Le capacità nucleari pakistane

03/12/14

La cronica instabilità politica del Pakistan, in possesso di un arsenale nucleare e permeabile alla presenza di elementi qaedisti e talebani nell’area, è fonte di preoccupazione per la Comunità Internazionale, anche per la non remota possibilità che gli assetti nucleari possano essere adoperati da attori non statali.

L’eventuale collasso della struttura governativa, che trasformerebbe il Pakistan in un Failed State, rappresenta il credibile scenario elettivo che consentirebbe ai qaedisti il controllo degli armamenti nucleari di Islamabad. La debolezza politica non impedisce difatti alle autorità del Paese di incrementare le capacità nucleari militari, nonostante sia del tutto evidente l’inadeguatezza dei sistemi di controllo e la penetrabilità dell’accesso all’arsenale da parte di soggetti non legittimati a servirsene.

Attualmente Islamabad si sta adoperando nella costruzione di due reattori per la produzione del plutonio e di un’infrastruttura destinata al riprocessamento, mentre sono allo studio nuovi vettori per testate strategiche, che includono un Medium Range Ballistic Missile (MRBM), due Short Range Ballistic Missile e missili Cruise adattati per testate nucleari1.

Alcune fonti riferiscono che il Pakistan dispone al momento di uno stock di 90-110 testate nucleari, un forte incremento rispetto alle 70 testate calcolate nel 2009. La stima della DIA2, risalente al 1999, che immaginava il raggiungimento di 80 testate nucleari entro il 2020, livello ampiamente raggiunto dieci anni prima di quanto previsto.

Il programma nucleare pakistano: la genesi

Islamabad ha avviato il suo programma di ricerca per l’acquisizione di capacità nucleari militari verso la metà degli anni ’70, conseguendole un decennio dopo e consacrandole il 28 maggio 1998 con il primo di cinque test nucleari, in risposta ai test di New Delhi.

Pur entrando a pieno titolo tra i Nuclear Weapon States, il Pakistan, al pari di Israele e India, non ha né sottoscritto il Trattato di Non Proliferazione Nucleare, né risulta firmatario del Comprehensive Nuclear Test Ban Treaty (CTBT)3.

Il programma nucleare pakistano, inizialmente, era basato sull’utilizzo di uranio altamente arricchito (HEU) come materiale fissile che, con la centrifugazione gassosa, raggiungeva lo stadio di weapons grade, utilizzabile per scopi militari. Da stime approssimative, la quantità di uranio e di plutonio già nel 2008 era sufficiente per 80 dispositivi nucleari, il cui numero poteva crescere in presenza di tecnologie più avanzate. All’epoca, Islamabad si è avvalsa di strumenti tecnologici di derivazione occidentale potendo contare sull’assistenza fornita dai cinesi.

Il dr. Abdul Qadeer Khan, responsabile del programma nucleare pakistano, ha difatti acquisito il necessario know-how in Europa, lavorando presso l’Urenco4, azienda specializzata nell’arricchimento dell’uranio con sedi in Europa e Stati Uniti La fitta rete di contatti internazionali nel frattempo attivata si è rivelata poi utile per la vendita clandestina di tecnologia e informazioni sui dispositivi nucleari anche alla Corea del Nord, all’Iran e alla Libia.

I tempestosi rapporti tra Pakistan e India hanno rivestito e rivestono ancora oggi un ruolo non marginale sulle rispettive dottrine nucleari e sulla corsa agli armamenti atomici. I quattro conflitti (nel 1947, nel 1965, nel 1971 e l’ultimo nel 1999) e i contrasti che si sono registrati tra i due Paesi inducono a leggere le vertenze per i confini e per il controllo di regioni strategicamente importanti come segnale dell’estrema precarietà degli equilibri geopolitici dell’area e dell’ambiguità che contrassegna i rapporti diplomatici di entrambi i governi. La minaccia di ricorrere alle armi nucleari è un altro segnale di diffidenza: Islamabad si è rifiutata di siglare il Trattato di Non Proliferazione Nucleare e il Comprehensive Test Ban Treaty, passando la palla in campo avversario e chiedendo all’India di firmare per prima, consapevole della superiorità militare del paese confinante, ma ha anche respinto l’offerta indiana di un accordo bilaterale sull’adozione di una politica strategica basata sul “No First Use”, proponendo il bilanciamento delle forze in campo, convenzionali e non, di entrambi i Paesi. Le proposte e i rilanci, conclusi sempre con un nulla di fatto, hanno indotto il Pakistan, anche nell’intento di sopperire alle notevoli carenze delle sue forze convenzionali, all’adozione di una politica strategica aggressiva fondata sul “first use”.

