Fenomenologia della Guerra

(di Andrea Gaspardo)
18/10/18

La guerra, come fenomeno, accompagna il genere umano sin da tempi immemori. Non esiste univocità di vedute sul fatto che essa sia una caratteristica universale ed ancestrale della nostra specie oppure un prodotto di specifici sviluppi di natura socio-culturale o ecologica che i differenti gruppi umani hanno vissuto nel corso del tempo in ogni parte del mondo. Invero, studi comparati hanno dimostrato che il 90-95% delle società sia sedentarie che nomadiche documentate in epoca storica così come nella contemporaneità, ha portato avanti o è ancora coinvolta in conflitti armati, con le uniche eccezioni rappresentate da: isolati gruppi nomadici o insulari, gruppi di rifugiati, piccole enclavi situate sotto la protezione di grandi stati nazionali (anche se è necessario precisare che, per tutte le categorie menzionate, la guerra resta comunque un'opzione contemplabile!).

Secondo una stima, a partire dall'introduzione della scrittura (tra il 3400 ed il 3300 a.C.) fino ad oggi, le cronache hanno documentato una successione di 14.500 conflitti che hanno provocato quasi 4 miliardi di morti, risultanti sia dalle azioni armate che dalle carestie e dalle epidemie provocate su larga scala dai conflitti. Nello stesso periodo di tempo, i conflitti tra popolazioni indigene non registrati, ma di cui comunque abbiamo notizia grazie alle memorie orali (in molti casi tramandate in maniera incredibilmente dettagliata), sembra che abbiano provocato ulteriori 400 milioni di morti. Non solo, misurando quella che tecnicamente si chiama “Intensità dei Conflitti” (la frequenza e la durata con la quale le entità geopolitiche muovono guerra le une alle altre), si é scoperto che dall'Antichità fino all'Età Contemporanea, essa non sia complessivamente variata. L'unica eccezione è stato un periodo relativamente breve tra il 1991 (fine della Guerra Fredda) ed il 2008, nel corso del quale si registrò una diminuzione dell'intensità dei conflitti a livello globale. Sfortunatamente, dopo tale data le cose sono tornate alla triste “normalità”. Tuttavia, anche nel brevissimo periodo di relativa “Pace Globale” sopra menzionata, l'intensità con la quale la “potenza dominante” del periodo (gli Stati Uniti d'America) intraprendeva azioni di guerra contro altri attori del panorama internazionale, non solo non era diminuita ma aveva addirittura visto un'evoluzione peggiorativa, persino per un paese non avvezzo a paci durature (nel corso dei loro 242 anni di storia gli Stati Uniti hanno avuto solamente 18 anni di pace mentre per tutto il resto del tempo sono rimasti impegnati in conflitti di diversa magnitudine contro altri popoli o paesi). Ma, a ben vedere, questa tendenza rispecchia una prassi consolidata che ha interessato tutte le “potenze egemoni” dall'Antichità fino ad oggi.

Uno degli dei più importanti nell'Antica Roma era Giano, rappresentato con due teste orientate in direzioni opposte, perciò detto “Bifronte”. Tra le sue funzioni, Giano aveva quella di “protettore della città e dei suoi cittadini-soldati. Ecco perché, in tempo di guerra, le porte del suo tempio rimanevano aperte permettendo allo spirito del dio di poter uscire dalla sua dimora e raggiungere i legionari impegnati nelle campagne militari; viceversa, quando Roma era in pace con tutti i popoli, al termine di una solenne cerimonia dal significato tanto importante da dover assolutamente essere registrata negli Annali della città, il tempio di Giano veniva chiuso. Ebbene, é necessario ricordare che solamente in 3 occasioni nel corso della storia della civiltà romana il tempio di Giano venne chiuso: dopo la Prima Guerra Punica e per due brevi periodi nel corso del regno dell'imperatore Augusto. Senza essere necessariamente “anti-Americani” o “anti-Romani”, é possibile osservare la stessa tendenza anche per l'Antico Egitto, la Persia, le poleis greche, l'India e la Cina classica, le civiltà dell'America pre-colombiana, ecc... Questo stato di belligeranza costante da parte delle potenze egemoni in ogni periodo della Storia ha persino portato alla coniazione del termine dal significato spregiativo “Warfare State” in opposizione al “Welfare State”.

