Centrifuga sovietica: i personaggi partoriti dal declino e dal crollo dell’URSS

(di Andrea Forte)
19/08/21

Se si cambia missione all’impero, l’impero si perde. Se poi neppure ci si accorge di farlo, allora non solo lo si perde, lo si uccide. Applicato all’Urss, per avere questo frutto, serve la semina e, per essa, il contadino. Il contadino è Gorbaciov (del resto prese la laurea in economia agraria e divenne ministro dell’agricoltura), a capo dell’Urss dal 1985 al 1991, i semi sono la glasnost (trasparenza), la perestrojka (ricostruzione) e l’uskorenia (maggiore produzione). Gorbaciov immagina siano i bulloni di una revisione meccanica, invece sono i simboli di una nuova, ma mortale missione.

I futuri oligarchi, che emergeranno da queste trasformazioni, agiscono in due tempi, prima approfittando delle fallimentari riforme economiche dei secondi anni 80, poi approfittando della necessità di capitali dei nuovi stati post sovietici.

Nella prima fase lo stato sovietico dà la possibilità di aprire un conto in banca e di avviare un’impresa. Per guadagnare, senza base di partenza, gli oligarchi (che non nascono tali) devono speculare, più che investire.

Nella seconda fase, gli anni novanta, i nuovi stati nazionali, rimasti proprietari dei giganti statali, gestori delle materie prime (gas, petrolio, metalli etc…), mancano però di denaro nelle casse pubbliche. Ciò induce ad esempio la Russia di Eltsin a chiedere prestiti alle banche (in mano agli oligarchi) che, in cambio, ottengono in garanzia le azioni di quelle aziende, sapendo che i debiti non sarebbero stati saldati, ergo impadronendosi delle materie prime del Paese. I proventi delle immense risorse sarebbero state poi reinvestite, magari nei media per condizionare i politici e l’opinione pubblica, o trasferito all’estero.

Boris Berezovskjij, uno di loro, a proposito di questa nuova classe elitaria, parlò di semibankirschina (sette banchieri) riecheggiando i semiboyarschina (i sette boiardi del '600). E in effetti obiettivo non è tanto il potere politico diretto, ma il potere reale, che solo le materie prime in quel contesto danno.

Per questi personaggi il putsch del 1991 è solo un acceleratore di tendenza, che porta alla seconda fase dei loro imperi economici. Ne sono a favore economicamente. Tra i più rappresentativi in tal senso è Michail Chodorkovskyij (foto). Questi approfitta nel 1987 dell’apertura da parte del PCUS del Centro internazionale giovanile per la creatività scientifica e tecnologica, di cui assume la direzione locale di Frunze. Nel 1988 diventa una banca (la Menatep), con cui si occupa di investimenti dal 1990. Con essa acquista alcuni media e infine ottiene la Jukos, secondo produttore del petrolio russo, tramite azioni acquisite con prestiti. Lui però ha in mente di più, fare una multinazionale con profitti da portare all’estero e far partecipare al gioco anche azionisti americani, creando un nuovo potere dentro la Russia, ma potenzialmente antirusso. Troppo, finirà come molti oligarchi, processato per accuse politicamente viziate e reso inoffensivo.

Ugualmente, German Sterligov, che comincia affittando (senza averne la proprietà) gli spazi delle stazioni cittadine ad artisti per i loro concerti (ma gli incassi vanno a lui e gli affitti non li paga) È il 1988, investe quei fondi nella borsa da lui stesso creata (senza regole, tutti possono essere creatori). Durante il colpo di stato è a New York e, di fronte ad obbligazioni russe ridotte a zero valore dalla notizia del golpe, decide di acquisirle, dicendo letteralmente che in tre giorni sarebbe finito tutto. Così è, il prezzo risale e le rivende al mille per cento.

Roman Abramovich inizia facendo bambole (società Ujut), grazie alla nuova libertà di impresa. Con il golpe e le svendite dei giganti statali, nel 1995 acquisisce parte della Sibneft, colosso petrolifero, insieme a Berezovskij.

Le limitate aperture di Gorbaciov con l’estero permettono ad Artem Tarasov di comprare i dollari dalle prostitute, con cui acquistare pc all’estero e rivenderli in patria a 35 volte il prezzo, sfruttando la differenza di valore monetario e la cronica mancanza di pc delle amministrazioni.