La dottrina del first use è politicamente controproducente ed economicamente difficile da sostenere per gli investimenti da avviare in materia di sistemi di acquisizione bersaglio, di satelliti e vettori di sorveglianza e di intelligence che rendano possibile l’esecuzione di un “launch-on-warning”, in caso di dottrina no-first-use si parla di “launch-on-attack”. La dottrina da launch-on-warning necessita di una rapida capacità decisionale e che le forze nucleari vengano mantenute in costante prontezza operativa con un adeguato livello d’allerta.

Islamabad non è quindi interessata a rinunciare, unilateralmente, alle armi nucleari o in accordo con l’India, mentre in un contesto globale di disarmo non sarebbe probabilmente in condizione di opporsi a pressioni che potrebbero provenire dagli Stati Uniti, dalla Russia o dalla Cina. Sarebbe comunque ipotizzabile che, anche in questa eventualità, insisterebbe sul contestuale e verificabile disarmo da parte indiana.

L’accesso del Pakistan alle tecnologie nucleari è stato favorito da un insieme di vicende che partono da lontano.

Il programma Atoms for Peace5, che il Presidente Esenhower aveva sottoposto all’attenzione dell’ONU, allo scopo di favorire l’utilizzo pacifico del nucleare ha invece incoraggiato Paesi non dotati di armi nucleari a intraprendere studi e ricerche che dal settore civile si sono in seguito irradiate su quello militare e degli armamenti.

La declassifica di numerosi studi, avvenuta in sede internazionale con la UN Conference on Peaceful Uses of Atomic Energy, ha poi facilitato l’accesso a materiale non altrimenti disponibile, di cui Islamabad è entrata in possesso.

Il Pakistan, preoccupato dall’indubbia superiorità convenzionale indiana e dalla sua ingerenza nelle sue questioni interne, quali la secessione di suoi territori verso l’indipendenza (il Bangladesh), ha avviato il programma nucleare, ritenendolo necessario per la sua sopravvivenza. Il livello di allarme è cresciuto con i test nucleari indiani del 1974, propagandati come “un’esplosione nucleare pacifica”6, ma che hanno utilizzato dispositivi a fissione di circa sei kilotoni. In precedenza, i test sotterranei indiani, verificatisi anche in risposta dei test nucleari cinesi del 1965, erano stati percepiti da Islamabad come espressione di un incontestabile gap che andava colmato al più presto. Ancora nel 1974, il Pakistan non disponeva di capacità autonome di produzione di combustibile nucleare e di facility tecnologicamente avanzate: l’unico assetto era rappresentato da uno sparuto manipolo di scienziati che hanno acquisito in Occidente il know how utile per la realizzazione di uranio naturale quale combustibile per un piccolo reattore nucleare ad acqua pesante, sottoposto peraltro a regime di salvaguardia internazionale.

Nonostante le sanzioni internazionali imposte ad Islamabad7, Khan è riuscito nell’intento di avviare un programma per la produzione di uranio altamente arricchito (HEU), ottenendo illegalmente tecnologia nucleare.

Negli anni Ottanta, la politica statunitense in materia di non proliferazione nucleare e di contenimento è stata accantonata in seguito al ruolo svolto da Islamabad nel conflitto afghano, per come si desume dalle deliberazioni del Presidente Carter8; in questo mutato scenario, con Islamabad partner politico degli USA per il contrasto all’invasione russa dell’Afghanistan, il network di Khan è stato in condizione di espandere la sua attività illecita di acquisizione di materiale e know how in palese contrasto con le limitazioni all’export di tecnologia dual use, trasferendo illegalmente competenze e capacità agli Stati canaglia e nel contempo proponendosi come interlocutore privilegiato dei progetti eversivi del terrorismo fondamentalista.

