Pakistan, l'esercito non gioca a cricket

(di Gino Lanzara)
04/06/22

Il conflitto ucraino non ferma le relazioni internazionali, quanto mai avvinte tra di loro da una globalizzazione capace di oltrepassare ogni confine, ed in grado di rendere precaria qualsiasi forma di equilibrio di potere, inteso quale ordine riconosciuto e legittimo; un’arte di governo che dovrebbe considerare la relazione (mancante) tra forza ed etica, evidenziata dagli eventi russo ucraini, e riscontrabile in Asia.

Non c’è dubbio che in Pakistan gli e/orrori americani abbiano favorito l’Islam politico, introdotto dal generale Zia ul Haq ed enfatizzato dal jihād contro gli invasori sovietici in Afghanistan, circostanza in cui Islamabad ha giocato un ruolo di primo piano nel canalizzare le risorse provenienti da Usa e Arabia Saudita, ospitando la resistenza dei mujāhidīn e venendo così percepita prima come valido partner contro il terrorismo globale e transfrontaliero importato da Kabul, poi quale pericolo globale dovuto all’arsenale nucleare e ad un lievitante estremismo religioso sostenuto dalla retorica anti occidentale di Imran Khan (foto), secondo un principio di disfunzionalità che minaccia sia l’ambito politico interno sia quello regionale.

Non è un mistero che nel Paese dei Puri le crisi abbiano spesso condotto alla morte violenta dei leader, in un’alternanza di colpi di Stato militari e di periodici ritorni a parvenze democratiche, con il controllo militare su economia e classi industriali e latifondiste, con il mantenimento di uno status quo socio-economico feudale in cui i movimenti fondamentalisti, inizialmente protetti proprio dai militari, i veri grandi elettori pakistani1, hanno trovato un’ambientazione perfetta anche nelle provincie più laiche.

L’attrito tra i poteri politico-dinastico-familiare, militare-politico, estremista-religioso2 continua ad impedire la formazione di uno Stato moderno che rifugga dalla sindrome di annientamento imminente, ed incentiva l’onnipresenza delle Forze Armate; non a caso l’accordo con l’India per un cessate il fuoco sulla linea del Kashmir, ha corso parallelamente con la visione economico-strategica proposta dal capo di stato maggiore dell’Esercito, generale Bajwa, che non può prescindere né dalla pace con New Delhi né da una cooperazione bilaterale con gli USA fondata su scambi commerciali, né dalla considerazione dell’instabilità proveniente da Afghanistan, Belucistan e Sindh, con Kabul che rimane vitale in termini di profondità strategica poiché in grado di garantire sicurezza retrostante in caso di guerra con l’India. Bajwa ha trattato di politica estera da statista, richiamando così l’attenzione su quale sia l’istituzione pakistana che batte il ritmo.

Le ultime settimane hanno contribuito ad incrementare lo stato magmatico della politica pakistana, con la formazione di un nuovo governo nato dalle ceneri di quello presieduto da Imran Khan, un benestante a suo tempo nazionale di cricket ed ora costretto, primo premier pakistano, alle dimissioni dal voto di sfiducia parlamentare per i pessimi risultati economici ed in politica estera: una sorta di soft coup d'etat meditato.

Khan si è basato su di un programma populista che, pur non rinunciando alla rappresentanza elettiva, intendeva compendiare valori islamici, economia liberale, un sistema giudiziario indipendente, antimilitarismo, ed a cui è mancata solo la lotta per il coronamento dell’amore fraterno nel mondo.

Il Pakistan è in crisi economica e politica, ed il nuovo esecutivo di Shahbaz Sharif, bisognoso del supporto politico del presidente Biden prima delle elezioni, è in paralisi decisionale, attaccato da Khan che, pur eletto in odore di brogli elettorali, ne contesta la legittimità; Khan che è contrastato da un lato dall’attuale maggioranza che apertamente gli attribuisce una governance economica fallimentare, e dall’altro dal management di Forza Armata che pure, a suo tempo, ne avevano agevolato l’ascesa ma che, alla luce dei suoi tentativi di creare punti di faglia al loro interno, non gli hanno perdonato il rifiutato trasferimento del responsabile dell'Inter Services Intelligence (ISI), il generale Faiz Hameed, per il quale lo stato maggiore aveva già deciso un diverso impiego, non certo al posto del capo di stato maggiore Bajwa.

