Identità e ruolo geopolitico dell'Albania. Il bivio italo-turco

(di Andrea Forte)
11/05/21

Diventare Albania e continuare ad esserlo significa esistere nei Balcani occidentali, dove da sempre gli imperi incrociano le proprie profondità storiche e territoriali, tempi e spazi, in una parola, le proprie strategie.

Comprendere come l’Albania possa muoversi all’incrocio di tali traiettorie, in una terra strategicamente critica, impone uno sguardo al suo fattore umano, alla sua identità, quindi a tutti gli altri fattori condizionanti la partita geopolitica albanese.

In un certo senso si può affermare che il popolo (o popoli) albanese ha dovuto resistere a tali imperi prima ancora di essere, combattere prima di diventare. Da qui deriva il suo definirsi in negativo, prima di tutto non essere qualcun altro, il dominatore di turno, con il suo portato antropologico, come la religione (secolarizzate, perché viste come vettori di ingerenza straniera).

Quando sei piccolo come l’Albania, e addirittura ancora non esisti come Albania, la resistenza totale però è impossibile, così come l’isolamento infinito è insostenibile, allora resistere significa, nelle fasi di sottomissione, assorbire per non farsi fagocitare, mimetizzarsi senza assimilarsi. Come essere clan, se non si vuole o può ancora essere nazione, come, durante il dominio ottomano, diventare islamici senza diventare turchi, etc.... Ne consegue un’identità clanica, definita più localmente e familiarmente che collettivamente e nazionalmente, dove essere è più cultura che identità, dove la nazione è più vissuta che strutturata. Tale dimensione è stato ed è fattore di sopravvivenza dell’identità albanese, ma impedisce all’Albania di essere una nazione coesa.

La simbiosi con dominanti diversi ha infatti implicato il mantenimento e l’acutizzarsi di differenze, come tra nord e sud, tra musulmani e cristiani, etc… portando a progetti divergenti, impedendo che l’albanità divenisse sentire comune di avere una missione, un omogeneo modo di stare al mondo. L’essere albanese trova difficile tradursi in agire collettivo, cioè farsi stato, struttura. È il cuore strategicamente critico dell’identità albanese che, fatta d’appartenenza, ma non di azione collettiva coesa, genera uno stato fragile.

Tali fratture condizionano le dinamiche geopolitiche. È un Paese piccolo, con istituzioni fragili e popolazione non coesa, e soprattutto immerso in un’area cruciale per gli equilibri di potenza, ma potenza altrui. Un Paese così non può garantirsi la sicurezza tramite le proprie forze.

Nel 2009 l’Albania entra nella Nato (foto). Solo l’egemone globale (Usa) può garantirle stabilità e sicurezza dei confini. Con l’ombrello americano però, se non si affoga, ci si bagna. L’Albania rimane esposta ai progetti dei grandi che la circondano e alle fragilità dei piccoli che la stringono. I Balcani sono un’area in cui i problemi, più che risolversi, al meglio si disinnescano, mediamente si manipolano, al peggio sono fatti esplodere.

Per capire i margini di manovra dell’Albania, si consideri che qui convergono gli interessi di Stati Uniti, potenza globale, Cina, loro sfidante, Russia, che si immagina ancora potenza mondiale e cerca di resistere ad ogni declassamento (e avanzamento della Nato), Germania, potenza “potenzialmente” grande, tanto più se decide di esserlo, Turchia, che sembra “non dormire mai” e Italia, che sembra invece immersa nel sonno strategico.

In tale panorama, l’unica cifra geopolitica dell’Albania è l’adesione dogmatica all’atlantismo, con in più l’obiettivo di entrare nell’Unione europea, il tutto gestito con equilibrismo strategico, per non farsi divorare. L’equilibrismo è necessario perché il dominus americano, in base alla sue partite e attenzione, permette una certa esposizione all’azione dei comprimari, tollerati in quanto mali minori in una certa fase e area.

L’equilibrismo strategico impone, prima di avere propri obiettivi, di conoscere l’agenda altrui, sapere cosa si è nella loro percezione e quindi muoversi per trasformarsi da oggetto geopolitico in soggetto, da preda in risorsa, usando la vicinanza ad un attore per ottenere l’attenzione di un altro o per allontanarlo.

