Cina: i diritti umani al tempo dello slalom

(di Gino Lanzara)
04/02/22

Alzi la mano chi, più o meno fino alle Olimpiadi invernali di Torino, poteva dire di conoscere il curling; pochi. Parlando di neve e ghiaccio il pensiero correva immancabilmente a sci, trampolini impressionanti, pattini, ma veder scivolare quella specie di pentola a vapore di granito sul ghiaccio, con due spazzole mosse freneticamente, è stata per molti la scoperta di una magia. Anche la geopolitica, se rapportata allo sport, condivide qualcosa di più della fascinazione del mistero dello scivolamento della stone del curling; spesso, rubando la frase al Vicequestore Schiavone1, la soluzione ce l’hai sotto gli occhi e non la vedi. Insomma, la geopolitica dello sport esiste eccome; se la geografia è vissuta come un riflesso della cultura socialmente condivisa, allora lo sport è a sua volta un fenomeno che può plasmare, come elemento identitario, comportamenti e valori, malgrado siano esistiti eccezioni che hanno confermato le regole: chi avrebbe scommesso anche sulla sola presenza della squadra jamaicana di bob nel 1988?

Tra geopolitica e sport c’è in comune la competizione tra attori, c’è antagonismo, ci sono territori, rappresentazioni che legittimano azioni e culture contrapposte. L’uso dello sport è potere, soft magari, ma sempre potere: in passato le Olimpiadi hanno agevolato la ripresa di relazioni diplomatiche interrotte o la loro instaurazione, o hanno sancito un’affermazione di potenza, o hanno consentito di ribadire l’esistenza di entità altrimenti dimenticate2; non a caso spesso ai giochi partecipano più rappresentative di quanti siano gli Stati capaci di esercitare sovranità.

Gli eventi sportivi veicolano immagini, ruoli politici, dimensioni internazionali, ideologie. Nel 1968 Tommie Smith e John Carlos hanno alzato il pugno sul podio, più recentemente in occasione dell’incontro di calcio con il Kosovo per le qualificazioni mondiali gli Spagnoli hanno accuratamente evitato di citare il nome di un Paese non riconosciuto diplomaticamente.

Dopo Tokio ecco nuovamente Pechino, capace di ospitare sia i soffocanti giochi estivi che i gelidi invernali, un’area, quella dell’Asia orientale, dove Cina, Giappone e Corea del Sud, considerano le manifestazioni sportive alla base della loro public diplomacy.

Se le Olimpiadi di Tokio del 1964 sono state funzionali ad un ritorno post bellico in società, quelle di Pechino del 2008 hanno rappresentato il ballo di debutto cinese, destinato a certificare l’apertura di un nuovo capitolo delle relazioni internazionali, un iter già percorso da altri Paesi in passato.

La Germania nel 1936, sotto il manto di un’organizzazione perfetta che, riecheggiando l’antichità classica, inaugurò il rito della torcia olimpica, riuscì a nascondere intolleranza e militarismo tanto da evitare da parte dell’Occidente boicottaggi o lesioni d’immagine; se volete, sotto certi aspetti, un’anticipazione degli acquiescenti Accordi di Monaco.

Una cosa è certa: la propaganda funzionò talmente bene che il documentario Olimpia di Leni Riefenstahl fece scuola; peccato che appena due giorni dopo la fine dei Giochi, il capitano Fuerstner, responsabile del villaggio olimpico, si suicidò a seguito del suo allontanamento dall’esercito a causa dell’ascendenza ebraica.

Che i Giochi non siano poi così aderenti allo spirito olimpico di de Coubertin lo ricorda comunque la storia, con esclusioni conseguenti alla guerra, a proteste come per la crisi di Suez e l’invasione dell’Ungheria, o per il rispetto dei diritti civili come in Messico, o per il sangue israeliano di Monaco del 1972. Tenuto conto che il 2022 sarà anche l’anno dei mondiali del Qatar, associare all’evento sportivo geopolitica e geoeconomia non è poi così paradossale, visto che tante fortune politiche si sono fondate proprio sull’arte pedatoria cantata da Gianni Brera.

