Analisi della delicatissima situazione economico-sociale dell'Ucraina

(di Andrea Gaspardo)
15/02/22

Da 8 anni a questa parte, da quando l'Ucraina venne interessata da quella pestilenza politico-ideologica nota a tutti con il nome di “Euromaidan”, il mondo dell'informazione (e della disinformazione) non importa se in TV, sulla carta stampata oppure online, ci ha bombardato di notizie propagandate dagli individui più improbabili (da questo punto di vista Facebook rappresenta un campionario che oserei definire esilarante!) che hanno profuso sforzi, che descrivere come “eroici” è riduttivo, volti a martellare nella nostra coscienza collettiva l'assioma che: “La Russia è la causa di tutte le disgrazie che sono capitate all'Ucraina!”.

Con l'arrivo dell'anniversario di Euromaidan, e mentre i tamburi di guerra stanno ormai risuonando con sempre maggior clangore nelle lande dell'Europa dell'Est, ho deciso nel mio piccolo che è arrivato il tempo di dire “basta” e mettere per iscritto le (tante) ragioni per le quali l'Ucraina è in una situazione delicatissima (e nessuna di esse ha a che vedere con la Russia). So benissimo che questo scritto risulterà particolarmente antipatico ma essendo convinto della bontà dei miei strumenti d'analisi così come della valenza universale del “raziocinio”, mi cimento ugualmente in questa non facile prova sicuro del fatto che la Verità (quella con la V maiuscola) non ha bisogno di traduzioni.

L'incapacità da parte dell'Ucraina di trovare una propria strada di sviluppo autonomo appare evidente se noi analizziamo la sua evoluzione (o forse sarebbe meglio chiamarla “involuzione”) a livello economico e demografico-sociale dall'indipendenza ad oggi, raffrontandola con quanto avvenuto negli altri paesi post-sovietici che, venendo da una traiettoria storico-economica comparabile, rappresentano degli ottimi termini di paragone. Osserviamo ora la seguente tabella che rappresenta la variazione del livello del PIL a prezzi costanti in tutti i paesi post-sovietici dal 1991 al 2015 a partire dai dati forniti dalla Banca Mondiale:

Osservando attentamente i dati di ciascun paese, tranne quelli dell'Estonia che non sono disponibili (ma che a livello intuitivo non dovrebbero discostarsi tanto da quelli degli altri Paesi Baltici) si possono notare tutta una serie di interessanti dettagli.

Prima di tutto, fissato a 100 il livello del PIL che tutte le repubbliche ex-sovietiche avevano nell'anno 1991, ultimo anno di esistenza del “Grande Impero” (ma non dimentichiamoci di tenere a mente che il 1991 non è stato l'anno più florido dell'economia sovietica, dato che tale soglia venne raggiunta nel 1988 e nei 3 anni successivi l'economia dell'URSS entrò in una fase di protratta crisi!), nei primi anni '90 tutte le economie degli “stati successori” subirono perdite notevoli causate dei drammatici cambiamenti che avvennero in quel periodo.

Per la verità, nonostante la situazione, alcuni paesi riuscirono a riavviare un nuovo ciclo di crescita economica già nella prima metà degli anni '90, come è il caso, per esempio, delle tre Repubbliche Baltiche, dell'Armenia e della Georgia mentre la maggior parte degli altri poterono unirsi al gruppetto di testa nel corso della seconda metà degli anni '90. La ragione di questa tendenza deve essere ricercata nelle prestazioni dell'economia della Russia. Nonostante infatti l'integrazione economica nello spazio ex-sovietico sia andata in frantumi con la perdita del grande “mercato comune” costituito dall'enorme paese unificato, ancora oggi l'economia russa, in un modo o nell'altro, funge da magnete per le economie delle altre “repubbliche sorelle” quindi quando la Russia cresce economicamente anche gli altri paesi post-sovietici lo fanno, mentre quando l'economia russa soffre, il disagio si espande rapidamente anche agli altri “soyuzniki”, come si è visto, per esempio durante la grande crisi del 2014 a seguito degli eventi di Euromaidan, della Crimea e del Donbass. Ecco perché quando nel 1996-97 l'economia russa ha iniziato nuovamente a crescere in maniera sostenuta, ben 8 tra le altre repubbliche l'hanno seguita a stretto giro.

