Mediterraneo: i rischi e le opportunità secondo l'ammiraglio De Giorgi

29/05/17

La leadership sul dossier Libia spetta all’Italia. Trump così ha stabilito, con nostra grande soddisfazione, nell’imminenza del G7 di Taormina.

Il nostro governo è stato giustamente soddisfatto di aver ottenuto dal nuovo presidente degli Stati Uniti la conferma di una visione che ci vede protagonisti in Libia per la sua stabilizzazione.

Benissimo. Il punto è: chi glielo dice ai russi?

Si perché i russi sono tornati in Mediterraneo, in forze e per restare. La riconquista della Crimea, storico trampolino di lancio della Marina sovietica verso i mari caldi, poi l’azione militare in Siria, la riattivazione della base navale di Tartus, la costruzione della base aerea di Humaymim, destinata a essere ingrandita significativamente nei prossimi mesi, protetta da sistemi AAW e presidiata da una robusta guarnigione di almeno un battaglione, sono stati solo l’inizio del ritorno nel nostro mare, dello squadrone mediterraneo della Flotta del Mar Nero che ai tempi dell’Unione Sovietica era composto da circa 50 navi e da diversi sottomarini nucleari, oltre a navi appoggio, etc. La Russia si presenta adesso in Mediterraneo con una Marina diversa, non più con una Flotta limitata all’interdizione marittima, in chiave anti portaerei americane, ma con uno strumento aeronavale ottimizzato per il controllo marittimo e la proiezione di forza a terra (power projection ashore). Un esempio è il ritorno della portaerei Kutzenotov (foto), in futuro affiancata da due grandi portaerei da 70.000 tonnellate in costruzione, di una molteplicità di piattaforme di superficie e subacquee, in grado di lanciare missili da crociera, oltre agli investimenti massicci nell’aviazione e nella fanteria di Marina.

Il Mediterraneo, da sempre la porta d’ingresso dell’Oriente verso l’Europa e cerniera con l’Africa è al centro di importanti novità che ne accrescono il valore strategico. Due esempi: i grandi giacimenti di gas naturale fra Egitto, Israele, Cipro, a cui si aggiungono quelli probabilmente presenti nel basso Adriatico e l’arrivo della nuova “via della seta”, ancora in cerca del suo punto d’arrivo, snodo finale verso l’Europa continentale. Oggi è conteso fra Grecia e Italia. Bene hanno fatto Renzi e Gentiloni a incrementare le nostre relazioni con la Cina nell’ultimo biennio, perché la Grecia, attivissima sulle questioni marittime, sta investendo massicciamente nei suoi porti, anche per attrarre i capitali cinesi nella loro realizzazione.

Le basi in Siria non sono tuttavia sufficienti per consentire alla Marina russa di assumere un ruolo dominante in Mediterraneo, soprattutto in un orizzonte di lungo periodo. Serve una base strategicamente posizionata verso la strettoia di accesso al Mediterraneo centrale. La Libia è ideale per questo scopo. Ricca di riserve di petrolio e di Gas, scarsamente popolata, di fatto suddivisa in tre aree geografiche distinte (Tripolitania, Cirenaica e Fezzan), con una presenza ISIS arroccata a Derna, da cui recentemente, nonostante l’assedio delle milizie di Haftar, è riuscita a infliggere gravi perdite a una delle sue basi aeree. La Libia è inoltre un’entità priva di un governo centrale, senza un “custode” occidentale di riferimento, in grado di mettersi di traverso, a differenza ad esempio dell’Africa francofona, “tutelata” dalla Francia. Ecco che alle richieste italiane fatte all’ONU di poter operare in acque territoriali libiche, per togliere ogni spazio di manovra alle organizzazioni criminali che gestiscono il traffico di esseri umani, è stata proprio la Russia ad opporsi, così come ha contrastato, efficacemente, il passaggio dell’operazione EU Sophia, a guida italiana, alla fase di addestramento e tutela, a favore della Marina/Guardia Costiera libica, da tenersi nelle acque territoriali e nei porti libici. Per memoria, la Russia si era opposta anche all’ingresso italiano in acque territoriali somale nell’ambito del contrasto della pirateria.

La visita della Kutnetzov ad Haftar è stata una dichiarazione pubblica d’interesse russo nella zona, anche a beneficio dell’Egitto che considera la Libia Orientale, sua zona d’influenza. Derna è quindi verosimilmente la prossima base russa. Derna ha buoni fondali, domina la Sirte e i relativi terminali petroliferi ed è sufficientemente vicina all’Egitto. Il fatto che sia in mano a ISIS la pone su un piatto d’argento a favore degli obiettivi di Putin. Dopo la sua liberazione, che vedrà verosimilmente la partecipazione o quantomeno il supporto diretto dello strumento aeronavale russo, il meno che Haftar potrà fare è consegnare Derna ai russi, anche in vista di una sua avanzata verso ovest, alla volta di Tripoli. Ulteriori punti di forza per la strategia marittima russa verso i mari caldi, sono naturalmente lo sganciamento americano verso il Pacifico e la tensione fra USA e Corea del Nord che dà spazio di manovra ai russi in cambio di una non interferenza in oriente.

