Classe Marconi, il tentativo di sottomarino nucleare italiano

(di Stefano Peverati)
06/10/21

Alla fine degli anni 50 molte nazioni sia dell’Europa occidentale che oltre Cortina di ferro stavano conducendo studi sull’energia nucleare finalizzata all’ampliamento dei propri arsenali bellici, il Governo di Roma era preoccupato dal dinamismo dimostrato da Bucarest e Belgrado tenendo costantemente monitorato l’istituto di ricerca di Vinca. Oltre a questo il ministro della difesa Andreotti sosteneva con forza la necessità di dotare la Marina Militare di sottomarini a propulsione nucleare da contrapporre agli ultimi modelli che i sovietici stavano mettendo in linea o ultimando.

Inoltre, sempre Andreotti riteneva lo sviluppo di un sottomarino nucleare d’attacco (SSN) un passaggio d’obbligo per poter poi successivamente arrivare alla costruzione di veri e propri sottomarini d’attacco armati con missili balistici (SSBN).

Si decise di sviluppare un battello fortemente ispirato agli studi sul battello sperimentale Albacore e simile alla classe Skipjack (foto apertura) caratterizzata dal design a goccia allungata, timoni posti sulla vela e di dimensioni contenute, soluzioni che le permettevano un buon grado di agilità oltre ad essere in grado di raggiungere la velocità di 30 nodi grazie alla spinta del reattore Westinghouse S5W.

A seguito dell’approvazione da parte del governo Segni la costruzione del Guglielmo Marconi venne affidata ai cantieri navali Tosi di Taranto mentre il Centro Applicazioni Militari Energia Nucleare (CAMEN) avrebbe dovuto occuparsi del reattore, ma il cambio di amministrazione statunitense e la posizione ritenuta non troppo “strong on communism” di Roma portarono nel luglio 1963 al rifiuto di Washington al trasferimento di materiali e know-how fondamentali per lo sviluppo di tale tecnologia facendo scemare l’interesse per i sottomarini nucleari anche se la parentesi si è definitivamente chiusa solo con l’adesione al patto di non proliferazione nucleare, perché una possibilità di SSN era ancora aperta e il CAMEN di S.Piero a Grado continuò ad essere operativo fino alla chiusura delle centrali nucleari in Italia negli anni 80.

Parallelamente la Marina Militare con il Programma 58 disponeva la produzione dei quattro battelli della classe Toti (foto), moderni sottomarini con i quali sostituire i vecchi sommergibili Giada, Vortice ed il ricostruito Calvi (ex Bario) oltre ad affiancare gli ex statunitensi classi Gato e Balao aggiornati allo standard Guppy (Greater Underwater Propulsive Power Program).

I Toti rappresentavano i primi mezzi subacquei di produzione nazionale del dopoguerra ed andarono a costituire la punta di diamante dei “delfini” fino alla fine degli anni 80, questi battelli vennero via via affiancati da altri battelli ex U.S. Navy delle classi Tench e Tang consegnati nell’ambito della Mutual Defense Assistance Programme all’inizio degli anni 70. La graduale obsolescenza dei primi battelli americani e terminati i primi 4 Toti, preso atto che non ci sarebbero stati SNN, i vertici della componente sottomarina dovevano scegliere tra un Toti allungato o un battello nuovo per rinnovare la componente. Scelsero il nuovo che divenne poi la classe Sauro che gradualmente tra il 1980 e il 1989 entrò in servizio con le sue prime tre serie.

Dopo l’annullamento del fallimentare Progetto S90 si scelse di migliorare i Sauro, impostando la 4° serie della classe Sauro per compensare l’invecchiamento dei Toti, ma risultava necessario dotarsi di moderni battelli dotati di tecnologia AIP (Air Independent Propulsion) e dopo il fallimento della ditta Maritalia, che doveva produrre il Motore diesel a ciclo chiuso ovvero indipendente dall’aria, l’Italia aderì nel 1994 al German Submarine Consortium per lo sviluppo di una nuova classe di battelli denominata Type 212A intervenendo sul progetto iniziale con importanti migliorie.

