Il feudatario Donaldo, il mezzadro fiammingo, i contadini e le gabelle
Ieri e oggi, alla fine, ha avuto luogo il tanto atteso Summit NATO, il primo del secondo mandato di Trump.
Sono sicuramente malevolo, mi scuserete, ma l’impressione che io ne ho avuto mi ha riportato alla mente immagini medioevali. Chissà perché, mi sono immaginato una frettolosa riunione di contadini titubanti nel cortile (anzi nell’Aia) del castello del feudatario medievale… Il rubicondo feudatario, dopo aver loro rinfacciato i risultati non soddisfacenti della trebbiatura, comunica loro che in futuro dovranno fare meglio e di più, altrimenti alla prossima incursione dei tartari non li proteggerà più. Nel frattempo, un implacabile mezzadro (alto, slanciato, con un vago accento fiammingo), dopo una untuosa declamazione dei meriti del feudatario, passa a raccogliere le decime dovute (o le promesse di acquisto di attrezzature agricole e trattori possibilmente scegliendo ovviamente quelli prodotti dalla fabbrica del feudatario). Appena raccolte le promesse di impegno finanziario, il feudatario se ne va lasciando nel dubbio i contadini se sarà risultato soddisfatto o se la prossima volta chiederà loro di più.
Certamente nell’attuale delicato e complesso contesto geo-strategico e con i rischi per l’Europa che vengono dalla Cina, dalla Russia e dall’instabilità nel Medio Oriente e in Nord Africa, per noi europei la NATO dovrebbe essere una organizzazione di vitale rilevanza. Purtroppo, così forse non è e la colpa di ciò, almeno per una volta, forse non è neanche degli europei.
Come scrivevo qualche mese fa (NATO: accanimento terapeutico o rinascita?): “Appare, innanzitutto, urgente prendere atto, una volta per tutte, di un trend che non pare possa cambiare: l’allargamento dell’Atlantico e il venir meno della coincidenza di interessi strategici tra USA e alleati europei. L’Occidente in materia di sicurezza non esiste più e se esistesse sarebbe rappresentabile soltanto dalla divinità latina di Giano bifronte: gli USA guardano all’Indo-Pacifico, gli Europei a Russia e Mediterraneo.
In sostanza, occorre evitare di fare come coloro che, di fronte ad un matrimonio ormai in frantumi, si ostinano pervicacemente a non prenderne atto, accettando oltraggi continui dal coniuge pur di evitare di giungere al divorzio.
L’Amministrazione Trump (per voce del “poliziotto cattivo” JD Vance) ha chiaramente dichiarato che:
- gli interessi USA sono rivolti prioritariamente all’Indo-Pacifico e alla Cina,
- la Russia non è più considerata un nemico, da contrastare militarmente, bensì un competitor con cui gli USA possono arrivare a patti e che potrà essere utile agli USA per contenere la potenza cinese,
- la sicurezza dell’Europa non è più un interesse di Washington,
- la sicurezza e l’integrità territoriale dell’Ucraina è un problema dell’Ucraina e, eventualmente, degli europei,
- qualsiasi sostegno politico, militare, economico USA fornito a paesi alleati ha un costo: costo che deve essere pagato (comprando gas o armi USA o cedendo il controllo sulle proprie materie prime di valore, ad esempio le terre rare).
Certo, poi alcuni leader europei possono sperare di ottenere benevolenza trattando isolatamente (e magari alle spalle degli altri) con il “poliziotto buono” Trump, nella speranza di ottenere concessioni personalizzate. Temo che sia una politica che non pagherà e che i due poliziotti poi se la rideranno alla grande alle spalle dei singoli leader europei che saranno andati in pellegrinaggio, con il cappello in mano, alla Casa Bianca.”
Occorre prendere atto che, come diceva già otto anni fa Merkel, non vi è più la certezza per gli europei di poter far affidamento sull’alleato americano. Intendiamoci, non dipende da Trump. L’attuale POTUS1 è soltanto più esplicito dei suoi predecessori, ma la situazione è questa da almeno un quarto di secolo, ovvero da quando il principale competitor strategico degli USA non è più l’URSS/Russia. Già all’inizio della presidenza di George W. Bush (2001-2009) il legame transatlantico ha incominciato a sfilacciarsi pericolosamente.
Inoltre, come si fa a idealizzare il legame transatlantico, che dovrebbe essere il collante dell’Alleanza, quando il presidente USA:
- platealmente dichiara di non ritenersi vincolato dagli obblighi di solidarietà politico-militare previsti dall’articolo 5 del Trattato di Washington (anche se poi smussa leggermente il concetto, lasciando però tutti nell’indeterminatezza sulle sue reali intenzioni, che possono essere lette in maniera opposta sulle due sponde dell’Atlantico);
- avanza continue minacce all’indipendenza di paesi alleati (Canada) o ai loro possedimenti (Groenlandia, territorio autonomo della corona danese);
- ripetutamente individua l’UE (che riunisce ben 23 dei 32 paesi membri della NATO) come “nemico” almeno sul piano commerciale (ripeto “nemico”, non normale competitor).
