Bab el Mandeb: scongiurare l’apertura di un nuovo fronte di guerra

(di Filippo Romeo)
21/12/23

Uno dei maggiori rischi da scongiurare nel drammatico conflitto israelo-palestinese è l’estensione del suo raggio d’azione al resto dell’area. Un pericolo che rischia di concretizzarsi a seguito dell’escalation degli attacchi nel Mar Rosso. Il lancio di missili e droni da parte degli Houthi yemeniti sulle navi e i cargo in navigazione stanno già avendo degli effetti sui sistemi logistici con ricadute economiche che potrebbero rivelarsi di portata globale.

L’azione messa in campo dagli Houthi pone, infatti, in evidenti difficoltà le maggiori compagnie di navigazione, alcune delle quali - Maersk Line, Hapag Lloyd, Mediterranean Shipping Company - hanno preannunciato di rinunciare a tale rotta preferendo circumnavigare l’Africa, passando attraverso Capo di Buona Speranza, nonostante il notevole incremento di costi e di tempi di consegna stimati in circa 7/10 giorni in più di navigazione.

La rilevanza della vicenda e delle possibili ripercussioni si evince dall’importanza strategica dello stretto di Bab el Mandeb che, dando accesso al Mar Rosso, e quindi, al Mediterraneo attraverso Suez, costituisce uno dei principali colli di bottiglia della geopolitica marittima globale. Da Bab el Mandeb, infatti, passano le rotte commerciali e navali che congiungono l’Asia con Europa e Stati Uniti. Uno specchio di mare, della larghezza di 32 km, localizzato tra Yemen, Gibuti ed Eritrea, che separa il corno d’Africa dalla penisola arabica, le cui acque sono costantemente attraversate da navi cariche di manufatti e prodotti energetici che costituiscono circa il 30% dei flussi economici del sistema globale e i cui fondali sono attraversati dalla rete di ben 15 cavi sottomarini che uniscono la Francia con Singapore, all’interno dei quali corrono transazioni finanziare, messaggi sensibili e tutti gli altri dati che viaggiano via rete.

In un momento in cui il conflitto nella striscia di Gaza sembra procedere verso un temporaneo “cessate il fuoco” e in cui i maggiori attori dell’area, su tutti gli Hezbollah libanesi, stanno mantenendo un basso profilo che ha sollevato le velate critiche di Hamas, gli Houthi yemeniti con questa azione sul Mar Rosso hanno alzato l’asticella fino ad indurre gli Stati Uniti ad aumentare la presenza militare nell’area con il potenziamento della task-force internazionale per la sicurezza marittima a guida Bahrein.

A parere di autorevoli analisti, tra cui Philbrick Yadav, l’azione messa in campo dagli Houthi, evidentemente finalizzata ad aumentare la pressione su Israele affinché tolga l’assedio su Gaza, li aiuterebbe sia ad accrescere la loro popolarità interna in Yemen di cui controllano buona parte del territorio settentrionale e in cui il sostegno alla causa palestinese gode di ampia popolarità, che ad ottenere una maggiore contropartita nelle trattative di pace in atto con i sauditi. Un Paese, lo Yemen, anch’esso sconvolto da otto lunghi anni di guerra definita dalle Nazioni Unite la più grave catastrofe umanitaria dalla fine della seconda guerra mondiale. Un conflitto, oggi apparentemente congelato grazie alla mediazione omanita, alle distensioni tra Iran e Arabia Saudita ma, soprattutto, alla volontà di quest’ultima di fuoriuscire dal conflitto a fronte del mancato raggiungimento degli obiettivi dopo l’intervento militare iniziato nel 2015. A tal riguardo, occorre considerare sia che l’allineamento degli Houthi con Teheran risale alle vicende del 2015, in cui la capitale iraniana si è mostrata disponibile a fornire agli Houthi buona parte degli armamenti, ma anche il fatto che il gruppo ha la capacità di armarsi anche autonomamente per via delle conoscenze ereditate da membri dell’ex esercito yemenita passati dalla sua parte. In sostanza, la dipendenza degli Houthi da Teheran non è affatto scontata.

Quella che gli Houthi stanno combattendo in Yemen non va, quindi, interpretata come una “proxy war” tra Iran e Arabia Saudita. Per come fa notare Angelo Travaglini nel suo volume Yemen Dramma senza fine, a supporto di tale tesi appare significativa anche la testimonianza dell’ex-vice Segretario alla Difesa statunitense Lawrence Korb secondo cui “Teheran non è in grado di condizionare gli Houthi, in quanto sono troppo gelosi della loro identità”. Questi, infatti, fieri della loro identità araba e del loro sciismo zaydita, appaiono refrattari a qualsiasi sudditanza e autonomi sia nel giudizio che nelle decisioni da assumere.

All’interno di questo complesso scenario, in cui si intrecciano diversi fattori ed elementi locali, regionali e globali, la messa in sicurezza dello stretto di Bab el Mandeb appare, ad oggi, una priorità che interessa un’ampia pletora di attori tra cui, senz’altro, l’Italia la cui dipendenza dal mare è pari ad un quarto del Pil nazionale. Un’arteria, quella che passa dal Mar Rosso, certamente vitale per la nostra economia, da cui transita buona parte dei nostri interscambi via mare e la cui ostruzione ci metterebbe in serie difficoltà. Ne è prova il fatto che la nostra Marina Militare parteciperà con l’impiego della fregata Fasan all’operazione Prosperity Guardian insieme a Gran Bretagna, Francia, Olanda, Spagna, Norvegia, Seychelles. Tuttavia, come fa notare Guido Olimpo dalle colonne del Corriere della Sera, alcuni attori sembrerebbero non inclini ad un nuovo conflitto con gli Houthi. Tra questi, proprio i sauditi e gli emiratini, nonostante siano allarmati dalla situazione per via dei cospicui interessi nel settore della logistica, ma anche gli egiziani, che dal pedaggio di Suez incassano annualmente 9.3 miliardi di dollari, mostrano delle riserve ad intervenire.

Non ancora chiara appare la posizione della Cina anche se, per come mette in luce Olimpo, le sue unità presenti nell’area con appoggio nella base di Gibuti non sono intervenute alle richieste d’aiuto da parte di capitani finiti nel mirino.

Anche l’India ha di fatto deciso di non aderire all’iniziativa statunitense per preservare la stabilità della regione. Un nuovo fronte, difatti, potrebbe far deflagrare l’intera area che al momento si presenta come una polveriera anche per la presenza di cellule di al-Qaeda sia nel Sinai che Yemen dove, in particolare, sono profondamente radicate nel contesto socio-politico.

Nel frattempo in Oman gli Houthi sono impegnati per una soluzione diplomatica con “le parti internazionali” che ad oggi rimangono sconosciute. Ciò, oltre a placare la situazione nel Mar Rosso, potrebbe condurre al raggiungimento di un equilibrio stabile all’interno del Paese il cui elemento cardine è la pacificazione tra Houthi e Arabia Saudita.

L’accordo, verso cui le parti sembrano ormai convergere, oltre a fissare un fondamentale tassello nel disarticolato mosaico regionale, scongiurerebbe una crisi più ampia che andrebbe a coinvolgere i maggiori attori, fino ad ampliarsi su scala globale, e dalla quale difficilmente si potrebbe tornare indietro.

Foto: U.S. Navy