Una volta perso il sostegno delle Forze Armate l’Esercito, vicino alle posizioni americane sul conflitto ucraino, nella sua neutralità, ha concesso acqua di manovra all'opposizione, forte peraltro del supporto di due partiti già alleati di Khan e passati dall’altra parte della barricata. Per uscire dall’impasse Khan, da brillante gaffeur3 qual è sempre stato, tentando senza successo di sciogliere il Parlamento, da un lato ha agitato apertamente lo spauracchio della teoria, non suffragata da prove ma alimentata da brezze cinesi, del complotto americano desideroso di un regime change, e dall’altro ha velatamente indicato i militari quali responsabili della sua caduta. Come? Sventolando un cablogramma diplomatico trasformato in missiva degna dei fratelli Capone (…noi, gli Americani, siamo qui a dirvi che ve ne dovete andare.;:). Vale la pena rammentare che il responsabile per la comunicazione dell’Esercito, maggior generale Babar Iftekhar, ha esortato Khan a non ripetere in pubblico l’accusa di cospirazione, e che il capo di stato maggiore Bajwa ha affermato che l'invasione russa è stata una grande tragedia, dopo aver citato le lunghe ed eccellenti relazioni strategiche del Pakistan con gli USA.

Quel che è certo, è che l’ex premier, attore immaturo ed inconsapevole di un gioco troppo grande, sta cercando di polarizzare lo scontro politico sfruttando anche le piazze, con i suoi supporter votati a diffidare non solo del nuovo esecutivo ma anche dell’Esercito, e ricorrendo all’uso della religione, elemento non trascurabile in un Paese in cui l’aspetto dottrinale può portare a condanne a morte.

Per i suoi seguaci Imran Khan è un leader colpito dagli USA perché intenzionato a creare uno Stato islamico sul modello di Medina4, con una politica estera indipendente. Khan, nei suoi discorsi, ha sempre sottolineato che il Pakistan è stato fondato sul credo fondamentale di La ilah a illallah5.

Il governo del successore Shahbaz Sharif6, subito elogiato dal presidente Erdogan ed in buoni rapporti con Esercito e Cina, ed alla ricerca di nuovi spiragli verso l’Occidente compromessi da Khan, è atteso da prove ardue su inflazione, la più alta dell’Asia meridionale, e crisi energetica, mentre l’economia pakistana continua la sua parabola discendente con la rupia che ha toccato il suo minimo storico. Valga da esempio la mancata fornitura tedesca di motori diesel MTU 12V396 della Motor and Turbine Union per un sottomarino lanciamissili di classe Hangor basato sul battello cinese Tipo 039B destinato alla Marina pakistana; il governo federale ha posto il veto all'esportazione in Cina a causa dell’uso per scopi militari, dato l’embargo UE sulle armi imposto a Pechino dopo i fatti di Tienanmen.

In Pakistan il 21% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà, e la bilancia commerciale negativa ha aumentato il deficit diminuendo le riserve; inevitabile per Shehbaz Sharif, il cui figlio Hamza è stato eletto a capo della provincia del Punjab, chiedere ulteriore supporto quantitativo e temporale al FMI (Fondo Monetario Internazionale) che, nel 2019, ha approvato un prestito in 39 rate di sei miliardi di dollari condizionato a una serie di riforme e misure fiscali di austerità, poste a contrasto di una spesa pubblica indisciplinata7. Del resto, prima di bussare al FMI, Khan ha confidato in EAU ed in Arabia Saudita, tornando con le casse vuote e pieno di preziosi precetti di politica estera su cui meditare.

Anche l'esposizione debitoria pakistana rappresenta una sfida, visto che Islamabad aveva beneficiato della sospensione pandemica del servizio del debito.

La rimozione di Khan, non immune da pecche come qualsiasi altro politico da lui attaccato8, non porterà ad una rapida conclusione della crisi, ma all’inizio di una nuova fase, con una violenta polarizzazione del confronto politico, e con il conseguente ritorno sulla scena dell’esercito, quale elemento di stabilità.