Insieme alle operazioni di naval diplomacy e di hard power, i russi si stanno muovendo in modo coordinato sotto il profilo degli accordi commerciali. La compagnia petrolifera russa Rosneft ha infatti firmato accordi, fondamentali dal punto di vista strategico, con la National Oil Corporation, la principale compagnia libica. Nei mesi scorsi l'analista Theodore Karasik, ha dichiarato: "La Russia sta cercando di entrare in Libia e condizionarne il futuro. È altamente probabile che l’enorme debito contratto durante l’era di Gheddafi verrà cancellato attraverso delle concessioni" legate forse al petrolio ed alle armi. Altri accordi sono stati firmati con Israele e l’Egitto dando continuità geografica al progetto di governo energetico nella regione.

Anche per questa ragioni (oltre alle storiche debolezze strutturali interne che ne rallentano l’azione esterna), L’Italia ha perso la sua libertà d’azione in Libia, nonostante la dichiarazione di Trump a nostro favore. Di questa debolezza ne pagherà le conseguenze anche Al Sarraj, se non riusciremo a riguadagnare rapidamente spazio di manovra, con iniziative nazionali più incisive, anche per trattare con i russi da posizioni migliori, nel processo di stabilizzazione della Libia. Un governo solido in Libia non sarebbe cruciale solo da un punto di vista economico, ma sarebbe fondamentale per la gestione dei flussi di migranti diretti in Italia. Allo stato dei fatti è con i russi che dovremo trattare. Ecco perché Gentiloni è stato così “espansivo” nei confronti di Putin, definendolo un player fondamentale per la questione libica. Si tratta di una superpotenza di cui bene o male abbiamo bisogno e con la quale dobbiamo avere rapporti. Coerentemente con tale approccio, l’Eni ha già raggiunto una prima intesa con Roseneft. La cooperazione con i russi è quindi inevitabile, bisognerà vedere se i russi ci considereranno un partner o solo una fastidiosa presenza da estromettere.

Con l'arrivo di Trump, il G7 lo ha evidenziato in modo plastico, saremo soli sul tema del controllo dei flussi migratori e in generale sulla questione della stabilizzazione della Libia, se non per operazioni mirate antiterrorismo.

Più in generale saremo soli in Mediterraneo a proteggere i nostri interessi nazionali.

Purtroppo l’Italia paga il prezzo di non aver definito una strategia marittima di ampio respiro. Al contrario, dall’estate del 2016 abbiamo ritirato le nostre navi anche dal Mediterraneo centrale dove operavano costantemente 5 unità di superficie e non abbiamo dato seguito nemmeno a operazioni di soft power/naval diplomacy, come quelle del 30° gruppo navale intorno all’Africa, nonostante la politica estera nazionale indichi, proprio nell’Africa, l’area di massimo interesse nazionale.

Sia nella definizione dello strumento militare nazionale, in corso in questi giorni, sia nella suddivisione delle risorse per l’impiego delle forze, il Ministero della Difesa sembra non avere la consapevolezza del destino marittimo dell’Italia, continuando nelle sua linea protosabauda, pianificando un’ulteriore ridimensionamento della Flotta, lesinandole fondi per le attività in mare, come mai prima nella storia post bellica, apparentemente indifferente a cosa accade fuori dei nostri confini, come se il mondo andasse dalla Savoia, al Piave, all’Adamello e alla soglia di Gorizia.

Prima di rischiare di essere marginalizzati in Libia, sarebbe opportuno concretizzare il nostro supporto ad Al Sarraj, in modo più convinto, ad esempio tramite una collaborazione più stretta con la Marina tripolina, anche con operazioni coordinate nelle acque litoranee/costiere, oltre all’apertura di ospedali e alla gestione congiunta dei campi profughi, per attivare fra l’altro corridoi umanitari, sotto la nostra supervisione. Più in generale utilizzare la nostra flotta in tutte le sue declinazioni possibili, perché la sicurezza del Mediterraneo, i suoi fondali, il suo ambiente marino, la sua economia, sono, lo saranno ancora di più in futuro, la nostra principale sfida e risorsa.

L’azione portata avanti dal ministro dell’Interno (che in questa fase sta interpretando, per la forza e il coraggio politico del suo titolare, anche il ruolo della Difesa) nel Fezzan e in Niger si muove senz’altro nella giusta direzione. Tale azione, portata avanti con incisività e coraggio politico, anche senza aspettare gli altri partner europei, potrà avere conseguenze significative nel medio periodo naturalmente se, dopo le elezioni, la sua linea e il suo impulso trovassero adeguate conferme.

La flotta del mar Nero tornerà ad essere influente in Mediterraneo. Usa e Russia sembrano iniziare a condividere spazi strategici piuttosto che a contenderseli. Dopo anni di pronostici ci stiamo confrontando con l’era del mondo multipolare, in cui le alleanze tradizionali rischiano di essere ridefinite di volta in volta, quasi sempre a scapito delle nazioni più deboli.

Ammiraglio Giuseppe De Giorgi

(foto: Palazzo Chigi / MoD Fed. russa / web)