Il colpo di stato fa da spartiacque anche per i militari. Il loro atteggiamento deciderà almeno in parte delle loro carriere. Anche se alcuni si schiereranno contro e altri a favore, per entrambi si tratta comunque di difendere il sistema. Gorbaciov ha avviato una trasformazione dell’ordine, se così si può dire, ma ad alcuni, che vedono più la trasformazione che l’ordine, la cosa preoccupa e agiscono, altri, che vedono comunque in lui l’ordine legittimo che decide, lo difendono. Si tratta di un apparato e come tale tendente, anche solo per inerzia, alla difesa dello status quo, sono solo divisi su cosa lo difenda meglio, Gorbaciov o un colpo di stato.

In particolare, durante il golpe troviamo il maresciallo, l’ultimo dell’Urss, Evgenij Saposnikov, comandante in capo dell’aeronautica, che si oppone allo schieramento delle truppe antigovernative e al Comitato statale per lo stato di emergenza (GKCP, i golpisti). È addirittura a favore dello scioglimento dell’URSS stessa. Continuerà, nel dopo Urss russo, a occuparsi di commercio di armi, e di aviazione, per poi morire di COVID lo scorso anno.

Quei giorni ci sono anche altri comandanti, ad esempio Pavel Grachev, durante il putsch è comandante dell’esercito di aviosbarco. La sua contrarietà al golpe emergerà soltanto dopo aver prima schierato i suoi a Mosca, per poi passare dalla parte di Eltsin. Diventerà ministro della difesa della Federazione russa dal 1992 al 1996 e dovrà perciò gestire, accusato di averlo fatto male, il primo conflitto in Cecenia, e il ritiro definitivo delle truppe sovietiche dall'Europa centro-orientale. Dovrà occuparsi dei disordini del 1993 a Mosca, ma soprattutto ha il compito di evitare sia il disfacimento che la privatizzazione delle forze armate, dopo il crollo dell’Unione Sovietica.

Contro il golpe è anche Yuri Maximov, comandante delle forze missilistiche dal 1985, in quanto vice ministro della Difesa. Per tale posizione e per la sua professionalità divenne poi comandante delle forze strategiche deterrenti della comunità degli stati indipendenti, dopo la fine dell’URSS, ma si dimise di sua volontà nel 1993.

Victor Karpukhin era un generale comandante del gruppo Alpha (Kgb) durante il colpo di Stato, successivamente raggiungerà il presidente del Kazakistan Nazarbayev, come capo dei suoi servizi di sicurezza e rimarrà infine come privato a occuparsi di sicurezza aziendale.

Ovviamente il tentato colpo di Stato accelera l'idea che anche il KGB debba cambiare. Viene immediatamente nominato il 29 agosto Vadim Backatin, come suo ultimo direttore generale. Era già stato ministro degli interni, il suo compito è depotenziare il KGB, fino allo scioglimento, e per questo verrà accusato di tradimento.

Del KGB faceva parte al momento del golpe l’attuale presidente della Federazione russa, Vladimir Putin. All’epoca è a San Pietroburgo con il grado di tenente colonnello, ma si dimette il 20 agosto. Probabilmente dimissioni tattiche, una deception. Del resto le idee di conservazione della potenza alla base dell’Urss, più che il comunismo, sono la vera radice ideologica del fu KGB e dei putschisti, idee condivise da chi considera il crollo dell’URSS “la più grande catastrofe geopolitica del ventesimo secolo”.

Collegato al KGB, grazie ai suoi studi orientali, con il nome di copertura MAKSIM sarà il futuro politico Evgenji Primakov. Dal 1989 è presidente del Soviet dell’Unione, una delle due camere del Parlamento sovietico, fino a diventare uno dei consiglieri di Gorbaciov. Si rifiuterà di appoggiare il golpe, rimanendo quindi nel KGB come leale primo vicepresidente del servizio e direttore del suo servizio segreto estero fino al 1996, quando la sua carriera politica decolla. Prima ministro degli esteri e autore della Dottrina Primakov, cioè l’idea che la Russia non debba smettere di generare influenza, almeno in Medio Oriente e nell’ex spazio asiatico-sovietico, ma dovrà farlo a basso costo. Pur ostile alla Nato, è tanto pragmatico da firmare con il segretario di questa Solana, nel 1997, l’Atto fondativo delle Relazioni Reciproche, Cooperazione e Sicurezza (per tanti è la firma ufficiale alla fine della Guerra fredda). Sarà sua l’idea
di un triangolo strategico con Cina e India in senso antiamericano. È con questa forte coscienza della Russia, che culminerà la carriera con la carica di primo ministro fino al 1999.