L’appoggio delle Forze Armate, in termini di soft power, sarà indispensabile per evitare un intervento violento a contenimento delle proteste di massa; questo, ovviamente, non può far escludere a priori l’intento dei militari di assicurarsi il controllo della situazione in funzione delle spinte destabilizzanti regionali.

Il FMI, si attende la cancellazione dei sussidi per il carburante, voluti da Khan e finanziariamente insostenibili, quale condicio sine qua non per rinnovare il programma di sostegno; una misura impopolare in previsione delle elezioni dell’estate 2023 (se non saranno anticipate), a cui il governo ha risposto decidendo di non decidere, e pagando dazio a tentennamenti frutto dell’unico obiettivo, quello della caduta di Khan, senza disporre di piani politici pronti ed alternativi.

Sullo sfondo l’alea del terrorismo, infiammato dalle frange radicali e dal movimento Talebano, con la minaccia nucleare estesa su tutto il territorio nazionale; non è quindi solo la congiuntura politica a preoccupare, ma anche lo scenario della sicurezza che porta a rendere la compromissione del sistema di difesa del programma nucleare una minaccia concreta. Se da un lato Khan ambisce a cavalcare il momento, dall’altro la coalizione al potere intende prima realizzare la riforma elettorale che la mancanza di collaborazione del premier decaduto verso il parlamento, priverà di titolarità politica; quel che è certo è che si dovrà verificare l’indirizzamento del sostegno militare.

Islamabad sta andando incontro ad una versione 2.0 delle Primavere Arabe? Improbabile. Il sistema dinastico pachistano, con le stesse famiglie Sharif e Bhutto sempre sulla cresta dell’onda, è stato agevolato da un premier imparagonabile con l’iraniano Mossadeq, che ha ammantato di buoni propositi le sue gaffe9; populisticamente (e pericolosamente) la deriva complottista di Khan affascina la giovane massa portante del suo partito, latrice di narrazioni polarizzanti e nazionaliste. Se la campagna di Khan è indirizzata a permettergli di tornare in carica dopo le elezioni, non si vede come ciò possa essere possibile senza il supporto dell’Esercito.

Di fatto Imran Khan, che voleva essere un martire come Bhutto, ha finito per autodistruggersi politicamente, benché rimanga il dubbio circa il possibile appoggio da parte del capo dell’ISI; ma in uno Stato come il Pakistan l’Esercito è così facilmente aggirabile?

Nel frattempo, è da rilevare come l’influenza dell’Iran, che ha inviato delegazioni militari in Pakistan, sia stata accolta positivamente grazie all’opera di Khan, propostosi quale intermediario tra Teheran10 e Riyadh che, dopo aver investito in India, ha valutato anche in Pakistan interventi strategici a lungo termine, a fronte comunque dei bassi volumi degli attuali scambi bilaterali e della posizione neutrale assunta nel conflitto yemenita; a ciò si aggiunge il ritorno diplomatico in Qatar, chiave di volta per ridisegnare il ruolo securitario pakistano nel Golfo alla luce dei cambiamenti indotti dagli Accordi di Abramo che pongono in rilievo Israele, non riconosciuto da Islamabad, che così ha però sempre meno fiches per rilanciare.

Più complessa la querelle cinese, caratterizzata da forti investimenti ma anche da attentati contro cittadini della RPC specialmente in Balucistan e soprattutto appena due settimane dopo la nomina di Shahbaz Sharif che ha promesso la ripresa del corridoio sino pakistano senza dimenticare la richiesta di rinegoziazione dei prestiti, ipotesi poi non così remota, vista il cambio con l’importante e geostrategico porto di Gwadar.

Interessante la politica acquiescente di Khan verso lo Xinjiang, zona capace di far tacere ogni afflato religioso musulmano una volta ridestati gli interessi economici suscitati dal China Pakistan Economic Corridor e dalle Zone Economiche Speciali, i cui proventi tuttavia si dirigeranno prevalentemente verso Pechino.