La dottrina nucleare pakistana

Tra l’11 ed il 13 maggio 1998, l’India ha effettuato un totale di cinque esplosioni nucleari, cui il Pakistan ha risposto con sei test nucleari tra il 28 ed il 30 maggio ’98. Quasi contestualmente, il Primo Ministro pakistano Sharif ha illustrato gli aspetti della politica nucleare di Islamabad9, insistendo sulle capacità di risposta ad eventuali aggressioni e attribuendo alla militarizzazione nucleare indiana la responsabilità della rapida opzione del Pakistan, dato che lo strategic balance nella regione asiatica si era alterato radicalmente.

Secondo Sharif, le armi nucleari saranno utilizzate in caso di aggressioni, siano esse nucleari o convenzionali, “in the interest of national self-defence… to deter aggression, whether nuclear or conventional”10. Le capacità non convenzionali pakistane diventano, a pieno titolo, dispositivi per preservare l’integrità territoriale di Islamabad dalle minacce esterne, mediante l’applicazione della dottrina del deterrente minimo e credibile11, in base alla consapevolezza che la minaccia al ricorso ad armamenti nucleari rappresenta anzitutto uno strumento politico per scongiurare azioni militari lesive degli interessi vitali di una nazione12. La deterrenza si connette al grado di credibilità dell’avversario, e dunque alle capacità militari, alle esigenze strategiche e di sicurezza nazionale, quali la dimensione dell’arsenale nucleare, il livello di rappresaglia e la prontezza operativa delle forze nucleari. Un ulteriore strumento di deterrenza è rappresentato dalla difficoltà, in capo all’avversario, di avere precisa contezza delle reali potenzialità nemiche, l’enigmaticità risulta funzionale alla stessa dottrina strategica.

È di piena evidenza come tutti gli armamenti, convenzionali e non, vengano adeguati al peggiore scenario di crisi, quel tanto da rendere la deterrenza assolutamente credibile, non più minima, perché idonea a gestire un conflitto non convenzionale.

Un arsenale “minimo” ma credibile impedisce eventuali tentativi di emulazione e di riarmo, consente l’equilibrio strategico e contiene la possibile proliferazione.

La nozione di deterrenza è stata parte integrante della politica nucleare pakistana dall’adozione della dottrina strategica, ma i termini credibile e minima sono entrati nella dottrina in un secondo momento. Le condizioni economiche hanno suggerito di mantenere l’arsenale contenuto quantitativamente, ma il livello di credibilità è risultato incrementato dai toni politici aggressivi di Islamabad.

La policy nucleare pakistana, dovendo rispondere ad un ampio spettro di possibili minacce, prevede il ricorso agli armamenti nucleari anche in caso di un attacco militare convenzionale, nell’intento di sopperire alla debolezza strategica pakistana e del ridotto numero delle sue forze convenzionali; le opzioni previste dalla dottrina prevedono il no first use verso non nuclear weapon state, il first use verso aggressori dotati di armi non convenzionali.

Risultano evidenti i costi di una tale politica strategica aggressiva che, seppur nata con scopi difensivi, si ancora ad una deterrenza con risvolti negativi specialmente sotto il profilo della sicurezza degli armamenti nucleari. Il Pakistan, ad esempio, non mantiene tutte le testate nucleari de-assemblate dal vettore, per consentire un rapido first strike in caso di minaccia alla sicurezza interna. La dispersione di tali dispositivi, per rendere possibile la sopravvivenza degli armamenti e consentire, quindi, la capacità di second strike, esige deleghe d’autorità a livelli medio-bassi della catena di comando al fine di consentire l’utilizzo delle armi nucleari in determinate e disperate situazioni. Deleghe che, peraltro, comportano una forte erosione dei livelli di controllo politico e civile sugli armamenti non convenzionali.

