Gli effetti delle sanzioni militari americane sulla forza aerea turca

(di Andrea Gaspardo)
31/08/19

Gli sviluppi delle ultime settimane riguardanti la querelle che oppone già da un paio d'anni la Turchia da un lato ed il resto della NATO dall'altro sui programmi d'acquisto dei missili antiaerei russi S-400 e dei velivoli F-35 hanno spalancato le porte ad una serie di scenari che, prima d'ora, parevano impensabili.

Sullo sfondo del peggioramento dei rapporti con la NATO a seguito della deriva autoritaria ultranazionalista/islamista dell'uomo forte del regime turco, Recep Tayyip Erdoğan, e del fallito colpo di stato del 15-16 luglio 2016, la Turchia aveva firmato, nel settembre 2017, un contratto da 2,5 miliardi di dollari per la fornitura di un imprecisato numero di unità di sistemi missilistici antiaerei S-400, da molti analisti considerato come i migliori attualmente in servizio al mondo.

Secondo le informazioni fornite dalla Turchia, gli S-400 russi dovrebbero formare, in congiunzione con gli FSAF SAMP/T italo-francesi prodotti da “Eurosam”, la spina dorsale della difesa antiaerea delle forze armate turche nei prossimi anni. Il perché Ankara punti a schierare due tipologie di missili relativamente simili prodotti da attori internazionali collocati su posizioni geopoliticamente antitetiche è presto detto: dato che gli obiettivi nemmeno tanto reconditi del “sultano” sono quelli di rendere la Turchia la nuova grande potenza dell'area centrale compresa tra Europa, Russia, Medio Oriente ed Africa e che tale politica porterà inevitabilmente la Turchia a scontrarsi anche militarmente con le principali potenze internazionali, gli FSAF SAMP/T servono alla Turchia qualora Ankara dovesse affrontare un conflitto armato con la Russia mentre gli S-400 servono ugualmente qualora Ankara dovesse invece combattere contro la NATO. Questo è il vero nodo gordiano della vicenda!

Come ritorsione alla spavalderia dimostrata dal “sultano turco”, già nel giugno 2018 e poi ancora nell'agosto dello stesso anno, il Senato degli Stati Uniti aveva approvato due proposte di legge per bandire la vendita alla Turchia del velivolo da combattimento Lockheed Martin F-35 Lightning II; proposte prontamente controfirmate dal presidente Trump. Nonostante questo, le trattative hanno continuato a procedere febbrilmente nell'ombra ma i turchi si sono dimostrati sostanzialmente indisponibili a rinunciare ad un sistema d'arma come gli S-400 che per loro hanno valenza assolutamente strategica. Non solo, il 18 maggio di quest'anno, dopo aver affermato che la Turchia sarebbe disposta ad acquistare pure il celebre sistema missilistico americano MIM-104 “Patriot”, Erdoğan ha affermato che il suo paese era in trattativa con la Russia per avviare la produzione congiunta anche degli S-500 mentre il 12 luglio le tanto attese consegne degli S-400 sono incominciate; uno schiaffo diplomatico gratuito.

La ritorsione a stelle e strisce è arrivata alcuni giorni dopo, il 17 luglio, quando con un ordine esecutivo (per altro motivato in maniera alquanto bizzarra) Trump ha cancellato ogni vendita degli F-35 alla Turchia, interrotto tutte le attività di addestramento dei piloti e dei tecnici turchi sul velivolo e addirittura escluso tutte le industrie turche dalla catena di produzione di componentistica legata al suddetto velivolo stealth.

Tuttavia, le “sanzioni militari” degli USA contro il riottoso partner non si sono certo limitate agli F-35 come la maggior parte delle persone pensa! Nel corso degli ultimi mesi gli Stati Uniti hanno messo in piedi un intero sistema di sanzioni in campo militare disegnato apposta per degradare le capacità militari della Turchia ai minimi termini ed applicare una pressione tale da ricondurre Erdoğan ad una posizioni di sottomissione e gli alleati occidentali stanno già muovendo i primi passi nella direzione tracciata dalla Casa Bianca. Tali sanzioni sono a diversi livelli e interessano tutte le branche delle forze armate nonché il complesso militare-industriale turco ma è proprio nel settore “aereo” che esse stanno producendo i primi drammatici effetti.