Un altro luogo comune riguardante la guerra é che fenomeni quali la densità demografica oppure l'integrazione economica avrebbero effetti rispettivamente incentivanti e disincentivanti allo scoppio dei conflitti. Tali approssimazioni sono errate. Per quanto riguarda la densità di popolazione, un'analisi in senso storiografico ci dice che, non sempre le civiltà sviluppatesi in contesti ad alta densità di popolazione presentano una spiccata propensione alla guerra. Tanto la civiltà di Mohenjo-daro nella valle dell'Indo quanto quella Minoica a Creta si svilupparono in contesti che, secondo i canoni moderni, verrebbero definiti di “eccessiva pressione demografica”, tuttavia lo sviluppo agricolo di Mohenjo-daro e la capacità dei Minoici di fare affidamento sui commerci permisero ad entrambe le civiltà di soddisfare i bisogni delle rispettive popolazioni senza bisogno di ricorrere costantemente all'utilizzo delle armi (il che però non deve portarci a credere che queste due civiltà fossero prive degli strumenti per offendere!). Parallelamente, uno studio condotto da Lawrence H. Keeley professore di archeologia all'Università dell'Illinois a Chicago ha svelato che, di tutte le società indigene pre-colombiane d'America, il 13% era impegnato in attività di guerra solamente una volta l'anno mentre il restante 87% più volte l'anno, e le società primitive dell'America del Nord e dell'Amazzonia, abitanti zone sparsamente popolate, presentavano una propensione alla belligeranza assai maggiore di imperi dominati da culture sanguinarie come quelli dei Toltechi e degli Aztechi. Per quanto riguarda l'integrazione economica, nonostante negli ultimi decenni si sia imposto il mito che l'integrazione economica e l'innalzamento dei redditi possano da soli portare ad una generale pacificazione delle controversie tra popoli e nazioni, la realtà comparativa ci dice ben altro. Nella Storia dell'Umanità è possibile riscontrare un innalzamento del livello delle ostilità quanto più grandi siano le interazioni economiche tra diversi paesi o popoli. Ciò vale tanto per i popoli a cultura primitiva quanto per nazioni avanzate. Non ci sono paesi che siano mai stati partner economici così importanti così come acerrimi nemici in guerra come la Francia e la Germania. La spiegazione di tale curioso fenomeno è che l'integrazione economica aumenta il volume degli scambi ed anche delle informazioni, e ciò porta le parti a conoscere meglio l'eventuale “nemico”. Questo fatto dovrebbe suonare come un campanello d'allarme a tutti coloro i quali hanno pensato che, per risolvere i problemi dell'integrazione europea bastasse semplicemente affidare tutto all'economia, neanche si trattasse di un comodo “pilota automatico”, senza abbozzare il benché minimo progetto politico coerente, con il rischio di far perdere al nostro continente un'occasione storica che, in caso di fallimento, difficilmente si ripresenterebbe a breve.

Per concludere, abbiamo visto come, indipendentemente dalla sua origine profonda, la guerra rappresenti una costante nel cammino del genere umano. Come ogni evento umano essa va decostruita, analizzata in ogni sua parte ed infine compresa nella sua complessità, anche in presenza di un elevato grado di partigianeria, specie nell'uditorio. In ogni caso, non esiste modo migliore per iniziare ad approcciare la fenomenologia della guerra che quello di ricordare le severe parole di George Santayana, e cioè che: “Solo i morti hanno visto la fine della guerra”.

(foto: U.S. Army)