La catena di comando e controllo nucleare

La rivelazione che Osama Bin Laden si era nascosto per anni in un compound ad Abbottabad, a soli 50 km a nord di Islamabad, ha sicuramente posto nuove importanti interrogativi sulla sicurezza dell’arsenale nucleare pakistano. La Comunità Internazionale si chiede se gli armamenti non convenzionali pakistani dispongano di adeguati livelli di sicurezza che impediscano a potenziali terroristi di impadronirsene.

Gli Usa, per il tramite di Marc Grossman, Rappresentante Speciale per l’AfPak, hanno offerto assistenza economica e tecnica ad Islamad per rafforzare le misure riguardanti la sicurezza nucleare13: circa dieci milioni di dollari di aiuti in base ad un programma per la maggior parte rimasto classificato. L’implementazione della sicurezza nucleare è stata attuata, dopo l’11 settembre 2001, e ancor di più dall’estate 2011 ad oggi, anche se le preoccupazioni pakistane erano maggiormente rivolte a possibili strikes statunitensi o atti di sabotaggio indiani piuttosto che alla vulnerabilità dell’arsenale ad atti di terrorismo.

La catena di comando e controllo che gestisce l’arsenale nucleare pakistano è strettamente compartimentato: l’organizzazione consiste in un National Command Authority (NCA), una Strategic Plans Division (SPD) ed uno Strategic Forces Commands14.

Il National Command Authority, istituito nel 2000, supervisiona tutte le organizzazioni, civili e militari, coinvolte nella gestione dell’arsenale nucleare, comprese quelle che effettuano attività di ricerca sugli armamenti nucleari. Il Primo Ministro è a capo del NCA. Al momento dell’istituzione di tale organismo, era Primo Ministro il Generale Musharraf che, una volta diventato Presidente, ne è rimasto ugualmente ai vertici.

L’NCA include i vertici governativi, delle Forze Armate e il Direttore della Strategic Plans Division15.

Un nuclear strike viene deciso per consenso, ma al Presidente del National Command spetta il voto finale. Il National Command Authority è formato da due Comitati, l’Employment Control Committee, che sovrintende al sistema di comando e controllo sull’arsenale nucleare, e dal Devolopment Control Committee che ha responsabilità amministrative e di controllo interno sulla catena di comando.

Al Direttore della Strategic Plans Division (SPD), con funzioni di segretariato per l’NCA, compete la formulazione della policy nucleare e lo sviluppo della dottrina operativa riguardante l’utilizzo dell’armamento non convenzionale. L’SPD decide il quantitativo minimo dell’arsenale nucleare in base alle minacce, il loro dispiegamento in rapporto alle capacità di proiezione di forza di cui dispongono le Forze Armate pakistane16 che dispongono di loro comandi strategici, la pianificazione operativa di vertice, il controllo sulle strutture rimane all’NCA che lo esercita servendosi della Strategic Plans.

Le strutture militari coinvolte sono poi coordinate a livello interforze, dall’Armed Strategic Forces, che fa poi riferimento al Segretariato dell’NCA inserito organicamente nell’ufficio del Capo di Stato Maggiore della Difesa che si trova a Rawalpindi, vicino Islamabad.

L’autorità sul sistema di comando e controllo dell’arsenale nucleare è stata formalizzata e strutturata tramite una National Command Authority Ordinance17 formulata nel 2007 dal Presidente Musharraf18. Nell’ordinanza presidenziale, che assegna le basi legali al sistema di comando e controllo nucleare, vengono precisate le funzioni del National Command Authority che, a tal fine, esercita il comando e controllo sulle attività di ricerca e di sviluppo, sulla produzione e l’uso delle tecnologie nucleari19.

Il sistema prevede il consenso all’interno del National Authority per la decisione di uno strike nucleare e due, massimo tre persone, che autenticano i codici di lancio per gli armamenti nucleari. Risulta molto meno chiaro il sistema di comando e controllo quando un eventuale attacco sul territorio pakistano si sia già verificato o si debba garantire la sopravvivenza degli armamenti e consentire un second strike. È evidente che, in questi casi, il comando civile/politico sugli armamenti nucleari appare fortemente subordinato a quello militare che dovrebbe garantire la capacità di risposta in caso di attacco.