Prima di continuare, è bene ricordare che, essendo la Turchia membro della NATO dal 1952, tutta la sua linea da combattimento è costituita per la quasi totalità da mezzi di produzione occidentale, preferibilmente americana. Ciò è valido soprattutto per quando riguarda la prima linea da combattimento dell'aeronautica (Türk Hava Kuvvetleri - THK) che da circa 50 anni si basa su una micidiale triade che comprende l'F-5, l'F-4 e l'F-16.

Acquistato in oltre 200 esemplari appartenenti alle versioni F-5A/B di produzione americana, CF-5A/D di produzione canadese e NF-5A/B di produzione olandese, il Northrop F-5 Freedom Fighter è stato per anni il pilastro sia dei reparti da caccia che da supporto tattico della THK venendo impiegato in tutte le operazioni, in pace ed in guerra, che hanno visto protagoniste le forze armate turche dagli anni '60 ad oggi. Attualmente circa 40-50 velivoli sono ancora in servizio e tutti sono stati portati allo standard F-5/2000 che ha permesso a questi aerei semplici e versatili di mantenere una notevole capacità bellica anche negli anni 2000.

Entrato in servizio a partire dal 1974 in 233 esemplari di provenienza americana e tedesca appartenenti alle versioni F-4E ed RF-4E, il McDonnell Douglas F-4 Phantom II rappresenta il primo e a tutt'oggi unico esempio di caccia pesante e multiruolo in servizio presso la THK. Arrivato troppo tardi per poter partecipare al conflitto di Cipro del 1974, il “Phantom” è stato comunque ampiamente utilizzato nel corso dell'interminabile conflitto contro i Curdi nel sud-est del paese e, in anni recenti, è stato persino adoperato nel corso delle puntate offensive turche in terra irachena e siriana contro i santuari del PKK, i Curdi siriani e l'ISIS oltre che nelle incessanti operazioni di provocazione contro la Grecia nell'Egeo. Dopo il pensionamento, nel 2015, degli ultimi RF-4E ed il precedente ritiro degli F-4E più usurati, gli ultimi 54 esemplari di F-4 ancora in servizio appartengono tutti all'eccezionale versione F-4E 2020 Terminator, modernizzati congiuntamente da Turchia, Stati Uniti ed Israele sul modello dei Kurnass 2000 (gli F-4E israeliani precedentemente potenziati dalla Israel Aerospace Industries – IAI) e che rappresentano secondo la maggioranza degli analisti l'epitome finale della fortunata formula del biposto di St Louis.

Chiude lo schieramento il General Dynamics F-16 Fighting Falcon, acquistato dagli Stati Uniti o prodotto su licenza in Turchia dalla Turkish Aerospace Industries – TAI in 270 esemplari appartenenti alle versioni F-16C/D Block 30/40/50/50+ ed oggi ridotti a 245 macchine a causa di incidenti operativi e dell'inevitabile “attrito”. La Turchia ha utilizzato intensamente i propri F-16 nei Balcani nel corso della partecipazione alle guerre di Bosnia e del Kosovo, nelle operazioni contro i Curdi del PKK, in Iraq ed in Siria contro il PKK, i Curdi Siriani e l'ISIS e nelle varie provocazioni di confine con la Grecia. Per fare sì che essi mantenessero inalterata la propria capacità operativa nonostante il passare degli anni, la Turchia ha firmato un contratto dal valore di 1,1 miliardi di dollari in base al quale la TAI dovrebbe modernizzare 165 velivoli per portarli allo standard F-16 Block 50+ potendo così continuare ad operare a fianco degli F-35 ed al futuribile TAI TF-X il cui mock-up è stato presentato al salone aeronautico parigino di Le Bourget non molto tempo fa.

In ogni caso, dopo gli ultimi sviluppi è ora assai probabile che tutti questi progetti resteranno tali! Infatti, un particolare che i mezzi d'informazione di massa si sono “dimenticati” di riportare è che, in base alle “sanzioni militari soft” approvate dalla Casa Bianca, gli Stati Uniti hanno già interrotto qualsiasi cooperazione con la Turchia per quanto concerne il mantenimento dei sistemi d'arma, dell'avionica e dei radar degli F-16 mentre dal 2020 in poi alla Lockheed Martin ed alle altre compagnie americane sarà legalmente proibito fornire qualsiasi tipo di parti di ricambio per i jet della THK.

