Disobbedienza siberiana

(di Gino Lanzara)
13/08/20

Le Terre dell’Est rimangono un caso geopolitico affascinante; lontane dalle superficiali contestualizzazioni dell’ovest, sono i fotogrammi di un film dove la Storia scorre secondo tempi e con interpreti spesso incomprensibili per gli uomini delle Terre di Mezzo.

L’ammaina del vessillo rosso ha portato alla frammentazione di un Impero che, fregiatosi per 70 anni di falce e martello, per ineffabile ironia storica, è tornato ad issare aquile bicipiti, Santi che trafiggono draghi, e Croci di Sant’Andrea sulle prore delle navi da guerra, da sempre care a qualunque autocrate abbia occupato il Cremlino, specialmente ora in presenza di una liaison conflittuale con la NATO.

Da un’improvvida Nuova Speranza occidentale ai lampi dell’idea di un Impero che, sotto la brace di guerre e rivoluzioni, ha continuato ad ardere, la Russia vive tra un passato fatto di Zar e Segretari Generali, ed un presente di Presidenti eterni, di Caudillos che, a differenza di quanto accaduto in Spagna, non preparano il terreno per il ritorno di alcun Re.

Si ripetono narrative conservatrici, si generano modifiche costituzionali capaci di consentire lunghissime permanenze ai vertici, ma vacillano le parvenze di una democrazia controllata; pur con un governo apparentemente forte, il potere comincia a presentare crepe cui l’ultimo referendum costituzionale, condizionato da pesanti osservazioni circa la sua regolarità, intendeva porre rimedio, malgrado le critiche giunte dall’estero e dall’opposizione1.

Nell’estremo oriente imperiale, a Khabarovsk, migliaia di russi hanno manifestato contro Putin, attirando l’attenzione su percentuali di gradimento in diminuzione, indici che in passato sono sempre stati influenzati da un’immagine muscolare ed assertiva.

Il COVID-19, unitamente al calo dei ricavi delle esportazioni petrolifere, ha fiaccato le politiche governative di - parziale - sostegno al popolo sentitosi così, specie in alcune regioni, legittimato alla protesta e pronto ad assumere un ruolo imprevedibile nelle prossime consultazioni federali del 2021.

Putin, al potere dalla fine del 1999, ha talmente personalizzato la politica nazionale sia da rendere inimmaginabile la Russia scissa dalla sua persona, sia da candidarsi ad una leadership seconda solo a quella di Stalin; la riedizione della centralizzazione sovietica del potere, con il consolidamento di élite2 fortemente ideologizzate e spesso in concorrenza tra loro, ma coese nel mantenimento del potere, ha finora garantito stabilità sociale, consenso, ma anche una significativa limitazione dell’autonomia regionale, cosa che ha portato ad una gerarchia piramidale fatta di livelli sempre più elevati, cui si accede più per lealtà che per capacità, ed alla fortificazione di un’oligarchia finanziaria sempre più pervasiva, che non ha né saputo né potuto permettere il definitivo salto di qualità, soprattutto a causa di burocratizzazione, corruzione, recessione e sanzioni susseguitesi alla crisi ucraina.

A fronte di un presente così complesso in cui vige la difesa ad oltranza di sovranità e legittimità, Putin è tornato al passato della teoria difensiva, puntando alla radiosità di un futuro che, tuttavia, pur richiamandosi al patriottismo staliniano, stenta ad arrivare; tutto questo mentre, con truppe in versione più o meno expeditionary in Georgia, Ucraina e Siria, nell’uomo russo continentale che rivaluta la grandeur sovietica, si insinua il convincimento che, a fronte dei fasti passati, l’inflessibilità dell’uomo stahl d’acciaio, poteva costituire un prezzo accettabile da pagare. Non a caso l’opposizione politica è rimasta acquiescentemente sui generis; il sistema non permette deroghe, e dunque consente l’uso della strumento giudiziario come avvenuto con Ivan Safronov, giornalista di Kommersant arrestato per alto tradimento per aver presumibilmente passato informazioni segrete ad un Paese della NATO, ma dopo essere stato in precedenza autore di reportage sull'incidente del sommergibile-spia Losharik e sui contratti internazionali di armi.

Una prima domanda da porsi riguarda quindi il destino russo, se e quando una delle diverse élite dovesse prevalere sulle altre senza l’attuale filtro politico che, ora più che mai, ha bisogno di un’investitura popolare, ancorché indotta, che assicuri l’inestimabile patrimonio di legittimità; si tratta dunque di riconoscimenti politici sia interni, a cui Putin non sembra essere così sensibile a meno che non si tratti di elargire concessioni capaci di assicurare una confortante captatio benevolentiae, che esterni: è sufficiente il caso della Bielorussia dove, malgrado la difficile sostenibilità politica dell’alleato Lukashenko, Mosca non può privarsi del suo appoggio per mantenere una preziosa profondità strategica regionale a garanzia della sicurezza dello spazio che separa Smolensk dalla base navale baltica di Kaliningrad.

