Cosa sta succedendo nella Turchia di Erdogan, tra neo ottomanesimo e laicismo radicale?

03/08/20

L’amarezza negli occhi del Santo Padre per Santa Sofia non è che l’ultimo schiaffo al mondo cristiano da parte del presidente Recep Tayyip Erdogan, il capo di stato turco che si era classificato al primo posto nell’edizione 2019 dei 500 musulmani più influenti del mondo.

Dopo aver assistito ad uno sviluppo sociale straordinario di questo grande Paese mediterraneo ci domandiamo cosa sta succedendo al suo interno.

Chi è Recep Tayyip Erdogan?

Erdogan, fondatore nel 2001 del Partito per la Giustizia e lo Sviluppo, è diventato il primo presidente eletto dalla Turchia nell’agosto 2014, assicurandosi poi un secondo mandato alle elezioni del 2018 con il 52,5% dei voti, con un’affluenza alle elezioni del 86 percento.

Di fatto, sotto la sua abile presidenza, la Turchia ha avuto una crescita economica senza precedenti, una riforma costituzionale mostrando le premesse di voler rinascere a grande potenza regionale ma anche globale.

Il presidente turco Tayyip Erdogan scende le scale tra i soldati che indossano le uniformi dell’esercito tradizionale dell’Impero ottomano. Una crescente ambizione che trova le sue radici nell’impero ottomano che godette per molti secoli della supremazia su gran parte del mondo islamico, ostacolata solo dai Cristiani.

Erdogan, durante il vertice straordinario su Gerusalemme dell’Organizzazione per la cooperazione islamica di Istanbul, 13 dicembre 2017, sottolineò il risveglio della Turchia "Perché lo sanno che se la Turchia si risveglia la storia risorge, la regione risorge, il mondo musulmano risorge, le nostre antiche città si rivitalizzano. Se la Turchia si risveglia Gerusalemme viene protetta, Mecca e Medina vengono protette … ". Concetto ribadito dal ministro degli Interni turco Suleyman Soylu che sembra aver ha dichiarato: "Non siamo solo la Turchia, ma anche Damasco, Aleppo, Kirkuk, Gerusalemme, Palestina, La Mecca e Medina". Un’affermazione decisamente forte che trova conferma in tante azioni concrete che preoccupano non poco l’Occidente, andando a cancellare l’eredità laica storica di Mustafa Kemal (Atatürk) che fondò la Turchia moderna nel 1923 dalle ceneri dell’impero ottomano.

Cosa significa? La Turchia si unì alle Nazioni Unite nel 1945 e nel 1952 divenne uno dei più fedeli alleati membri della NATO. Il rapido sviluppo economico con un’intelligente acquisizione delle nuove tecnologie ed una pulizia dirigenziale interna ha consentito a Erdogan di acquisire sempre più potere. Questa trasformazione interna è stata definita come un rilancio del neo-ottomanismo, per trasformare il sistema parlamentare in uno presidenziale, favorendo una forte leadership centralizzata simile all’era ottomana.

Nel 1964, la Turchia divenne un membro associato della Comunità Europea, intraprendendo molte riforme per rafforzare la sua democrazia ed economia; nel 2005 ha iniziato i colloqui di adesione con l’Unione Europea, osservata con ammirazione ma anche con qualche sospetto.

Che cosa è cambiato? Nei secoli la Turchia ebbe sempre un ruolo centrale nel mondo euroasiatico e continua ancora oggi ad essere al centro del conflitto in Medio Oriente. Il grande impero ottomano fu di fatto un grande impero islamico, dominato dai Turchi con i quali le nazioni europee dovettero spesso venire a patti.

In tempi moderni la sua apparente stabilità interna sostenuta prima da forze armate imponenti e poi da un’economia importante (la 17 esima a livello mondiale) ne hanno favorito l’influenza nelle regioni limitrofe caratterizzate da grande instabilità politica. La rivalità mai sopita con l’Arabia Saudita, che risale all’inizio del XIX secolo, ha portato Erdogan a dichiarare che "la Turchia è l’unico paese in grado di guidare il mondo musulmano". Forse un rifiuto diretto sia della pretesa di una leadership islamica a livello globale da parte dei Sunniti dell’Arabia Saudita e di conseguenza degli Sciti dell’Iran? Certamente un fine disegno machiavellico con cui Erdogan ha lentamente consolidato il suo potere politico, diventando primo ministro nel 2003 e poi presidente della Turchia nel 2014, un ruolo che manterrà ufficialmente fino al 2023.

Nel luglio 2016, Erdogan ha usato un quanto meno strano colpo di stato per eliminare alla radice le gerarchie militari a lui contrarie. Ma non solo, si stima che l’epurazione ha colpito oltre 100.000 impiegati del servizio pubblico, incarcerando oltre 50.000 persone tra cui molti giornalisti.

Il caso dell’ammiraglio ammiraglio Cihat Yaycı

Recentemente hanno suscitato molta attenzione, sia in Turchia che all’estero, la rimozione dell’ammiraglio Cihat Yaycı, comandante dello staff militare, da parte del presidente turco Recep Tayyip Erdoğan. Per le sue implicazioni nella politica di sicurezza marittima, Yaycı non può essere considerato un ammiraglio qualunque ma il principale architetto della dottrina dell’espansione navale turca della “Patria Blu” (Mavi Vatan) attraverso il Mediterraneo.