Come soluzione tampone, le autorità turche hanno iniziato ad intavolare trattative per ottenere le parti di ricambio da parti terze, tra le quali va segnalata la Korean Aerospace Industries – KAI responsabile del mantenimento della flotta di F-16 della Corea del Sud, ma si tratta di una “soluzione tampone”. Già oggi il mantenimento delle capacità operative delle forze aeree turche è garantito dalla presenza cospicua di piloti e meccanici pachistani a causa delle purghe che hanno falcidiato i ranghi all'indomani del fallito colpo di stato del 2016. Considerando ora anche l'aggravante del blocco delle parti di ricambio, si stima che entro la fine dell'anno solamente la metà degli F-16 saranno “Fully Mission Capable – FMC” inoltre già ora la TAI, la ASELSAN e le altre industrie della difesa turche hanno segnalato l'estrema difficoltà a portare avanti i contratti per la manutenzione e la modernizzazione dei velivoli come risultato dell'interruzione della catena di forniture. È possibile quindi che i piani di modernizzazione subiranno notevoli ritardi, quando non vere e proprie cancellazioni.

Secondo alcune stime, nel caso di un blocco totale da parte dei “partner” occidentali, l'aeronautica turca potrebbe sopravvivere per due decenni mediante la progressiva cannibalizzazione di parte delle flotta per sostenere il restante ma anche questa altro non sarebbe che una lenta agonia.

Un esempio rivelatore di quanto può accadere lo si ha guardando a all'improvviso stop nella produzione dell'elicottero d'attacco TAI/AgustaWestland T129 ATAK. Sviluppato congiuntamente dalla TAI e dall'AgustaWestland a partire dall'Agusta A129 Mangusta italiano, il T129 ATAK era stato ordinato dalla Turchia in 77 esemplari per la proprie forze armate (59 per l'esercito e 18 per la gendarmeria) e successivamente offerto sul mercato internazionale riscontrando immediatamente l'interesse di paesi come l'Azerbaigian, il Bahrain, la Giordania, la Malesia, la Polonia, il Gambia, gli Emirati Arabi Uniti, l'Arabia Saudita, le Filippine, la Corea del Sud, la Libia, il Marocco, il Brasile ed il Pakistan. Quest'ultimo si era candidato a primo cliente estero firmando un contratto per la fornitura di 30 macchine. Eppure dopo che la Rolls Royce ha annunciato lo stop alla consegna dei motori LHTEC CTS800-4A, la TAI ha dovuto interrompere la produzione dopo che 41 elicotteri sono stati consegnati all'esercito e 6 alla gendarmeria. Non è chiaro a questo punto se il Pakistan vedrà mai gli elicotteri per i quali ha pagato né se l'esercito e la gendarmeria turca riceveranno i restanti velivoli che hanno ordinato. Se a questo si conta poi l'esclusione dal programma dell'F-35 e la probabile fine precoce del progetto TAI TF-X, dato che esso necessita del contributo determinante della BAE Systems per poter giungere allo stadio operativo e alla probabile interruzione di tutti gli altri contratti in ambito aeronautico con i partner occidentali per un valore complessivo di 45 miliardi di dollari, si può ben comprendere come lo scenario che si prospetta per l'arma azzurra della Turchia sia veramente da incubo.

A questo punto, l'ultima naturale domanda è: quali soluzioni possono ipotizzare i decisori politici e militari di Ankara?

Sebbene le “sanzioni militari” siano state poste in essere al fine di piegare Erdoğan e, complice la crisi economica della Turchia, ricondurlo ad una posizione di sottomissione, l'autore della presente analisi ritiene che tale scenario sia pressoché nullo. Avendo costantemente monitorato la situazione e l'involuzione interna della Turchia dal 2004 fino ai giorni nostri ed essendomi fatto un quadro abbastanza realistico dell'impostazione mentale di Erdoğan, dei suoi obiettivi geopolitici di lungo periodo e, soprattutto, di ciò che i turchi in generale si aspettano da lui (leggi: la completa riedificazione della Turchia come nuovo impero erede dichiarato di quello ottomano), ritengo che lo scenario di una Turchia capitolante ridotta nuovamente al rango di “colonia della CIA” esista solamente nelle selvagge fantasie mentali di qualche analista di Washington e dei suoi minions nostrani.