Il Governo pakistano ha affermato che, per incrementare la sicurezza, le testate nucleari sono conservate separatamente dai vettori, richiedendo ognuno di tali componenti codici separati prima di essere materialmente assemblati.

Report del Pentagono sostengono che le testate e i vettori missilistici, per quanto de-assemblati, sono custoditi in infrastrutture tra di loro assai prossime che ne consentono il quasi immediato assemblaggio20, il che espone il materiale fissile a potenziali accessi non autorizzati.

Il launch on warning solitamente prevede tempistiche codificate per la messa in stato d’allerta delle forze strategiche e per le decisioni conseguenti21, anche per la vicinanza geografica dell’India al Pakistan, risulta arduo ritenere che Islamabad possa mantenere de-assemblati i suoi armamenti, dal momento che in un ipotetico scenario di attacco diretto di New Delhi alle infrastrutture nucleari dell’aggressivo vicino, renderebbe quasi impossibile l’attività di assemblaggio delle testate con i vettori e la contestuale controffensiva.

Molto più rischiosa l’eventualità che gli armamenti nucleari, testate e vettori, separati e de-assemblati, attraggano minacce interne provenienti da attori non statali, ipotesi non poi tanto peregrina specialmente nel caso in cui a Islamabad si ritagliassero più spazio i persistenti fattori di instabilità politica interna. Mentre nell’eventualità che i dispositivi siano de-assemblati all’interno della stessa infrastruttura per l’attuazione della policy del “first use”, sarebbero vulnerabili ad un eventuale attacco esterno alle facility che, già in ragione della loro particolare dispersività sul territorio, sono complesse da difendere da sabotaggi e furti di materiale fissile.

Già qualche anno fa, El Baradei, già Direttore Generale dell’IAEA, aveva espresso serie preoccupazioni sull’eventualità che il controllo sull’arsenale nucleare pakistano possa essere assunto da gruppi estremisti radicali, da organizzazioni militanti fuori controllo, la cui presenza nell’area afghano-pakistana è ben nota22.

Non sfugge come lo snodo di qualunque dottrina strategica sia rappresentato dalla continuità del comando e del controllo sull’arsenale nucleare e dalla capacità di sopravvivenza delle autorità di comando ad un first strike. La catena di comando deve essere in grado di assumere decisioni e di comunicarle con tempestività e sicurezza alle forze ancora operative; una risposta ad un attacco non convenzionale esige un’elevata capacità di reazione delle forze nucleari, con notevoli effetti sulla catena di comando e di controllo.

Il Pakistan dispone di due tipologie di apparati idonei al trasporto di armi strategiche: i caccia bombardieri dell’Air Force e missili “surface to surface” assegnati all’Esercito.

I caccia F16 sono capaci, con le opportune modifiche, di trasportare armamenti non convenzionali fino a 1000kg, con una capacità di trasporto di 1500 km sono gli unici in grado di penetrare in profondità le difese indiane. I caccia erano stati venduti dagli USA con la consapevolezza che non avrebbe alterato l’equilibrio strategico regionale, non si introduceva tecnologia nell’area asiatica capace di ridurre il vantaggio militare indiano sul Pakistan23.

Si ritiene che l’unità con capacità non convenzionali sia lo Squadrone 9 nella Sargodha Air Base, a 160 km da Lahore e quartier generale del Central Air Command24.

Gli armamenti nucleari si trovano alloggiati in un Weapons Storage Complex25 a pochi km a sud della base, dove gli F16 vengono dotati di assetti non convenzionali.

Il Pakistan possiede tre tipi di vettori missilistici con capacità nucleari26, l’Hatf III (Ghaznavi) con un range di 300/400km, l’Hatf IV (Shaheen) con capacità di trasporto strategico fino a 450 km e l’Hatf V (Ghauri) che raggiunge i 1500km. Islamabad sta sviluppando anche l’Hatf VI (Shaheen 2) un MRBM a due stadi che, una volta operativo, sarà in grado di raggiungere obiettivi situati a 2000km. Eventuali test missilistici, in base all’Accordo concluso con l’India nell’ottobre 2005, verranno notificati prima dell’effettuazione27.