E se lo “zio d’America” ci mandasse a quel paese a chi possiamo rivolgerci? Certo non può essere di conforto per noi europei quanto l’UE, dal canto suo, sta facendo.
Il Progetto EU Readiness 2030, al di là delle dichiarazioni roboanti è in realtà molto fumoso e più che mirare a costituire un vero pilastro europeo della NATO o a dare “autonomia strategica” alla UE pare finalizzato prioritariamente a consentire alla Commissione Von der Leyen II di garantire un futuro all’industria tedesca (gravemente compromessa nel settore automotive dal Green Deal) senza dover rinnegare formalmente le scelte fatte dalla Commissione Von der Leyen I in materia ambientalista.
In questo contesto, certo non roseo, siamo giunti al Summit NATO in corso ieri e oggi nei Paesi Bassi…
Poteva essere un momento di leale confronto e chiarificazione da cui si potessero trarre speranze per una rinascita della NATO e un rinsaldarsi di un ormai sfilacciato legame transatlantico. Fiducia e speranza in questo vertice, che temo, possano essere state deluse. Però, ad essere onesti, già da prima dell’incontro qualche dubbio lo avevamo.
Se è innegabile che questo Summit avrà un impatto per anni sulla loro sicurezza, sui loro bilanci e sui loro apparati di sicurezza, tutto ciò pare essere passato in secondo piano.
Passato in secondo piano perche l’attenzione era polarizzata essenzialmente sull’aspetto economico ovvero alle percentuali di PIL da destinare a spese per la difesa (vere o farlocche che siano).
Invece, sarebbe forse stato il caso di chiedersi se la NATO così come sia oggi sia ancora funzionale alle esigenze di sicurezza dei suoi membri e se tra tali membri ci sia ancora una “reale” condivisione di interessi geo-strategici. Domanda che, purtroppo, pare non ci si stia facendo.
Si parla di percentuali di PIL da spendere (già arrampicandosi sugli specchi per immaginare fantasiosi artifici contabili per far tornare i conti), ma non si parla con altrettanta attenzione di obiettivi e capacità militari da conseguire. Purtroppo, mi pare che ancora meno si tenti di parlare di equilibri politici interni ad un’Alleanza, che (con Trump alla Casa Bianca ) potrebbe apparire sempre più simile alla fattoria degli animali di Orwell. Certo, onestamente, non si può pensare che, in ambito NATO, USA e Lussemburgo siano mai stati sullo stesso piano. Non lo sono mai stati, ma in passato almeno si tentava di salvare la forma.
Purtroppo, invece, è chiaro che questo Summit servisse solo per ufficializzare l’accettazione di un obbligo da parte di 31 paesi alleati a dedicare una certa percentuale del loro PIL a cosi dette “spese per la difesa”.
È troppo? È troppo poco? Ha senso? Non ha senso? Non pare che questi aspetti siano stati veramente discussi. Pare che la vera esigenza sia consentire all’amministrazione USA (che minaccia altrimenti di abbandonare gli europei al loro destino in caso di aggressione russa) di tornare dal Summit con uno scalpo da mostrare ai propri fan domestici.
Ho scritto di proposito 31 paesi alleati, perché gli USA hanno chiaramente già detto che a loro la regola non si applica. Alla faccia del rapporto paritario tra alleati.
Non ho specificato neanche la percentuale del PIL da impegnare, perché non ritengo sia questo il vero punto. Adesso viene chiesto di raggiungere il 5% entro il 2035, al Summit di Cardiff del 2014, Obama impose il raggiungimento del target del 2% di PIL entro il 2024. Anche in quel caso un numero tratto fuori dal cilindro.
Intendiamoci, essendo stato per oltre 40 anni un soldato, sono convinto che sulla difesa e sulla deterrenza occorra investire. Investire per tempo, senza tentennamenti, senza artifici contabili per farci rientrare le voci di spesa più disparate e, soprattutto, con serietà.
Non sono, pertanto, contrario a spendere per la Difesa, sono però dubbioso quando le scelte di spesa vengano fatte non per conseguire obiettivi operativi e di capacità chiari e condivisi, ma per convenienza, per appeasement nei confronti di un alleato potente o, come spesso successo in Italia, solo per mantenere in vita capacità produttive nazionali fuori mercato.
Ritengo, infatti, concettualmente irrilevante definire la percentuale di PIL che ci si impegna a dedicare alla difesa (così come probabilmente per altri settori) se non si parte da obiettivi e capacità che si intendono raggiungere.
Non sono gli esborsi (peraltro pesanti) cui ci si impegna a lasciarmi perplesso, bensì l’approccio che mi pare faccia acqua.