La Turchia ormai è un'entità autocefala che, qualora capisse di non essere più in grado di ottenere i propri obiettivi attraverso la permanenza nella NATO, taglierebbe i ponti dietro di sé senza pensarci due volte. Se Erdoğan non ha ancora fatto questa mossa è solamente perché si aspetta(va) di ottenere ancora qualcosa dalle sue relazioni con la NATO e l'UE (leggi: gli F-35 e tante altre armi ed investimenti). Ora però che Trump lo ha incastrato, al sultano turco resta solamente la strada della “grande capriola”, quella stessa che negli anni '90 e '00 hanno già fatto tutti i paesi dell'Europa orientale già membri del Patto di Varsavia, solo questa volta all'incontrario: puntare sulla Russia. A tale proposito Putin ha già fiutato la possibilità di capitalizzare il successo offrendo alla Turchia la possibilità di acquistare e addirittura di produrre su licenza il Mikoyan Mig-35 Fulcrum-F, il Sukhoi Su-35 Flanker-E ed il Sukhoi Su-57.

Non solo, qualora la Turchia fosse comunque determinata a portare a compimento il progetto TAI TF-X per ragioni tanto di utilità quanto di prestigio, allora le compagni russe quali Rostec e United Engine Corporation potrebbero subentrare a BAE Systems ed attuare quei trasferimenti tecnologici necessari ad Ankara per portare a compimento questo delicato progetto.

A questo punto però, che fare dell'imponente flotta di velivoli da combattimento ad alte prestazioni odierna, eredità di decenni di militanza turca nell'Alleanza Atlantica e che rischia ora di diventare un peso piuttosto che una risorsa?

Una risposta possibile sta nella progressiva vendita in blocco di velivoli, cellule in disuso, parti di ricambio, equipaggiamenti ed altri macchinari vari alle aeronautiche di Iran e Pakistan al fine di ottenere anche i fondi necessari per avviare la riconversione completa della THK agli equipaggiamenti di origine russa.

Se tale ipotesi possa sembrare bizzarra di primo acchito basterebbe ricordare che l'aeronautica pachistana ha esperienza di operazioni con gli F-16 da quasi 40 anni mentre l'aeronautica iraniana opera con l'F-5 e l'F-4 da ancora più tempo. Se la Turchia optasse quindi per vendere i suoi 245 F-16C/D Block 30/40/50/50+ al Pakistan ed i suoi 54 F-4E 2020 Terminator e 40-50 F-5/2000 più un numero imprecisato di cellule precedentemente dismesse all'Iran, allora potrebbe guadagnare un enorme credito politico presso questi due paesi già spesse volte corteggiati in vario modo dal “sultano” ed allo stesso tempo battere letteralmente cassa da reinvestire nel riequipaggiamento della propria aeronautica con velivoli di produzione russa.

Allo stesso tempo, tale scenario si tradurrebbe in una situazione di assoluta vittoria anche per pachistani ed iraniani i quali avrebbero un'occasione d'oro per rafforzare notevolmente la spina dorsale delle rispettive aeronautiche, entrambe affamate di velivoli per ragioni diverse.

Inutile a dirlo, una tale mossa si attirerebbe da subito una rappresaglia di qualche tipo da parte delle cancellerie occidentali ma c'è da scommettere che il vanaglorioso presidente turco sfrutterebbe anzi la situazione per mobilitare il popolo sotto la bandiera del nazionalismo e lanciare messaggi di mobilitazione nei confronti delle masse musulmane diseredate che sempre più vedono in lui il loro “campione”.

Non resta dunque che attendere e vedere quale sarà la prossima mossa di questa snervante “partita a scacchi”.

Foto: Cremlino / U.S. Air Force / Türk Silahlı Kuvvetleri