In sintesi, le decisioni di allineamento pakistane, come le astensioni, si sono fondate di volta in volta su basi realistiche, mantenendo un equilibrio capace di porre finora Islamabad in posizione equidistante anche tra Teheran, sospettata di appoggiare l’irredentismo del Balucistan, e Riyadh, più propensa ad appoggiare la causa del Kashmir pakistano, intrattenendo rapporti con la Siria di Bashar Al-Asad. Più di un osservatore attribuisce questo ormai irripetibile miracolo diplomatico al deep state militare, un miracolo posto in pericolo da Imran Khan. Non a caso, nel 2020 è stato lo stesso Bajwa a visitare l’Arabia Saudita con l’intento di ristabilire normali rapporti.

Insomma, l'esercito vuole conservare le relazioni con gli americani avendo però la Cina come co-garante con cui rischiare un pericoloso doppiogiochismo che deve considerare lo scarso leverage che ha il terrorismo islamico verso Pechino.

In questo contesto è auspicabile un cambio di passo americano, che punti non solo alla difesa ma anche all’economia, non sottovalutando il peso esercitato dai militari pakistani, in attesa a novembre del prossimo Capo.

Se gli eventi hanno dimostrato a Khan vita reale e politica non sono una partita di cricket, al nuovo esecutivo dovrebbe essere chiaro che sarà sempre più difficile mantenere la neutralità.

1 In Military IncInside Pakistan Military Economy, Ayesha Siddiqa nel 2007 valuta il patrimonio delle Forze Armate in circa 20 miliardi di dollari e 4,8 milioni ettari di terra e descrive cinque centri di interessi (welfare foundations). Secondo Siddiqa le Forze Armate controllano un terzo dell’industria pesante e il 7% cento degli asset privati. Le Forze Armate hanno rilevanza anche nella formazione, grazie alle accademie, all’interscambio universitario ed alla ricerca. Ciò permette alle Forze Armate di gestire la formazione della futura classe dirigente.

2 In nessun momento la Lega musulmana indiana o il suo presidente Mahomed Ali Jinnah hanno invocato Medina o parlato di uno Stato teocratico; Negli anni '80 il generale Zia-ul-Haq ha invece cercato di dimostrare che il Pakistan è stato fondato in nome dell'Islam. L'ex primo ministro Nawaz Sharif, nel corso del suo secondo mandato, ha cercato di trasformare il Pakistan in una teocrazia, ostacolato però in questo dal colpo di stato del generale Pervez Musharraf.

3 Secondo Imran Khan i Talebani sarebbero soltanto dei nazionalisti pashtun che ricevono sostegno solo dal popolo pakistano; ha dichiarato in diretta tv che Germania e Giappone sono confinanti, che l’Africa è uno Stato e che Bin Laden è stato un martire. Sempre secondo Khan la Cina ha sollevato dalla povertà 700 milioni di persone, e ha anche affermato che la Cina segue gli insegnamenti del Profeta

4 Rescritto di Medina, documento elaborato da Maometto verso il 622. Si trattava di un accordo tra Maometto, le tribù e i clan più significativi dell’oasi di Yathrib (Medina), inclusi  musulmani, ebrei e pagani. 

5 non c'è Dio all'infuori di Allah

6 Coalizione composta da partiti diversi (sinistra, gruppi religiosi radicali). I due maggiori partiti sono la Lega Musulmana del Pakistan, guidata dal premier, e il Partito del Popolo del Pakistan, co-presieduto dal figlio e dal marito dell’ex primo ministro Benazir Bhutto.

7 Vd. Sussidio per il carburante

8 Vanno considerati: il suo matrimonio segreto con una donna divorziata; l’ammirazione per il regime dittatoriale del generale Zia ul Haq; la causa intentata contro di lui nel 2018 con l’accusa di aver raccolto 3 milioni di USD su fondi esteri illegali attraverso due società offshore registrate sotto la sua firma.

9 Vd. la visita moscovita del 24 febbraio, mentre le truppe russe invadevano l’Ucraina.

10 Gli investimenti cinesi in Iran ammontano a circa 21 miliardi di USD

Foto: The White House