L'eccezione degna di nota è stata proprio l'economia dell'Ucraina, la quale ha iniziato a crescere nuovamente solamente a partire dall'anno 2000. Per avere un'idea del declino economico del paese nel periodo compreso tra il 1991 ed il 2000 basterebbe dare un'occhiata ai dati forniti dal Fondo Monetario Internazionale, dalla Banca Mondiale e dallo stesso governo ucraino che attestano la “crescita economica” (per usare un eufemismo) come segue:

  • -1992: -9,9%;
  • -1993: -14,2%;
  • -1994: -22,9%;
  • -1995: -12,2%;
  • -1996: -10%;
  • -1997: -3%;
  • -1998: -1,9%
  • -1999: -0,2%

A questa lunga fase di declino economico ne è seguita un'altra caratterizzata da una buona espansione danneggiata però dalla crisi mondiale seguita al crollo di Wall Street (la famosa crisi dei mutui sub-prime) e da una successiva stagnazione dovuta alle contraddittorie politiche economiche dell'allora presidente Viktor Yanukovych:

  • 2000: +5,9%;
  • 2001: +8,8%;
  • 2002: +5,3%;
  • 2003: +9,5%;
  • 2004: +11,8%;
  • 2005: +3,1%;
  • 2006: +7,6%;
  • 2007: +8,2%;
  • 2008: +2,2%;
  • 2009: -15,1%;
  • 2010: +4,1%;
  • 2011: +5,4%;
  • 2012: +0,2%;
  • 2013: -0,0%;

Dovendo esprimere un giudizio di lungo periodo sulle prestazioni dell'economia ucraina si può dire che, a parte un periodo particolarmente felice compreso tra il 2000 ed il 2008, la grande crisi protrattasi tra il 1992 ed il 1999, la crisi del 2009 e la successiva stagnazione hanno danneggiato irreparabilmente le capacità del paese e posto le basi per l'esplosione del malcontento che ha poi causato le proteste di Euromaidan.

Cosa ancora più incredibile, come si evince dalla prima tabella pubblicata di sopra, l'Ucraina è ancora oggi, assieme alla Moldavia, uno degli unici due paesi post-sovietici che a trent'anni di distanza non sono ancora riusciti a raggiungere lo stesso livello di PIL che avevano nel 1991, ultimo anno di loro permanenza nell'URSS, e questo persino considerando il fatto che l'Ucraina abbia sulla carte tutta una serie di componenti che la potrebbero collocare sullo stesso piano delle economie degli altri grandi paesi europei come: terre molto fertili, una base industriale sviluppata, una forza lavoro comparativamente qualificata ed un buon sistema scolastico ed universitario.

Consultando i dati forniti dal Fondo Monetario Internazionale relativi ai livelli di PIL sia nominale che a parità di potere d'acquisto (PPP) sia nazionale che pro capite relativi all'anno 2021, ci accorgiamo che, nonostante sulla carta quella ucraina sia ancora la seconda economia dell'area ex-sovietica con un PIL nazionale a parità di potere d'acquisto (PPP) pari a 561 miliardi di dollari, se andiamo a misurare invece il PIL pro capite a parità di potere d'acquisto (PPP), con 13.440 dollari annui, gli ucraini occupano la quarta posizione tra i popoli più poveri dell'ex-URSS assieme ai moldavi, superando solamente uzbeki, kirghisi e tagiki, ma venendo a loro volta superati dai georgiani e persino dagli armeni che vivono in paesi non certo famosi per le loro amenità.

Se alziamo ulteriormente l'asticella della comparazione analizzando tutti i paesi del continente europeo ed escludendo quei paesi post-sovietici che del suddetto continente non fanno parte scopriremmo che gli ucraini ed i loro vicini moldavi sono gli abitanti più poveri dell'Europa, superati persino dagli albanesi, dai bosniaci, dai serbi, dai macedoni e dai kosovari.

A testimonianza del fatto che il nuovo corso di Euromaidan con la conseguente distruzione dei rapporti economici privilegiati con la Russia e l'apertura di “nuovi rapporti con i paesi europei” non ha portato ai risultati sperati, basta analizzare le prestazioni economiche degli ultimi anni dal 2014 ad oggi:

  • 2014: -6,8%;
  • 2015: -12%;
  • 2016: +2,3%;
  • 2017: +2,5%;
  • 2018: +3,5%;
  • 2019: +3,2%;
  • 2020: -4,4%
  • 2021: +3,4%

Andando ora a riprendere tutti i dati relativi al trentenni, scopriremmo che, nel complesso dal 1992 ad oggi l'economia dell'Ucraina è “cresciuta” ad un tasso del -0,8% a livello annuale e che il PIL dell'Ucraina oggi è pari al 74,4% di quello che aveva nel 1991, ultimo anno di vita dell'Ucraina sovietica.

Certamente qualcuno potrebbe obiettare che le prestazioni dell'economia non bastano da sole a dire se un paese possa veramente considerarsi un successo o un fallimento e che sia necessario adottare una “prospettiva più ampia”. Accogliendo tale critica, voglio ora presentarvi i numeri relativi all'Indice di Sviluppo Umano (HDI) di tutti i paesi post-sovietici per l'anno 2020. Per chi non lo sapesse, l'Indice di Sviluppo Umano è un indice che tramite l'analisi di una serie di coefficienti permette di unificare i dati relativi non solamente alla ricchezza, ma anche alla salute e all'educazione comparandoli tra paesi per un certo arco temporale. Il risultato che si ottiene è che, con un HDI di 0,779, l'Ucraina si posiziona solamente all'ottavo posto tra i paesi post-sovietici venendo superata da Estonia, Lituania, Lettonia, Kazakistan, Russia, Bielorussia e Georgia e venendo tallonata da vicino dall'Armenia che nei prossimi 5 anni dovrebbe riuscire a superarla.