Poteva poi mancare un accenno alla genetica ed ai rimedi scientifici? Assolutamente no, visto che il doping continua a far parlare di sé peraltro con le sanzioni comminate al Comitato Olimpico Russo, e con i Giochi pechinesi del 2008 che, pur dopo anni e pur dopo aver dovuto sorbire l’avanguardistica propaganda tecnologico scientifica, si sono scoperti viziati dalla nutrita presenza di atleti dopati.

Nel XX secolo genetica, farmacologia e sport si sviluppano parallelamente in perfetta simbiosi; in Cina la politica, sia pur a fasi alterne, dà slancio alla scienza collegata allo sport, perché è sempre la politica che a Pechino decide pervasivamente tutto e che deve necessariamente imporsi su una visione culturalmente arretrata, con lo sport quale strumento individuato per poter accedere ai consessi più rilevanti. Anche in Cina, grazie a Deng, l’atleta può ora competere non solo per la gloria nazionale ma anche per la propria fama personale.

Nel 2008 la Cina mostra al mondo i risultati ottenuti nello sport, strumento strategico per ridiscutere la sua posizione internazionale e per dare corpo a nazionalismo e spirito identitario, in un connubio di interessi che vede la cura dei vivai giovanili, l’intervento del Partito in simbiosi con i privati. Chissà che ne avrebbe pensato Mao...

Nel 1981 la squadra di pallavolo femminile entra nella leggenda con la vittoria al quinto set contro il Giappone, l’antagonista di sempre, in occasione della Coppa del Mondo di pallavolo disputata proprio a Tokyo; data l’importanza attribuita all’attività agonistica, la carriera sportiva viene equiparata a quella militare, e vengono dunque previste le stesse garanzie a termine attività.

Nel 2008 nulla viene lasciato al caso; alla presenza del presidente Hu Jintao la cerimonia di apertura celebra in 50 minuti 5000 anni di storia e presenta una Cina nuova ma con un cuore antico, imperiale, egemone.

Riprendiamo fiato (ci vuole). Politicamente gli eventi del 2022 in Cina sono svariati, e le Olimpiadi sono uno dei castoni del diadema del Partito, anche in ottica soft power, o meglio sharp power3, visto che il Made in China 20254 dovrebbe permettere al Dragone di completare la prima fase di industrializzazione.

Questo è l’anno della Tigre, in cui si potrà sia testare la validità delle misure anti covid, sia la reazione politica di dissenso che potrebbero esprimere le elezioni a Hong Kong, su cui influiranno senza dubbio la legge sulla sicurezza nazionale e la riforma del sistema elettorale. In autunno, per Xi, arriverà il momento dello slalom più importante, ovvero quello del XX Congresso del PCC, che presumibilmente lo consacrerà alla leadership del Paese, con un occhio all’instabilità confinaria con Afghanistan e Kazakistan, ed alla latente competizione agonistica con gli USA, che si intendono contenere privilegiando la BRI ed avvicinandosi per mero interesse a Mosca; tutto ciò mentre l’Ue ha avviato un procedimento contro Pechino per pratiche discriminatorie contro la Lituania, cosa che indica un irrigidimento di Francia e Germania. È in fondo il solito vecchio gioco dell’equilibrio di potenza, che ha visto il nostro Paese avvalersi dell’uso del golden power su semiconduttori e 5G.

Il fronte politico interno non è meno turbolento, anche a livello di gossip, con la liaison che ha coinvolto la tennista Peng Shuai e l’ex vice premier Zhang Gaoli, legato all’ex presidente Jiang Zemin, ed accusato di violenze sessuali. Al di là di speculazioni qui non attinenti, la vicenda, vera o meno che sia, potrebbe indebolire le cordate di potere avverse a Xi. Insomma, cherchez la femme.