Questi battelli ribattezzati in patria come classe Todaro (foto seguente) presentano importanti caratteristiche a partire dallo scafo in materiale amagnetico, accorgimenti del design volti a ridurre la segnatura acustica e celle a combustile per produrre energia dalla reazione tra idrogeno e ossigeno garantendo un notevole aumento del tempo di immersione rispetto ai precedenti battelli.

Il capoclasse Salvatore Todaro (S-526) è entrato ufficialmente in servizio a inizio 2006 seguito l’anno successivo dal gemello Scirè (S-527) e fin da subito sono stati impiegati in importanti missioni addestrative (Joint Task Force Exercise) accanto ai sottomarini nucleari della U.S. Navy dopo aver percorso le 15.000 miglia nell’Atlantico riuscendo in una di queste simulazioni il 27 luglio 2008 ad “affondare” la USS Roosevelt (CVN-71). Sempre nello stesso periodo venne esercitata l’opzione sui due battelli della seconda serie (Venuti e Romei) entrati in servizio esattamente dieci anni dopo i primi due battelli presentando già alcune piccole migliorie alla sensoristica, un aumento dell’autonomia.

La necessita della Marina Militare di sostituire gli ultimi quattro classe Sauro ha portato allo sviluppo di una nuova versione dello U 212A denominata Near Future Submarine, la quale presenterà uno scafo leggermente allungato rispetto la versione U 212A, nuove batterie agli ioni di litio in grado di consentire maggiori prestazioni e autonomia, apparati elettronici di ultima generazione che consentiranno una riduzione dell’equipaggio a 29 unità ed infine la possibilità di essere armati con missili da crociera conferendo loro la capacità deep strike.

Guardando al futuro, quando verrà il momento di sostituire la prima serie degli U 212A concettualmente sarebbe da ispirarsi a un battello con le stesse caratteristiche dell’U 212NFS ma di maggiori dimensioni in modo da poter ospitare almeno 6 vls come nel progetto classe Dosan Ahi Changho derivato dalla classe Sohn Won-yil (Type 214). Poiché negli scenari nella quale si trova e si troverà ad operare la Marina Militare del futuro oltre ai tradizionali ruoli i “delfini” andranno a costituire la punta di diamante delle capacità offensive della forza armata potendo lanciare missili da crociera o, come già fanno, fungere da vettore per l’inserimento di nuclei del Gruppo Operativo Incursori trasportando i relativi mezzi di supporto.

A questi compiti si aggiungono compiti che alle volte rimangono distanti dalla comune percezione dei problemi e delle priorità, quali la capacità di deterrenza e sicurezza nei bacini marittimi d’interesse nazionale e le collegate infrastrutture critiche che si sviluppano lungo i fondali marini.

In questo ambito si avverte già l’orientamento della Marina Militare verso ROV e AUV per l’espletamento di questa funzione e una capacità di ricovero di diversi mezzi unmanned.

In conclusione, dopo aver ripercorso velocemente la storia dei sottomarini italiani del periodo post bellico, si può comprendere perché la Marina Militare - in virtù della posizione geografica e (dell'attuale e limitata, ndd) visione strategica - al momento non necessiti di battelli a propulsione nucleare.

Cosa diversa è per le grandi nazioni che si affacciano sulla vastità degli oceani con immense zone economiche esclusive anche lontane dalla madrepatria che per la sorveglianza delle quali sono richieste altre tecnologie che però non tutti sono in grado di sviluppare o per lo meno richiedono elevati trasferimenti di tecnologie. Non per nulla le nazioni ad avere in linea sottomarini nucleari sono le nazioni vincitrici della seconda guerra mondiale (Stati Uniti, Regno Unito, Russia, Cina e Francia) presenti sia nella versione da attacco (SSN) che vettore di missili balistici (SSBN), a questo ristretto club si aggiungono poi India, Brasile e nei prossimi anni in virtù dei recenti accordi AUKUS anche l’Australia.

A queste nazioni si aggiungono Pakistan, Israele, Corea del Nord e Corea del Sud che pur non possedendo battelli a propulsione nucleare sono in grado di lanciare missili dai loro sottomarini armati con testate nucleari.

Foto: U.S. Navy / Marina Militare