fu il primo Nobel conferito ad un italiano con la motivazione: “Non solo in riconoscimento dei suoi profondi insegnamenti e ricerche critiche, ma su tutto un tributo all'energia creativa, alla purezza dello stile ed alla forza lirica che caratterizza il suo capolavoro di poetica”.

La morte (sotto forma di cirrosi epatica) lo colse a Bologna il 16 febbraio del 1907. È sepolto alla Certosa di Bologna

Vittorio Alfieri

Vittorio Amedeo Alfieri (1749-1803), nasce ad Asti nel 1749 da una delle più nobili e ricche famiglie piemontesi. Perduto a un anno il padre, fu affidato alla tutela di uno zio. Nel 1758 fu posto in collegio (accademia militare di Torino) e vi rimase fino al 1766. Qui veniva educata la gioventù nobile nelle scienze e negli esercizi cavallereschi, e in 9 anni si prendeva la laurea in legge. Morto lo zio tutore, l’Alfieri a 15 anni eredita il patrimonio di questi e del padre, divenendo ricchissimo. Appena poté uscire dall’accademia, si diede ai viaggi e alle dissolutezze (1766-72). In quegli anni percorse letteralmente tutta Europa, leggendo Montaigne, Montesquieu, Rousseau, Helvetius ecc., cioè quanto di meglio esprimeva la Francia di quel tempo. Il suo cosmopolitismo tuttavia non lasciò tracce profonde nella sua coscienza, se si esclude un particolare apprezzamento per la società inglese, di cui ammirava l’equilibrato governo costituzionale. I viaggi comunque gli servirono per maturare un atteggiamento critico verso il dispotismo illuminato di Austria, Prussia e Russia. A Firenze si lega con la moglie di un ex-pretendente al trono d’Inghilterra, per la quale decide di non muoversi più dalla città. Poiché le leggi piemontesi limitavano la libertà, ai nobili possessori di terre, fuori dello stato sabaudo, prende la decisione di donare tutti i suoi beni alla sorella, riservandosi in cambio un vitalizio annuale. Lo fece anche perché così non aveva più bisogno di chiedere al suo re ogni volta il consenso per uscire dallo stato e l’approvazione per ogni nuova opera da pubblicare. A Firenze (1792-1803) si chiude sempre di più in un odio feroce contro i francesi, specie durante le due occupazioni napoleoniche del 1799 e 1800. Dal 1789 al 1797 compone 17 satire, dal 1800 al 1802 le Commedie e infine il “Misogallo”, un violento libello contro la Francia. Muore a Firenze in solitudine nel 1803.