Conclusioni

Stime recenti, provenienti da fonti aperte, inducono a ritenere che il Pakistan sia attualmente in possesso di un range tra i 90 e i 110 dispositivi nucleari28.

Secondo l’International Panel on Fissile Materials29, due sarebbero le facility deputate alla produzione di plutonio: Khushab-I (operativa dal 1998) e la più recente Khushab II. Insieme con le altre due infrastrutture in fase di costruzione, esse raggiungono una capacità complessiva di circa 40-50 MWt. Dalle due attualmente operative, il Pakistan è in grado di produrre dai 6 ai 12 kg di plutonio l’anno, sufficienti per tre armi nucleari, che potrebbero arrivare a 50 kg quando le altre due facility saranno attive. Sommando tali cifre ad uno stock di 100kg di plutonio, sufficienti per 25 armi nucleari, e prevedendo l’ulteriore capacità di produzione di uranio altamente arricchito, con uno stock stimato di 2.600 kg, sufficienti per circa 170 testate nucleari, da qui a dieci anni l’arsenale nucleare pakistano eguaglierebbe quello inglese.

La proliferazione delle armi non convenzionali rappresenta una grande minaccia alla sicurezza internazionale, per il Pakistan, per la forte presenza talebana nelle aree tribali, è essenziale una vigilanza costante al fine di eliminare ogni possibile fonte di pericolo alle facility nucleari.

I vertici politico-istituzionali pakistani, così come le stesse strutture militari che esercitano il comando operativo sugli armamenti strategici, non sottovalutano l’importanza di tali attività di controllo, anche perché le forze armate di Islamabad e l’establishment politico non sono immuni da complicità con il fondamentalismo. La contiguità con l’estremismo è agevolata dalla presenza di ex talebani rifugiatisi nelle aree di confine con l’Afghanistan e nei cui confronti Islamabad ha assunto atteggiamenti assolutamente ambigui. L’eventualità, poi, di un attacco suicida in un sito di stoccaggio di armamenti nucleari, o che contenga materiale fissile, non è certamente da escludere.

Preponderante risulta inoltre, nella catena di comando sulle forze strategiche, la posizione delle Forze Armate sul controllo operativo dell’arsenale nucleare30. Le ambiguità della National Command Authority Ordinance non consentono di porre rimedio a potenziali contrasti tra le autorità politiche e i vertici militari della Strategic Plans Division in caso di crisi. Assicurare la stabilità, specie nell’ipotesi di un conflitto in atto ed il rispetto del potere decisionale delle autorità civili sui militari rappresentano gli ambiti da tutelare sia per evitare incidenti che per rassicurare la Comunità Internazionale.

Una maggiore collaborazione nel settore del nucleare civile, con l’ausilio della Comunità Internazionale, anche in assenza di una piena adesione al Trattato di Non Proliferazione, potrebbe consentire al Governo di Islamabad di realizzare elevati standard di sicurezza. Una cooperazione in materia di sicurezza nucleare con Washington potrebbe violare le obbligazioni americane alla base del regime di non proliferazione, una cooperazione “limitata” alla sicurezza per le applicazioni del nucleare in ambito civile sarebbe sicuramente legittima e auspicabile.

Le metodologie per l’analisi delle minacce e relative ai sistemi di sicurezza per le infrastrutture nucleari civili sono pienamente adottabili anche per le facility nucleari: garanzie per il trasporto del materiale fissile e degli equipaggiamenti, procedure volte a sviluppare tecnologia sicure, procedure per la valutazione di affidabilità del personale coinvolto.

La minaccia del terrorismo nucleare sui sistemi d’arma, sul materiale fissile e sulle stesse infrastrutture è tale da non permettere l’adozione di criteri superficiali o disorientanti. Un approccio limitato al nucleare civile, commisurato alle attuali esigenze di Islamabad, potrebbe contribuire a delineare criteri di giudizio e standard sulla valutazione della minaccia alla sicurezza nucleare, a tracciare parametri pienamente applicabili nel settore militare e ad incrementare la sicurezza fisica delle facility e del materiale fissile. Nonostante le forti restrizioni imposte dal regime di non proliferazione nucleare, gli accordi di assistenza e di collaborazione in ambito civile sono vantaggiosi e sicuramente idonei a rassicurare la Comunità Internazionale sulla volontà dei Governi di garantire la sicurezza internazionale.

