Maria Attanasio: La ragazza di Marsiglia

Maria Attanasio
Ed. Sellerio, Palermo 2018
pagg.386

Da un lato una ragazza francese, Rosalie Montmasson, dall’altro un avvocato siciliano, Francesco Crispi, sullo sfondo Marsiglia, dove i loro cammini si sono incrociati per la prima volta, e poi Torino, dove per la prima volta si sono parlati. Mentre molto si sa molto del secondo, della prima le notizie sono molto poche, tant’è che l’autrice, poetessa e saggista, per dare alla luce questo romanzo storico, ha dovuto sottoporsi a varie peregrinazioni in archivi e musei, alla ricerca di tracce sulla vita della “ragazza di Marsiglia”. Di certo si sa che il 27 dicembre 1854, a Malta, Rosalie e Fransuà si sono sposati nella più assoluta riservatezza.

Genova, 30 aprile 1860: Garibaldi, a Villa Spinola, stava mettendo appunto la spedizione in Sicilia. A Genova c’erano anche Nino Bixio e Francesco Crispi. E c’era anche Rosalie Montmasson, anche lei decisa a partire per la spedizione. Ma era una donna. “L’ordine era tassativo: né mogli, né madri, né volontarie.” Inoltre c’era il divieto di suo marito. Lei, però, non si arrese. Si recò a villa Spinola e chiese un colloquio con Garibaldi… da sola.

“Nessuno seppe mai cosa esattamente si siano detti Rosalie e il Generale.” Ma alla fine del colloquio fu autorizzata a partecipare alla spedizione. E così “la notte del cinque maggio del sessanta a Quarto sui due vapori in attesa avvenne l’imbarco di vettovaglie, armi, uomini,e dell’unica donna partecipante alla spedizione.[…] Non dovette essere facile, né per il Generale né per il marito, gestire la presenza di una donna in mezzo a un migliaio di uomini; e di una donna come Rosalie, per la quale la differenza tra i sessi era solo una connotazione di pura diversità fisica, non di disuguaglianza nel fare e nel pensare: sapeva armeggiare con destrezza armi ed esplosivi. […] Durante la traversata, senza porsi nessun problema, Rosalie indossò pantaloni e camicia rossa, dandosi disinvoltamente da fare sul Piemonte che, insieme al Lombardo, l’11 maggio giunse a Marsala.”

Lo scrittore Giacomo Oddo, nel suo libro “I Mille di Marsala. Scene rivoluzionarie” descrisse le gesta di Rosalie sul campo di battaglia. Il 3 novembre 1860, a Napoli, Garibaldi distribuì le medaglie ai reduci dei Mille. Tra di essi, ad essere decorata, c’era anche Rosalie. Anche dopo la conversione monarchica del suo Fransuà, lei decise di rimanere al suo fianco, non credendo, inizialmente, ai giornali, che raccontavano delle frequentazioni femminili di Francesco Crispi. Politica del fango, la definiva lei, dovuta al giro di tangenti e di politici corrotti che suo marito stava smascherando. Ma la verità era che lui la tradiva. E quando lei divenne consapevole dei suoi tradimenti, il loro rapporto chiaramente si raffreddò.

Lui, che nel frattempo aveva reso madri due sue amanti, Luisa del Testa e Lina Barbagallo, iniziò a detestarla. “Ma non poteva rompere pubblicamente quel rapporto, sarebbe andato incontro a uno scandalo mediatico; voleva perciò costringerla a una separazione in forma privata.” Lei, però, inizialmente non ne volle sapere. Finchè, un giorno, la sorella di Crispi si recò da lei affermando di portare un’ambasciata di suo fratello (ma si trattava invece di un’idea sua e di Lina, l’amante di Crispi): se lei non avesse accettato la separazione in forma privata, il fratello l’avrebbe chiesta in forma pubblica, per sua manifesta colpa. “Facilmente ottenendola: c’era chi era pronto a testimoniare sulle tresche adulterine, da lei portate avanti con tanti, anche con i domestici. In questo caso suo fratello non gli avrebbe dato nemmeno una lira di mantenimento.”

Fu raggiunto un accordo che prevedeva la somministrazione di una somma mensile a Rosalie. Lei si impegnò a non portare più quel cognome che l’aveva accompagnata per decenni: Crispi. Rimaneva ora, per l’onorevole, da risolvere un’altra questione. Per evitare lo scandalo dell’accusa di bigamia, avendo sposato Lina Barbagallo nel 1878, doveva dimostrare che il suo matrimonio, contratto a Malta con Rosalie, fosse nullo.

Convocata dal giudice, la Montmasson tirò fuori dalla borsa il quadro con la copia dell’attestato notarile del suo matrimonio affermando che “nessun tribunale poteva cancellare quella verità: Francesco Crispi era e restava sempre suo marito, e l’altra una malafemmina certificata.” Alla fine, comunque, il tribunale dichiarò l’illegittimità giuridica di quel matrimonio, ritenendo, quindi, automaticamente valido quello contratto a Napoli, tra Crispi e la Barbagallo, nel 1878. Pertanto “la sentenza di colpevolezza che tutti si aspettavano e che molti politici si auguravano non arrivò, lasciando tra i contemporanei molti dubbi sulla sua imparzialità.”

Dopo questa sentenza Rosalie scomparve dalla storia risorgimentale e dagli scritti di Francesco Crispi. Ma qualche anno più tardi, i due ripresero a frequentarsi, “quando un attacco di cuore l’aveva tenuta tra la vita e la morte, costringendola per qualche tempo alla più assoluta immobilità. Un giorno mentre era assopita, aveva aperto gli occhi, e lo aveva visto su una sedia ai piedi del letto: lui, in carne e ossa. […] Un abisso il cuore dell’uomo. E più che mai quello di don Ciccio: mentre la cancellava dalle sue carte tornava a frequentarla!”

Francesco Crispi morì nel 1901, Rosalie Montmasson nel 1904. “Voglio presentarmi a Dio da garibaldina, aveva detto alle amiche più care e al nipote Giuseppe, prima di perdere definitivamente la parola.” Aveva infatti chiesto di essere avvolta nella sua camicia rossa.

Durante il corteo funebre, “dietro il feretro un uomo di mezz’età porta un cuscino di raso rosso su cui sono appuntate quattro medaglie.” Sulla sua lapide, nel cimitero del Verano, a Roma, dove è stata sepolta, sono incise queste parole: “Prima moglie di Francesco Crispi / con lui cospirò per l’unità della Patria / con lui prese parte alla leggendaria Spedizione dei Mille / Unica donna nella legione immortale / Ne divenne l’eroina / godette la fiducia di Mazzini e l’amicizia di Garibaldi / Esempio alla donne italiane / di maschie virtù pubbliche e di gentili virtù domestiche.”

Gianlorenzo Capano