Attendismo strategico. Le contraddizioni tedesche al tramonto dell’era Merkel

(di Andrea Forte)
27/05/21

Il 26 settembre 2021 in Germania si svolgeranno le elezioni per il nuovo cancelliere. Ad esse non parteciperà Angela Merkel, che conclude così la sua esperienza di governo, iniziata con il primo mandato nel 2005. I conflitti di potere e dunque le dinamiche geopolitiche, in cui si è svolto il suo lungo cancellierato, richiedono risposte strategiche che la cancelliera non ha dato. Tale mancanza è dovuta prevalentemente ad un deficit identitario e di pensiero strategico, senza un recupero dei quali è impossibile agire all’altezza della propria statura geopolitica.
Questi deficit sono radicati nella faglia geopolitica che condiziona l’esistere e l’agire della collettività tedesca. Una faglia geopolitica può essere uno scatto verso l’alto, un sorgere con le proprie forze, un decidere di essere, oppure un abisso, un suicidio strategico, in cui muore o rischia di morire il Paese stesso.

In ogni caso la faglia geopolitica per la Germania di oggi è la sconfitta nella seconda guerra mondiale, combattuta contro gli Alleati. È una ferita geopolitica che l’ha privato della parte “alta” della sua sovranità, relegandola dal 1945 a essere parte del sistema di potenza degli Stati Uniti. Tale condizione non è modificabile. In quella faglia però non si è solo generata la carne della Germania odierna, ma anche lo spirito: gli americani hanno voluto sterilizzare il popolo tedesco come soggetto geopolitico, ossia, dal loro punto di vista, creargli un’identità funzionale ai loro obiettivi strategici di superpotenza.

La base di ogni strategia di una superpotenza è impedire ad un paese regionale di diventare perno del continente cui appartiene. Gli Usa non vogliono che i tedeschi facciano i conti con il proprio passato, perché questo li renderebbe di nuovo una potenza, data la natura e le risorse della collettività in questione. Dunque hanno tolto alla Germania occidentale il passato, criminalizzandolo tout court, travestendo così di morale l’imperativo seguente, cioè disabituarla al pensiero strategico, perché sempre usato per una potenza distruttiva (in realtà contraddittoria al dominio Usa).

Creando un deficit di continuità storica, gli Usa hanno generato un deficit di identità. Serviva crearne una nuova e funzionale. Se non si è il passato, si è il presente, così si è permessa la potenza economica, rendendo il sistema economico tedesco il fulcro di un’identità che, poiché colpevole, può esistere solo in forma post-storica, post-nazionale, pacifista, disciolta geopoliticamente nell’Unione europea nella Nato… e ricca.

Il modello economico tedesco, per i tedeschi, non è solo uno strumento, è piuttosto l’Ordine, fine in sé, morale in sé… identità. E poiché la Germania ha creduto veramente che i soldi potessero creare il “noi” tedesco, è caduta nella trappola.

La Germania è, per gli Usa, il Paese più importante nel continente più importante per il loro dominio. Perciò contraddicono la convenienza di aprire ad un rivale, la Russia, che affaccia sull’Europa, per usarlo contro l’altro, la Cina, che lì non poggia. Gli Usa temono che una Germania sovrana aprirebbe alla Russia, con cui è complementare, potendo unire la prima industrie e tecnologia e la seconda energia, in sostanza un potenziale dominio tedesco del continente. La necessità strategica assoluta di separare la Germania dalla Russia del resto non è solamente statunitense, ma è storicamente una costante della grammatica strategica di qualunque soggetto geopolitico voglia porsi come egemone.

Non avendo capito tali dinamiche, o avendole all’opposto strategicamente ignorate (è il sospetto statunitense), la cancelliera ha urtato gli interessi del suo egemone, dando possibilità geopolitiche a Russia e Cina, scambiandole per opportunità economiche. Alla prima permettendo di aggirare i Paesi del centro-est Europa, portando direttamente il gas in Germania con l’avvio della posa del gasdotto Nord stream 2 (attendisticamente quasi finito), passando per il Mar Baltico, alla seconda, impegnata in un’ascesa contro gli Usa, hanno più o meno fornito sponda per le vie della seta, tentata contro-globalizzazione geopolitica che cerca di sottrarre l’Europa all’America, attraverso un approdo ideale del progetto in Germania, cuore del continente e del dominio su di esso.