Nel suo libro “Le esigenze della Grecia: i problemi nell’Egeo con domande e risposte“, Yaycı ha affermato che la Turchia ha il diritto a rivendicazioni territoriali su oltre 150 rocce e piccoli isolotti, attualmente appartenenti alla Grecia, al largo della costa turca, rivendicando una vasta zona navale tra le acque turche e libiche, a spese di Creta e Cipro. Problematiche che potrebbe alimentare le mai sopite problematiche con Atene che in passato avevano portato anche a scontri navali fra i due membri della NATO.

La dottrina navale di Yayci, che potremmo definire decisamente aggressiva e nazionalista, ha portato al controverso accordo marittimo con il governo di accordo nazionale della Libia che ha notevolmente aumentato le tensioni tra Atene e Ankara ma anche con Tel Aviv.

La rimozione di Yayci fa pensare ad una lotta di potere in corso con i militari (per lo più in pensione) che potrebbero essere identificati come “euroasianisti” un concetto geopolitico interessante. In realtà l’Eurosianesimo trovò origine in Russia, all’interno della “bianca” comunità di emigranti russi, che riteneva che la civiltà russa non apparteneva alle categorie “europea” o “asiatica”, ma ad un concetto geopolitico dell’Eurasia, basato su differenze culturali ed etniche che creano sotto un certo aspetto un’unicità storico politica.

I turchi sono dislocati in diversi teatri di guerra, dalla Siria alla Lybia, per sostenere le politiche estere di Erdogan. I militari pro Erdogan, che sotto un certo aspetto potrebbero ispirarsi allo stesso principio, ebbero il sopravvento durante il tentativo di colpo di stato a metà luglio 2016 quando gli alti ranghi filo-americani e filo-NATO, vennero estromessi dai ranghi più alti.

Gli eurasianisti turchi appoggiarono quindi Erdoğan, il ministro della Difesa Hulusi Akar e l’attuale capo di stato maggiore Yaşar Güler.

Queste visioni interne tra un nazionalismo laico duro ed un neo ottomanismo potrebbe lasciare aperto un possibile confronto tra islamisti e laici di linea dura che non facilita gli equilibri interni di Erdogan.

Se da un lato la politica della “Patria blu” è stata assolutamente favorevole ad Erdogan, sia a livello regionale che per uso domestico, dall’altro esistono delle visioni diverse e profonde che, da abile sultano machiavellico, utilizza sul principio del “usa, abusa e getta via” attualmente con il supporto del generale Akar. Un uomo fedele che, oltre ad assicurargli l’appoggio del grande esercito, è il suo contatto privilegiato per mantenere aperte le relazioni con il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ed il Pentagono, che si erano incrinate dopo la dichiarazione di Erdogan sul New York Times, quando minacciò che se gli USA non avessero invertito “la tendenza all’unilateralismo e alla mancanza di rispetto” la Turchia sarebbe stata “costretta ad iniziare a cercare nuovi amici e alleati“. Derive interne nazionaliste troppo aggressive potrebbero quindi essere pericolose ed è fondamentale che il generale Akar mantenga un controllo sulle gerarchie militari.

In questa ottica, la rimozione di Yaycı potrebbe essere vista come un avvertimento al fianco più nazionalista di stare al suo posto. Questo non vuol dire che avverrà l’arresto delle mosse espansionistiche della Turchia nel Mediterraneo orientale.

Le perforazioni al largo della costa di Cipro, l’escalation sulle isole del Mar Egeo e l’incursione in Libia continueranno nella visione di una grande Turchia, in una politica di ridurre la dipendenza energetica, ma, soprattutto, di esportare il jihadismo neo ottomano stabilendo nel Mediterraneo un punto d’appoggio in Libia – confrontando Egitto e Tunisia, ma anche la linea meridionale dell’Unione Europea. Un fattore che l’Italia dovrebbe osservare con grande attenzione, considerando il fattore destabilizzante delle migrazioni clandestine, spesso paventate come arma demografica da Erdogan ma anche la questione non chiaramente risolta dei pozzi ENI. Con l’azione di forza turca fu mandato un messaggio chiaro a tutte le compagnie straniere che operano nelle acque di Cipro. Ad esempio il blocco 3 delle acque esclusive di Cipro, sono infatti reclamate dalla Turchia attraverso lo Stato turco-cipriota, per cui secondo Ankara le perforazioni Eni diventano ‘una minaccia per Cipro nord’.

In sintesi, l’affare Yaycı potrebbe essere l’ennesimo sintomo di una lotta di potere che si svolge nei corridoi di Ankara, in cui l’ago della bilancia oscilla pericolosamente tra estremismi di ogni genere ma sempre nelle mani di Erdogan. Con i gülenisti e le gerarchie militari pro-NATO estromesse, la Turchia si ritrova in una posizione di incertezza tra restare l’alleato da sempre fedele degli Stati Uniti e la sempre più presente Russia nel Mediterraneo.

E l’Italia, unica Marina mediterranea in grado di deterrere eventuali derive ed instabilità nella Regione, che cosa fa per difendere i propri interessi politici ed economici?

Andrea Mucedola (http://www.ocean4future.org)

Foto: presidency of the Republic of Turkey / Türk Silahlı Kuvvetleri / Twitter