Ma le maggiori preoccupazioni per Putin ora arrivano da est, da Khabarovsk a pochi chilometri dal confine cinese, dove il 9 luglio scorso Sergei Furgal, governatore regionale, ex imprenditore ed ex deputato della Duma, è stato accusato di coinvolgimento in tre omicidi e della scomparsa di imprenditori suoi concorrenti, risalenti a circa 15 anni fa, ed è stato tradotto nel carcere moscovita di Lefortovo; il suo arresto ha provocato significative ed insolite proteste che hanno ricordato la Rivoluzione Bianca del 2011-2013, e che sono divenute ancora più vibranti a seguito della decisione governativa di rimuoverlo dall’incarico, per sostituirlo con Mikhail Degtyarev, esponente del suo stesso partito, il liberal democratico peraltro all’opposizione, completamente all’oscuro dei problemi di una regione estesa due volte e mezza l’Italia, non particolarmente ricca di risorse, incastonata nella complessa realtà siberiana, e con una popolazione di 1 Mln e 300mila abitanti.

L'elezione di Furgal, sicuramente non un eroe liberale data la sua estrazione imprenditoriale, ha costituito un evento inaspettato: il Cremlino non lo considerava in grado di sconfiggere il candidato di Russia Unita; dal momento della sua elezione, Furgal si è rapportato empaticamente con la base sociale, guadagnando un consenso divenuto espressione del rifiuto dell’imposizione politica governativa in un Paese dove di fatto non esiste una forma di opposizione vera e propria, e dove il popolo non è mai solidale con nessuno.

Sarebbe tuttavia sbagliato considerare Furgal come del tutto esente da responsabilità, dato che ha mantenuto una linea politica ondivaga: dapprincipio aveva accettato di ritirarsi al secondo turno di votazioni in cambio della carica vice governatoriale, salvo poi cambiare idea, inducendo così Mosca a valutare la sua presa di posizione come un imperdonabile precedente, a cui è seguito il trasferimento della capitale del distretto dell'Estremo Oriente a Vladivostok; successivamente Furgal ha fallito anche la prova d’appello, consistente nel supporto alle riforme costituzionali, che non ha soddisfatto le attese.

Putin, che punta ad evitare che Khabarovsk, in recessione da anni, possa diventare una Danzica russa con annessa Solidarnosc, ha finora optato per una sorta di monitorato non intervento, secondo alcuni analisti per mancanza di reale interesse verso una zona così remota, a detta di altri per aver sottovalutato una vicenda foriera di conseguenze difficilmente contenibili, molto più probabilmente perché demandando ad un partito concorrente il compito di dirimere le questioni in sospeso, ha inteso passare un cerino acceso con il proposito di far bruciare le dita ai meno versati nell’arte della politica.

Secondo Andrej Pertsev di Meduza3, Furgal avrebbe guadagnato risonanza mediatica per la sua opposizione alla riforma del sistema pensionistico, per la riduzione sia delle spese considerate superflue sia dei suoi stessi emolumenti e, soprattutto, per aver incontrato Aleksej Navalnij, forte oppositore del governo; tuttavia, in modo ambivalente, lo stesso Furgal ha evitato scontri aperti con Mosca. Mentre le dimostrazioni (in streaming) riscuotono il 45% dei consensi, Mark Galeotti4 sostiene che le proteste di Khabarovsk sono indicative del “declino del Putinismo”.

In attesa di mosse del Cremlino, attento a non esacerbare situazioni che potrebbero volgerglisi contro in previsione delle elezioni regionali di settembre5, ed a dare precisi segnali ad aspiranti governatori con lo stigma della dissidenza, quel che si può ipotizzare è che, più che esprimere violentemente il malcontento, la società cercherà forme di adattamento al peggiorare delle condizioni generali, anche perché va considerato che tutti i ruoli chiave sono stati assegnati a putiniani, che l'opposizione è comunque interna al sistema, che il controllo su FA e su agenzie di sicurezza non è al momento in discussione, e che mettere imprudentemente alla prova il braccio secolare del regime sarebbe un grave errore politico.

Presumere che gli avvenimenti di Khabarovsk siano il preludio di qualcosa di più significativo, o che le contestazioni possano attecchire permanentemente anche altrove, potrebbe essere fuorviante; realisticamente il Cremlino, che dovrà comunque trarre dal cilindro nuove idee e maggiore flessibilità, tratterà l’affaire Khabarovsk come un problema locale, limitandolo entro precisi confini geografico-politici, interrompendo i contatti con San Pietroburgo, Kazan e la stessa Mosca, dove si sono manifestate simpatie filo siberiane.

1 A Krasnoyarsk, in Siberia, i votanti potevano aggiudicarsi un’automobile; nella regione di Khanty-Mansiysk sono stati messi in palio dieci appartamenti.

2 Siloviki ovvero rappresentanti di agenzie statali e di altre strutture a cui lo stato delega il diritto di usare la forza, oligarchi, tecnocrati. La Reuters è in possesso delle direttive governative in merito allo svolgimento delle votazioni

3 Quotidiano online di Riga

4 Docente e scrittore sulla criminalità transnazionale e gli affari securitari russi.

5 Le elezioni regionali si terranno il 13 settembre in 18 regioni, insieme a 11 elezioni di assemblee legislative e consigli comunali in 22 capoluoghi di regione

Foto: Cremlino