Avendo l'autore della presente analisi una conoscenza dell'Armenia che è ben al di sopra della media, la prospettiva che ben presto l'Ucraina verrà superata proprio dall'Armenia nella classifica dell'Indice di Sviluppo Umano può voler dire per me solo male, molto male, specialmente considerando quanto il paese sia decaduto dal 1991 proprio laddove esso era stato considerato, per molto tempo, la “perla del sistema sovietico”.

Avviandoci ora ad analizzare l'ultima parte della nostra narrazione dobbiamo porci la fatidica domanda finale: come gli eventi degli ultimi trent'anni hanno influito sulla demografia dell'Ucraina?

La risposta potrebbe essere riassunta in tre parole: in maniera catastrofica.

Già nell'ultimo periodo di vita dell'Unione Sovietica, la demografia dell'Ucraina aveva dato segni di “affaticamento” dovuto ad un calo dei tassi di fertilità (l'ultimo anno nel quale il paese registrò un tasso di fertilità totale uguale o superiore al minimo ottimale di 2,11 figli per donna fu il 1986) ed ad un contestuale aumento della mortalità (sempre nel 1986 le persone morte in Ucraina per tutte le cause erano state 565.150, ma 5 anni dopo, nel 1991, erano già balzate a 669.960) tanto che già nel 1991 il paese registrava un saldo tra nascite e morti di -39.147.

Nonostante la situazione di natalità e mortalità iniziasse a deteriorare da subito in maniera allarmante, nondimeno la popolazione dell'Ucraina continuò a crescere fino al 1993 arrivando a contare 52.244.100 abitanti. Tale momentanea “crescita” si spiega grazie al fatto che, nei primi due anni di vita dello stato, un gran numero di ucraini etnici e membri delle loro famiglie si trasferirono nel paese dagli altri territori dell'ex-URSS. Tuttavia tale “momento migratorio” ha ben presto mostrato il fiato corto e dal 1994 in poi l'Ucraina è diventata, da paese di immigrazione a paese di emigrazione.

A partire dal 1994 fino ad ora la popolazione dell'Ucraina non ha fatto altro che diminuire inesorabilmente, anno dopo anno, e i vari governi del paese non sono riusciti ad implementare alcun tipo di iniziativa credibile per arrestare il declino. Gli eventi del 2014 hanno poi portato alla perdita della Crimea (annessa dalla Russia e abitata da circa 2.500.000 persone) ed alla de facto secessione di parti degli oblast' di Donetsk e Lugansk, abitati oggi da circa 3.800.000 persone, con il risultato che, nel 2020, la popolazione dell'Ucraina sotto il controllo del governo centrale di Kiev assommava ufficialmente a circa 38 milioni di abitanti. Tuttavia, nemmeno tale numero rappresenta la realtà dato che l'Ucraina è un paese particolarmente interessato dal fenomeno dell'emigrazione temporanea e stagionale che per periodi più o meno lunghi porta milioni di ucraini di entrambi i sessi e tutte le età a risiedere all'estero occupando diverse nicchie economiche e sociali dei paesi ospitanti, soprattutto la Russia e i paesi europei.

Sfortunatamente le autorità ucraine non si sono dimostrate in grado di monitorare efficacemente tali flussi (che dopo la liberalizzazione del regime di visti tra l'Ucraina e l'Unione Europea hanno raggiunto livelli da esodo) tanto che oggi è estremamente difficile dire quante persone effettivamente vivano in Ucraina in un dato momento, lasciando fertile spazio a speculazioni che a volte danno corpo alle fantasie più selvagge. Una di queste affermerebbe addirittura che solo 25 milioni di persone vivano oggi effettivamente in Ucraina. Personalmente ritengo che quest'ultimo dato sia una farneticazione, tuttavia non mi sento di escludere che il numero reale di ucraini residenti ad un tempo nella loro madrepatria sia inferiore ai 35 milioni, il che non rende meno grave la situazione.

A conclusione di questa lunga analisi possiamo dire che, se come insegnano alla prima lezione del corso di macroeconomia in qualsiasi università del mondo: “per potersi reggere sulle proprie gambe un paese ha bisogno di una forte economia ed essa si basa su un rapporto bilanciato tra capitale fisico e capitale umano”, alla luce dalla ricchezza di dati da me presentati di sopra, possiamo dire che negli ultimi 30 anni l'Ucraina ha lavorato alacremente per distruggere tanto il proprio capitale fisico quanto la propria popolazione e guardando il tutto in termini comparativi con gli altri paesi ex-sovietici è francamente sciocco ripetere la manfrina che tutti i mali di Kiev hanno origine a Mosca.

In ultima analisi gli ucraini devono prendersela in primo luogo con loro stessi per lo stato miserevole nel quale si trova la loro patria.

Foto: MoD Ucraina