Intanto, dall’estero arrivano le bordate dei boicottaggi diplomatici, che non prevedendo la presenza di rappresentanti istituzionali però non vietano la partecipazione degli atleti alle competizioni, per via del carente (please, adottare intonazione ironica) rispetto dei diritti umani. Gli USA hanno aperto le procedure, seguiti da diversi altri Paesi5, cui è seguita la rabbiosa replica cinese che non ha escluso successive azioni ritorsive. Povero de Coubertin.

E l’Italia? Situazione difficile; quale designata prossima sede olimpionica ha rinunciato a qualsiasi boicottaggio, ma di certo, anche a fronte del consueto tentennamento UE, ha scontentato l’alleato d’oltre Atlantico. C’è da sperare che Torino non abbia a soffrire di azioni di rivalsa.

Nel frattempo tutti i partecipanti ai giochi dovranno scaricare la temutissima app My 2022, voluta dal governo cinese per monitorare le presenze, ma che presenta molteplici vulnerabilità tali da indurre molti paesi occidentali a non utilizzarla. Italia esclusa.

Ma quanto vale l’indotto sportivo? Tantissimo. Il governo ha favorito i soggetti economici legati sia ai consumi sia alla promozione pubblicitaria. L’industria cinese, in ambito sportivo, grazie ai successi ottenuti sul campo, non è più solo emergente, ed entro il 2035 raggiungerà un valore di 696 miliardi con la creazione di un trend utile alla diversificazione degli investimenti.

Il 2022 sarà dunque caratterizzato ad inizio e fine da uno sport molto poco de Coubertiniano: Pechino e Qatar, danno forma ad una geopolitica dello sport più complessa di quella bipolare caratteristica della Guerra Fredda, che ha comunque lasciato il posto ad un’interpretazione binaria ma che scinde troppo semplicisticamente democrazia da autoritarismo.

Se è innegabile una scarsa attenzione cinese verso i diritti umani, rimangono in ombra le querelle riguardanti i profitti ricavati dalle aziende occidentali, che comunque non hanno rinunciato alle sponsorizzazioni, interessate da forme di lavoro più o meno coatto, problema analogo a quello riguardante la Coppa del Mondo FIFA 2022 in Qatar. Ad ogni modo, che il momento per la Cina sia a dir poco delicato è testimoniato dall’attenzione prestata alla deflagrazione pandemica che ha preso il via da Wuhan, che si aggiunge alla questione tibetana, uigura, di Hong Kong.

Non illudiamoci: la tregua olimpica, del resto, è sempre stata una chimera, anche alla luce degli odierni equilibrismi dialettici del CIO che, per esempio, non riesce a mediare soluzione valide riguardanti gli incontri tra atleti israeliani ed atleti arabi, sistematicamente rinunciatari.

Romanticamente, per chiudere, dopo aver iniziato con il granito, terminiamo con le ali di Jesse Owens, comunque poco apprezzato in patria, malgrado tutto, e soprattutto con la classe e l’immenso cuore del suo antagonista, Luz Long. Punta di lancia della nazionale di atletica tedesca nel 1936, Long non esitò ad aiutare il rivale che poi vinse l’oro.

Poco prima di morire in guerra, in Sicilia, Luz scrisse a Owens, chiedendogli di non dimenticare il figlio, e di raccontargli chi e cosa fosse stato il padre. Ci sono ancora persone così?

1 Personaggio dalla romanità imbattibile creato da Antonio Manzini

2 Vd. Taiwan

3 Di più rispetto al soft power ma di meno rispetto all’hard power, ossia all’uso di mezzi coercitivi militari per influenzare e/o assoggettare

4 piano di riforme industriali del 2015

5 Ricordiamo tra gli altri Australia, Belgio, Canada, Nuova Zelanda, Regno Unito

Foto: Xinhua / Bundesarchiv / web