Come ho già avuto modo di scrivere su questo argomento (I numeri “a casaccio” delle percentuali del PIL per la Difesa) “mi lascia abbastanza perplesso fissare delle cifre riferite ai PIL dei singoli paesi senza aver precedentemente definito cosa esattamente l’Alleanza richiede a quei paesi per far fronte a minacce ed esigenze operative condivise. Ribadisco “condivise”, perché può aver poco senso definire percentuali di spesa senza vincolarle a obiettivi di interesse di questa Alleanza (dato che più di un paese può legittimamente avere interessi strategici puramente nazionali che esulano dagli interessi comuni dell’Alleanza). Di quanto spendono gli USA per i loro interessi strategici globali (ad esempio a favore della Corea del Sud o di Taiwan) o di quanto spendeva la Francia nei paesi del Sahel non sempre e non tutto potrebbe essere di interesse della NATO.
Anche per prevenire inutili duplicazioni di assetti tra i singoli paesi, più utile potrebbe essere definire le capacità operative (in campo nucleare, terrestre, navale, aereo, cyber e dello spazio) che singoli Alleati o gruppi di Alleati debbano essere in grado di rendere disponibile per esigenze NATO, anziché preoccuparsi di quanto questi paesi spendano.
È tragicamente vero che molti paesi europei (tra cui Italia e Germania), convinti di vivere in un mondo pacifico, hanno da decenni ritenuto “soldi buttati via” quelli dedicati alla difesa e dovranno ora dedicare a questo settore più risorse di quanto non abbiano fatto sinora. È, però, altrettanto vero che le richieste USA in merito alle spese per la difesa dei paesi europei più che mirare al raggiungimento di una autonomia militare del pilastro europeo della NATO mirano a obbligare gli alleati a rivolgersi per gli acquisti all’industria per la difesa a stelle e strisce”.
Ora sembra che l’unica preoccupazione degli USA sia che i paesi dell’Alleanza innalzino al 5% la percentuale di PIL da dedicare alla difesa, ma non viene definito per fare cosa.
Analoga richiesta è stata fatta con una certa insistenza dal nuovo segretario della Difesa USA ai partner statunitensi dell’Indo-Pacifico, che invece mi pare siano rimasti tiepidi alle richieste USA.
L’altro aspetto di cui occorre rendersi conto è che , come dimostrato anche dalla recente operazione a stelle e strisce in Iran2, senza il supporto USA, le capacità militari degli atri paesi dell’Alleanza si sono nel tempo degradate e non potrebbero da sole competere con quelle cinesi e, probabilmente, neanche con quelle russe.
Forse, agli europei, piuttosto che gareggiare per “tenersi buono” un alleato che ormai guarda da un’altra parte, converrebbe impegnarsi per costruire in Europa una valida e credibile alleanza politico militare che possa sostituire in futuro una NATO dove il vincolo transatlantico appare sempre più debole.
La strada non sarebbe facile e non sarebbe certo quella vagheggiata dai “benaltristi” della sinistra italiana alla Schlein, ovvero di un esercito comune europeo. Progetto questo che potrebbe inserirsi solo in una Federazione di Stati che avessero delegato a Bruxelles per intero a propria politica estera e di sicurezza. Cosa che per prima la Francia dubito che farà mai e che sarebbe, comunque, impensabile con questa UE allargatasi a dismisura a ben 27 Stati membri, così diversi tra loro anche in relazione alle diverse sensibilità in merito alle minacce che provengono al Vecchio Continente da Est o da Sud.
Invece, forse l’UE, associata eventualmente ad alcuni paesi europei non UE (Gran Bretagna, Norvegia, Paesi Balcani occidentali), dovrebbe rapidamente dotarsi degli strumenti militari per garantire sia la sua difesa a Est (dal Mar Glaciale Artico al Mar Nero) da una minaccia russa/bielorussa, che la sua sicurezza Sud verso il Mediterraneo, il Medio Oriente e il Nord Africa (contrastando nella regione gli interessi a noi ostili della Cina, della Russia e della Turchia, oltre all’espansione del fondamentalismo islamista e, non dimentichiamolo, alle verosimili iniziative pericolose statunitensi).
Non sarebbe semplice, vi sarebbero innumerevoli problemi e tutti di difficile soluzione. Però l’atteggiamento da feudatario medioevale del POTUS nei confronti dei suoi contadini e il pensiero che altre gabelle possano essere imposte loro, non necessariamente per la sicurezza del feudo e dei suoi abitanti ma perché così vuole il feudatario per fare bella figura con i suoi aimici, dovrebbero farci pensare e farci incominciare a lavorare per qualcosa che possa rimpiazzare questa NATO.
1 POTUS: acronimo per President Of The United States
2 Operazione che peraltro non è stata risolutiva nell’annientare le potenzialità nucleare iraniana.
Foto: presidenza del consiglio dei ministri