Biagio Di Grazia: La NATO nei conflitti europei. Ex Jugoslavia ieri, Ucraina oggi

Biagio Di Grazia
Ed. Delta 3
pagg.184

Il generale Di Grazia è noto ai lettori di Difesa Online e questo è il suo terzo libro (1). Forte della sua esperienza nell’ex-Jugoslavia, qui analizza i meccanismi perversi attraverso i quali l’ONU è stata scavalcata dalla NATO dopo la caduta del Muro di Berlino e, oggi, alimenta in Ucraina una guerra senza ufficialmente farla.

La guerra in Ucraina dura da un anno, ma nasce da lontano. Facile descrivere la scena attuale, con un fronte fermo come nella prima Guerra Mondiale; meno facile capire cosa ha innescato una guerra nel centro dell’Europa dopo settant’anni di equilibri strategici armati ma nel complesso stabili (ex-Jugoslavia a parte, ma ci torneremo).

Come al solito bisogna partire dalla caduta del Muro di Berlino (1989) e seguire lo sfaldamento dell’Unione Sovietica. Il vuoto di potere così creato non ha portato a un nuovo equilibrio, quanto piuttosto al disordine mondiale, allo squilibrio permanente nelle relazioni fra stati. Se l’Italia ne approfittò per smobilitare la difesa del confine Nord-Est (con lo stupore della Serbia), mentre invece la NATO, nata come struttura difensiva, nel frattempo si allargava a Est a spese dei paesi soggetti al Patto di Varsavia, realizzando il Drang nach Osten tanto caro ai Tedeschi e suscitando le frustrazioni della Russia, in quel periodo troppo debole per reagire.

L’adesione alla NATO di nazioni prima sotto egemonia sovietica è stata libera e rapidamente ratificata, ma la fine della Guerra Fredda e l’allargamento della NATO furono presentati come una vittoria sul nemico, senza peraltro essere oggetto di negoziato con la controparte. Un errore strategico: aveva più senso sciogliere l’Alleanza e integrarla in un sistema di sicurezza europeo capace di coinvolgere anche i Russi, coi quali fino al consolidarsi del potere di Putin furono comunque gestite per alcuni anni esercitazioni comuni (2).

Il primo effetto della fine di un equilibrio bipolare si vide nella ex-Jugoslavia con le operazioni Deliberate Force in Bosnia-Erzegovina (1995) e Allied Force contro la Serbia nel 1999, dove in entrambi i casi l’ONU fu scavalcata dalla NATO. L’autore insiste molto su questo punto: la disgregazione della ex-Jugoslavia è stato il banco di prova durante il quale le varie missioni ONU – UNPROFOR per prima - si sono dimostrate poco capaci e prive di strumenti operativi, limiti dovuti agli intricati meccanismi decisionali e operativi dell’ONU stessa. E mentre l’Europa si mostrò divisa fin dal primo giorno, la NATO – guidata dagli Stati Uniti - agì d’iniziativa forzando la mano. Dal canto suo il generale Rupert Smith, comandante della missione UNPROFOR in Bosnia ed Erzegovina dal 1995 al 1996, si assunse la responsabilità di ogni decisione al riguardo e diede il via libera all'intervento occidentale (3). Sarajevo fu comunque liberata dopo tre anni d’assedio e si arrivò agli accordi di Dayton (21.XI.1995).

Più complessa la storia della seconda operazione: Milosevic’ non aveva compreso la debolezza della Serbia dopo lo sfaldamento della Jugoslavia e nel 1989 revocò l’autonomia concessa da Tito al Kosovo, provocando violente proteste represse col pugno di ferro. E qui s’inserisce l’azione USA: una volta sistemata la Bosnia-Erzegovina, la Serbia era un ostacolo al nuovo equilibrio internazionale e nel 1999 la situazione di conflitto in Kosovo spinse la NATO a difendere la comunità kosovara e ad appoggiarne le mire d’indipendenza.

La NATO tentò di ottenere l'autorizzazione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU per l'azione militare, incontrando l'opposizione di Russia e Cina, nazioni con diritto di veto. Il Consiglio di Sicurezza è un organo anche strano, visto che ora (aprile 2023) la presidenza di turno è stata assegnata alla Russia, che è parte del conflitto in Ucraina. All’epoca la NATO – cioè gli Stati Uniti e i suoi più stretti alleati, gli Inglesi per primi - lanciò la sua campagna Allied Force senza l'approvazione dell'ONU, affermando trattarsi di un intervento umanitario.

Lo Statuto delle Nazioni Unite proibisce l'uso della forza, se non per una decisione del Consiglio di Sicurezza ai sensi del Capitolo VII, o di autodifesa contro un attacco armato, ma nessuna delle due circostanze era presente in questo caso.

Da quel giorno il concetto di “guerra umanitaria” è entrato nel lessico della politica internazionale, e a farne le spese fu la Serbia, dove il “bombardamento umanitario” prima distrusse le prevedibili strutture militari e in seguito tutte le infrastrutture della società civile, esattamente quello che ora fanno i Russi nelle città in Ucraina. In più si appoggiò l’UCK, discutibile formazione paramilitare, e fu imposta l’indipendenza del Kosovo, contro il principio dell’inviolabilità delle frontiere ma esaltando quello dell’autodeterminazione dei popoli. In questo gli Stati Uniti hanno una lunga tradizione di incoerenza, che storicamente possiamo far risalire al presidente Wilson (1913-1921), statista al quale in Italia non è dedicata neanche una strada.

