La liberazione di Silvia Romano ed il Neo-Ottomanesimo alla conquista della Somalia

(di Filippo Del Monte)
20/05/20

Il grande risalto che i media turchi hanno dato alla liberazione di Silvia (Aisha) Romano ed il piccolo strascico polemico generato dalla foto diffusa dall'agenzia di stampa Anadolu della giovane cooperante italiana con un giubbotto antiproiettile guarnito della patch con la stella e la mezzaluna sono un piccolo tassello della più ampia politica africana di Recep Tayyp Erdoğan impostata sulla capacità di ben dosare il bastone e la carota o, meglio ancora, hard e soft power.

Gli scambi commerciali della Turchia con il Continente nero toccano i 20 miliardi di dollari annui, nel corso degli ultimi anni il numero di ambasciate ed uffici diplomatici turchi in Africa è quadruplicato ed il "sultano" Erdoğan più volte si è recato in visita negli Stati africani per rafforzare i rapporti bilaterali. Nel corso dell'ultimo periodo però l'attenzione di Ankara s'è concentrata sul Corno d'Africa e sullo stretto di Bab el Mandeb, zona tenuta sotto controllo da molte potenze per la sua posizione strategica all'imbocco dell'Oceano Indiano e come "porta" per Suez.

Nonostante nel nuovo scramble of Africa la Turchia sia arrivata per ultima nel Continente Nero ed abbia avversari agguerriti come la Cina, l'India e le monarchie del Golfo, di fatto nel Corno d'Africa gode d'un certo prestigio e, come la questione Silvia Romano ha dimostrato, di una fitta rete di relazioni non sempre trasparenti ma sicuramente vantaggiose per Ankara.

La Somalia in questo contesto gioca un ruolo fondamentale per la strategia e la dottrina del Yeni Osmanlıcılık (Neo-Ottomanesimo). A Mogadiscio ci sono segni tangibili della sempre più capillare presenza turca: l'aeroporto internazionale inaugurato nel 2015 alla presenza del presidente turco e dei leader locali è stato interamente finanziato e costruito da Ankara, il porto è controllato da società turche che gestiscono il traffico marittimo in entrata ed in uscita dalla capitale dell'ex colonia italiana, il vecchio ospedale Digfer è stato interamente ristrutturato ed ampliato dai turchi grazie ad una convenzione firmata nel 2015 e nuovamente inaugurato con il nome di "Erdoğan Hospital". Dal punto di vista militare a Mogadiscio si trova una base militare turca con tre complessi residenziali e scuole capace di ospitare fino a 1500 soldati; una struttura dedicata all'addestramento dell'esercito somalo nell'ambito dell'accordo bilaterale per la ricostruzione delle Istituzioni pubbliche dopo il fallimento dello Stato nel 1991 e che secondo le ultime stime ha formato ben 10.000 militari somali.

La penetrazione politico-economica (ed in ultima analisi militare) turca nel Corno d'Africa prosegue di pari passo, anche se non sotto la luce dei riflettori, con quella in Libia e sempre lungo il filo rosso dello sfruttamento delle risorse energetiche: sembra non essere un caso il fatto che a pochi giorni dal contestato accordo bilaterale turco-libico per l'estesione delle rispettive Zone Economiche Esclusive nel Mediterraneo il Parlamento turco abbia ratificato il 25 gennaio il Memorandum of understanding sulle risorse energetiche siglato nel 2016 con la Somalia. La compagnia petrolifera statale turca Turkish Petroleum Corporation sarà così responsabile di condurre le esplorazioni lungo quindici blocchi delle coste somale in cui, secondo gli studi della "Somali Petroleum Authority", potrebbe esserci la presenza di giacimenti petroliferi dal peso equivalente a 30 miliardi di barili. Pur restando ad oggi solo sulla carta, l'esistenza di giacimenti così corposi ed il conseguente sfruttamento potrebbero cambiare gli equilibri geopolitici nel Corno d'Africa.

Regista dell'operazione oltre al presidente Erdoğan è stato il ministro per l'Energia e le Risorse naturali Fatih Donmez, altro uomo forte della cerchia neo-ottomana e sponsor politico di questo "imperialismo energetico" turco che va dal Mar Nero all'Oceano Indiano passando per le acque del Mediterraneo orientale e la Libia.

Qualunque Stato che voglia portare avanti una politica estera di tipo offensivo (o revisionista) ha la necessità di garantirsi l'accesso alle fonti d'energia primarie come petrolio e gas; per altri il processo è esattamente inverso ed una politica estera aggressiva è determinata proprio dai bisogni della politica energetica.

A prescindere dagli astrattismi accademici è importante però notare come finora la Turchia di Erdoğan sia riuscita a farsi largo tra i suoi diretti avversari – Italia compresa – in una regione del globo dove per emergere è necessario anche "saper sparare" e soprattutto avere ben chiaro cosa si voglia.

L'operazione che ha portato alla liberazione di Silvia (Aisha) Romano, a prescindere dal ruolo più o meno attivo avuto dall'intelligence italiana, è proprio l'emblema di questo tipo di politica: il dialogo con l'islam radicale, financo quello apertamente terroristico-militare, è uno dei punti di forza di Ankara non solo in Africa, in Libia ed in Siria ma in tutto il "Mediterraneo allargato", la stessa area di proiezione (e di esistenza) italiana.

Chi di dovere a Roma prenda qualche appunto in merito.

Immagini: Hürriyet Gazetecilik ve Matbaacılık A.Ş / Twitter / presidenza del consiglio dei ministri