Fabrizio Minniti

 

http://www.nti.org/country-profiles/pakistan/delivery-systems/

2 DIA Report 07/1999, “A primer on the future threat: the decades ahead: 1999-2020”.

3 Il CTBT proibisce qualsivoglia tipologia di test o esplosione causata da armi nucleari, al fine di verificare il rispetto delle previsioni contenute nel Trattato, e indica esplicitamente le strutture legittimate a monitorare e rilevare possibili eventi sospetti. Il Trattato è composto da un preambolo, 17 articoli, due allegati e un protocollo per le procedure di verifica. http://www.ctbto.org/

http://www.urenco.com/page/2/about-URENCO.aspx

5 The Enduring effects of Atoms for Peace. http://www.armscontrol.org/act/2003_12/Lavoy

6 India: nuclear weapons. http://www.fas.org/nuke/guide/india/nuke/

7 R. CRONIN and W. DONNELLY, Congress and Nuclear Nonproliferation Policy, in Congress and Foreign Policy, 1980, Committee Print, House International Relations Committee, 1981.

8 Memo to President Carter gives Pakistan green light to pursue nuclear weapons program. http://www.historycommons.org/context.jsp?item=a122679memotocarter

9 Text of Prime Minister Muhammed Nawaz Sharif at a Press Conference on Pakistan Nuclear Tests.

http://www.acronym.org.uk/dd/dd26/26pak.htm

10 Cfr. ibidem.

11 Threat Reductions in South Asia, Zawar Haider Abid (Pakistan’s Army, Strategic Plan Division. http://www.stimson.org/images/uploads/research-pdfs/zawarabidi.pdf

12 Cfr. R. GALLUCCI, Limiting US Policy Options to Prevent Nuclear Weapons Proliferation: The Relevance of Minimum Deterrence, National Defence University, 1991.

13 Marc Grossman inherits the worst job in the world, B. Riedel.

http://www.thedailybeast.com/articles/2011/02/15/marc-grossman-inherits-...

14 Pakistan’s nuclear oversight reforms.

http://www.iiss.org/publications/strategic-dossiers/nbm/nuclear-black-ma...

15 Cfr. ibidem.

16 National Command Authority. http://www.nti.org/facilities/584/

17 http://paktribune.com/news/National-Command-Authority-Ordinance-promulga...

18 http://www.na.gov.pk/uploads/documents/1300934560_193.pdf

19 Cfr. Ibidem.

20Proliferation: Threat and Response, 2001, DoD. http://www.fas.org/irp/threat/prolif00.pdf

21 Nuclear Weapons Status Alert Debated. http://www.armscontrol.org/act/2007_12/NuclearAlert

22 P. FIDDIAN, UN’s El Baradei details Pakistan nuclear weapon fears, 1/2008.

http://www.armedforces-int.com/news/uns-el-baradei-details-pakistan-nucl...

23 Pakistan’s Profile. http://www.nti.org/country-profiles/pakistan/

24 Sargodha Air Base. http://www.fas.org/nuke/guide/pakistan/facility/sargodha.htm

25Central Ammunition Depot, Sargodha. http://www.globalsecurity.org/wmd/world/pakistan/sargodha.htm

26 Pakistan’s Missile Facilities. http://www.nti.org/country-profiles/pakistan/facilities/

27Agreement Between India And Pakistan On Pre-Notification Of Flight Testing Of Ballistic Missiles.

http://www.stimson.org/research-pages/agreement-between-india-and-pakist...

28 Pakistan: Country Profile. http://www.nti.org/country-profiles/pakistan/nuclear/

29 Country Profile: Pakistan. http://fissilematerials.org/countries/pakistan.html

30 R. LARSSEN, Nuclear Security in Pakistan: reducing the risk of nuclear terrorism, in Arms Control Today, July/August 2009. http://www.armscontrol.org/act/2009_07-08/Mowatt-Larssen