Ma il bello viene dopo l’attacco alle Torri gemelle (2001). Da quel momento la NATO si trasforma per combattere la “guerra globale al terrorismo” (5). Finalmente un nemico! Ma quale?

L’articolo 5 della NATO (se un membro dell’alleanza viene attaccato tutti lo devono difendere) viene piegato alla nuova strategia d’intervento, che diventa una specie di mandato in bianco per condurre operazioni di polizia coloniale ben oltre i confini geografici dell’alleanza stessa e persino “operazioni non articolo 5”, e cioè “operazioni di risposta alle crisi, qualche volta con breve preavviso, distanti dalle proprie basi di partenza, al di fuori del territorio degli alleati” (6). Ma già il concetto strategico del 1999 segnava il passaggio dalla guerra di difesa dell’integrità territoriale dei paesi membri dell’alleanza, ad una funzione di “prevenzione e gestione delle crisi” fuori dal territorio degli stati membri”. Con non poche incoerenze, visto che in Bosnia si è appoggiato uno stato islamico per poi combatterlo altrove, impegnando per vent’anni anni tempo e risorse in paesi musulmani refrattari alle influenze esterne, a cominciare dall’Afghanistan.

Pericolosa anche l’indipendenza del Kosovo: a parte la debole base economica, confligge con i principio dell’inviolabilità delle frontiere e ha offerto un precedente per le pretese russe sul Donbass.

E qui arriviamo all’ultimo capitolo, la NATO in Ucraina (pag. 175). Di Grazia teorizza che la NATO abbia adattato in Ucraina il modello di comportamento che tenne in Serbia, non impegnandosi direttamente sul terreno e conducendo le operazioni svincolandosi sia dalla Carta Atlantica che dall’ONU: “non belligerante” ma non “non ingerente”, per cui rifornisce di armi e munizioni l’Ucraina e addestra i militari ucraini che quelle armi dovranno usarle. Sono forse presenti anche “consiglieri” sul terreno? Difficile saperlo ora. Fatto sta che, pur senza esserla formalmente, sembra una guerra della NATO contro la Russia, e come tale è sentita dalla classe dirigente russa.

Sul terreno, la Russia strategicamente la guerra l’ha già persa. Può vantare successi tattici, ma l’obiettivo iniziale non è stato raggiunto e la tecnologia e la scuola di guerra NATO si sono dimostrati più efficaci di quella che una volta era la temuta Armata Rossa. In realtà sia la Serbia che la Russia, sia pur indeboliti, potrebbero essere ottimi alleati, a prescindere dal loro sistema di potere, ma per ora la saggezza non è di questo mondo.

Marco Pasquali

NOTE

  1. Su queste pagine sono stati recensiti Kosava. Vento di odio etnico nella ex Jugoslavia da Tito a Milosevic e Perché la NATO ha bombardato la Serbia nel 1999?

  2. Vedi: L’esercitazione navale “IONIEX 2004” un passo significativo verso la cooperazione italo-russa / C.F. Luigi Sinapi, in Informazioni della Difesa, 1.2005 oppure “Founding Act on Mutual Relations, Cooperation and Security between NATO and the Russian Federation”, Parigi, 27 maggio 1997; “NATO-Russia Relations: A New Quality”, Declaration by heads of Stateand Government of NATO member States and the Russian Federation, Pratica di Mare (Roma), 28 novembre 2002; “Dichiarazione congiunta sulla cooperazione bilaterale tra la Repubblica Italiana e la Federazione Russa”, Roma, 5 novembre 2003; “Istanbul Summit Special”, 28-29 giugno 2004; “Operation Active Endeavour - Il contributo della NATO alla lotta al terrorismo” / Sinapi in Rivista Marittima, febbraio 2003°; Vitale, “Italia-Russia. Storia di un rapporto privilegiato”, Emporion n°9, 8 maggio 2002; Le relazioni della Russia con la Nato e l’Unione europea. Contributi di Istituti di ricerca specializzati / Senato della Repubblica, Servizio affari internazionali n.103, 2008.

  3. Vedi: Mary Ellen O'Connell, The UN, NATO, and International Law after Kosovo, in Human Rights Quarterly, vol. 22, n. 1, 2000, pp. 57–89, DOI:10.1353/hrq.2000.0012, ISSN 0275-0392 (WC · ACNP), JSTOR 4489267.

  4. Il gen. Smith lo rivediamo nel 1999 in Kosovo, come NATO's Deputy Supreme Allied Commander Europe, alla supervisione degli obiettivi da bombardare in Serbia. Da congedato ha pubblicato un libro, The Utility of Force: The Art of War in the Modern World (2005), dove riconosce l’inadeguatezza degli eserciti classici nell’affrontare i nuovi conflitti, Bosnia inclusa. Smith conclude che la forza militare è solo parte delle soluzioni di un conflitto moderno, e che va combinata con iniziative politiche che attenuano ma non necessariamente concludono i conflitti. Il libro è stato molto apprezzato anche negli Stati Uniti, anche se si direbbe sia stato studiato poco e male.

  5. Una NATO trasformata, 2004, documento ufficiale 20120116.

  6. Per la definizione e gli approfondimenti delle “operazioni non articolo 5” vedi www.NATO.int .