Nel concedere spazio alla Russia ha reso più insicuri i Paesi dell’Europa centro-orientale, il cui risentimento verso la Russia è decisivo.
Considerando in modo identitario-morale il proprio modello economico (mix di ordoliberismo e mercantilismo votato all’export), la Germania non ne comprende la nocività geopolitica. I tedeschi usano l’export per incamerare surplus commerciali non redistribuiti ai Paesi dell’euro, ma usati per il proprio welfare, necessario a tenere unite popolazioni tedesche storicamente disomogenee, cosa che impoverisce i partner europei. Dovrebbe invece, se volesse farsi perno di un sistema, redistribuire il suprlus e farsi parzialmente carico dei loro debiti - il recovery fund va in tale direzione solo se la Germania lo implementa con mentalità geopolitica, ovvero come condivisione stabile, non occasionale, del malessere europeo, altrimenti è solo uno strumento che mantiene in vita l’euro, per il benessere tedesco.

Un centro di sistema compra le merci dei Paesi per tenerli legati a sé, invece di impoverirli. Anche qui gli Usa temono proprio questo, l’inizio di una fase di assunzione di responsabilità in quanto centro di un’area di influenza geopolitica, tollerabile solo se la si schiera a favore statunitense nella battaglie decisive che combattono, ma non conoscendo la Germania stessa il senso geopolitico del proprio agire, insospettisce gli Usa, più che crearsi spazi realistici di maggiore autonomia. Inoltre, vivendo di export, la Merkel non ha comunque dotato il Paese di forze armate capaci di garantire le rotte marittime che lo rendono possibile, perciò esponendosi a blocchi commerciali di natura geopolitica.

La più importante criticità strategica riguarda la tenuta delle popolazioni tedesche e le crisi di identità generate dalla degermanizzazione estesa alla Germania orientale con la riunificazione nel 1990. Lì i sovietici avevano permesso il recupero di un certo spessore identitario, purché socialista. Tutto ciò che non fu nero, nazista, fu reinventato rosso, quindi venne creato il mito di Bismarck rivoluzionario imperiale, la Germania di Weimar come Prussia rossa... Il tentato soffocamento degermanizzante laddove in realtà una certa idea di stato nazionale era rimasta, porta nel 2013 nell’ex Germania est alla nascita di un partito nazionalista-identitario, Alternative für Deutschland (Afd), che sostiene il recupero dell’identità tedesca, fino ad acquisire una radicalità nazisteggiante.

L’irrompere del tema dell’identità anche in parlamento, dove Afd è eletta nel 2017, fa venire a galla il tema della disomogeneità etnico-storica delle genti tedesche, est- ovest innanzitutto, anche perché accentuato da una maggiore povertà della Germania orientale e dal tema dei migranti. La Merkel infatti ha nel 2015 aperto le porte a un milione di profughi, per poi accorgersi come fosse poco gestibile un tale fenomeno e ha perciò usato l’Unione europea per pagare il presidente turco, affinché bloccasse i migranti in Turchia. Da questo episodio emerge ancor di più l’atteggiamento della Merkel, per cui, quando il benessere strategico evolve (o involve) in criticità strategica, il deficit di pensiero strategico e coraggio le fanno rispondere con l’attendismo strategico. Perché non sa e/o perché non vuole.

In definitiva la collettività è divisa tra quella parte più americanizzata, assolutamente non disposta a pagare il prezzo di un salto geopolitico verso una potenza realistica, consapevole che non sono più fattibili, data la forza tedesca attuale, né la coincidenza totale né la rottura totale tra interesse nazionale e interessi americani e europei e chi invece vuole un recupero nazionalistico della propria identità, che in realtà creerebbe più che nuova autonomia, contraddizione strategica con la faglia suddetta. Ad entrambi l’attendismo strategico non ha dato risposte, provocando un radicalizzarsi delle parti, tra verdi, non plus ultra di convinzioni post-nazionali e post-storiche, ed estrema destra. Lascia dunque un Paese senza risposte in un mondo geopolitico non più simmetrico alla sua potenza riluttante.

Foto: Cremlino