L’Urss è un mondo di repubbliche e, come tale, in un’epoca di rinnovato nazionalismo, non tutte guardano al colpo di Stato con disapprovazione. Tra le personalità più in vista e che avranno un ruolo dopo la distruzione dell'Urss c’è il georgiano Eduard Shevardnadze. Era stato ministro degli esteri con Gorbaciov e in tale ruolo aveva partecipato alla diplomazia del disarmo con gli Stati Uniti e alla gestione della fine della guerra in Afghanistan. La sua idea è sintetizzata nella dottrina Sinatra, dalla canzone my way di Frank Sinatra, cioè l’idea di non ingerire più degli affari interni degli stati dell’est, del Patto di Varsavia. Dimessosi per dissenso economico, avvertirà però Gorbaciov sulla possibilità di una dittatura, e tornerà dopo il golpe. Approfitterà, dopo la fine sovietica, del colpo di Stato in Georgia, per associarsi poi ai golpisti e governare fino al 2003.

Ad essere contrario, almeno a suo dire, allo scioglimento dell’Urss, è Alexandr Lukashenko, dal 1985 direttore di un kolchoz, una fattoria collettiva, nel 1990 diventa deputato del soviet bielorusso e fonda il partito comunista per la democrazia per fare dell’Urss una vera democrazia comunista. È tuttora presidente autoritario della Bielorussia.

Fondamentale fra le figure politiche al momento del golpe è Nursultan Nazarbayev, presidente della RSS del Kazakistan. Esita a esprimere un giudizio sul golpe, almeno il primo giorno, sarà contrario dal secondo, convinto che le indipendenze sarebbero, almeno per il suo Paese, un suicidio economico. Riuscirà a rendere il Kazakistan perno di un’idea di blocco turco da contrapporre al blocco slavo di Russia, Ucraina e Bielorussia, per farsi includere nella definizione dello scioglimento dell'Urss e nella nuova associazione delle repubbliche ex sovietiche, confluite poi nella comunità degli stati indipendenti (CSI).

In Azerbaigian si affermerà, grazie alla spinta nazionalista, la figura di Heidar Aliyev, già vice primo ministro dell'Urss con Andropov, è il primo membro del politburo sia turco che musulmano. Sarà Gorbaciov a dimetterlo come simbolo della corruzione brezhneviana, ed è questo che lo porterà a riciclarsi come nazionalista. Verrà eletto presidente nel 1993 dai golpisti del suo Paese, che governerà fino al 2003.

Più importante è ciò che accade in Ucraina. Al momento del colpo di Stato il presidente Leonid Kravcuk è assolutamente favorevole a un’indipendenza del suo Paese. È presidente del Soviet supremo ucraino quando rifiuta di approvare lo stato di emergenza caldeggiato dal GKCP.

Verrà sostituito da Leonid Kuchma, ex direttore, nell'Unione Sovietica, di una fabbrica di armamenti a Dnipropetrovsk. Questi riuscirà a dare la cifra alla nuova Ucraina con moneta, costituzione e soprattutto con il consolidamento di un mondo oligarchico locale. Soprattutto gestirà le contraddizioni della memoria identitaria ucraina, non scegliendo né tra i partigiani rossi che avevano sconfitto il nazismo né fra i partigiani nazionalisti che lo avevano aiutato.

Discepolo non all’altezza di tale ambiguità sarà Viktor Janukovych, ex manager rosso dei trasporti ucraini, premerà sulle divisioni tra russofoni e ucrainofoni filo occidentali pur di raggiungere la carica presidenziale (durano e generano conflitti tutt’oggi). Riesce a diventare presidente ucraino, ma nel 2014 deve fuggire in Russia. Verrà condannato per alto tradimento a Kiev, dopo la perdita della Crimea.

Al colpo di Stato guarda anche il patriarca di Mosca Alessio II. Lui sarebbe contrario all’idea di un’interferenza dei religiosi in politica, ma deciderà di appoggiare Eltsin durante i giorni del golpe. Sotto l’Urss, di cui tra l'altro aveva riconosciuto in un certo senso la capacità di intercettare in alcune fasi le necessità imperiali del mondo russo, declinate da un punto di vista religioso come resistenza al proselitismo cattolico, portò avanti un prudente pragmatismo. Il suo crollo non ne modifica la sincerità dell’atteggiamento precedente, la difesa del mondo ortodosso da altre influenze religiose.

In sostanza si può dire che il fallito colpo di Stato dell’agosto del 1991 accelera dinamiche e protagonisti. È la porta da cui il mondo nuovo riesce a entrare più velocemente.

Foto: PressCenter of Mikhail Khodorkovsky and Platon Lebedev