Lo stesso mito pan-albanese, l’unione degli albanesi in un unico stato, contraddirebbe l’accreditarsi albanese come soggetto stabile della regione ed è sventolato solo con l’obiettivo di premere per l’entrata nell’Ue, come unica alternativa non esplosiva. Finora si passava per due porte, quella statunitense (Nato) per la protezione militare, quella dell’Unione europea per il benessere. Centrato l’obiettivo atlantico, l’Albania rimane fuori dall’Ue, a causa, fra le altre cose, di un blocco Usa dell’allargamento, timorosi che i Balcani possano entrare nella disponibilità, in futuro forse geopolitica, della Germania. L’Albania inoltre poggia nel cuore degli interessi turchi e italiani. Il concetto strategico chiave per capire cosa implicherebbe avere l’Albania nella loro disponibilità è quello di profondità difensiva.

Si scambia spesso la postura geopolitica turca come neo-ottomana, orientata ad una riedizione di quell’impero. In realtà la condotta turca è centrata sul concetto di patria blu, ovvero l’idea che lo status di potenza (e la capacità di difesa che implica) sia accessibile alla Turchia attraverso il dominio dei mari, Egeo, Nero, Mediterraneo orientale, con un piede nel Mar Rosso, perché da lì si accede all’oceano e alla competizione indo-pacifica, la principale. L’impero ottomano era invece fondato sul dominio delle rotte terrestri, sull’eredità dell’impero della seconda Roma, Costantinopoli. Per questo vero obiettivo di quell’impero erano le terre a occidente del Caspio, che chiamerà Rumelia, terra di Roma.

L’Albania era parte della Rumelia, parte del cuore “romano”- ottomano. Mustafà Kemal, padre della moderna Turchia, comprende che non dominare il mare è anti-geopolitico, e come tale ha infragilito l’impero, fonte, tra le altre, del suo crollo. La Turchia deve invece compiersi in Anatolia e difendersi sul mare, la penisola balcanica (e l’Albania) diventerebbero così la frangia terrestre da cui difendere in profondità questo nucleo. Non centro, ma periferia, posta in gioco massima in quanto a difesa, ma non centro quanto a identità. Utile a tenagliare la Grecia, vero muro per l’accesso ai Balcani, ma nulla di più. L’avvicinamento alla Turchia, magari in nome di un islam che in Albania è culturale, non identitario, è funzionale ad un acceleramento dell’entrata nell’Ue preoccupata, ma è finzione geopolitica.

L’Albania trarrebbe il massimo da questa politica, se potesse bilanciarla con la consapevolezza strategica italiana… che l’Italia non sembra avere. L’Albania si affaccia sull’Adriatico, è parte di un’eventuale profondità difensiva dello stivale, almeno tramite soft power, che però l’Italia ha dissipato. Ha perso il valore strategico della Rai, come porta dell’Occidente per gli abanesi, isolati dalla dittatura comunista, ha dissipato il patrimonio delle tre missioni militari/umanitarie che negli anni novanta hanno arginato fame, insicurezza e migrazioni dal Paese “illirico”, non ha capitalizzato il primato commerciale né sfruttato la diaspora albanese in Italia; eppure è l’Italia che ha contribuito a far sorgere l’Albania, ad averla introdotta alla modernità, a combattere il crimine nel suo territorio.

In sostanza l’Italia non ha un pensiero strategico adeguato alla sua taglia. Il che sbilancia l’Albania verso partner meno familiari, Parigi, Berlino, perché consapevole che, per entrare nell’Ue, l’Italia non sembra poter influire molto, quasi meglio farsi sponsorizzare dalla Grecia.

L’Italia appare capace al più di reazioni circostanziali di contenimento danni. Lo si vede con i vaccini. Non essersi fatta tramite, per farli arrivare in Albania, ha spinto la stessa all’intermediazione turca con la Cina.

L’unica prospettiva realistica di un riequilibrio tra Italia e Turchia non è un aumento della potenza italiana, quanto una diminuzione della ambizioni turche, in cui la sproporzione tra obiettivi e mezzi è destinato ad urtare l’egemone statunitense e a subirne il colpo (soprattutto in caso di forte ridimensionamento dell’Iran).

È probabile che l’Albania debba attendere qualche anno per entrare nell’Ue, previo chiarimento, per gli Usa, sulla postura della Germania, indecisa al salto geopolitico. Qualora lo facesse, come reagirebbero gli Usa? E alla Germania fungerebbe avere, con gli Usa in casa, la Cina nel cortile?

In definitiva, nulla dipende dall’Albania, ma tutto si ripercuote in Albania. Se l’Albania non dovesse centrare l’obiettivo europeista, offerte geopolitiche come la Grande Albania o la jihad, che cerca di sovrapporsi a quel mito, potrebbero trovare spazio, pur non realizzandosi. Del resto nei Balcani non necessariamente una miccia deve esplodere per distruggere.

Foto: Forcat e Armatosura të Shqipërisë / NATO / Türk Silahlı Kuvvetleri / Presidency of the republic of Turkey